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«Per i cristiani dell'Orissa non esiste più normalità»

Cristiani costretti a pagare una tassa di 500 rupie per ritornare alle proprie case, oppure obbligati a vivere come indù. Donne cristiane oggetto di intimidazione perché indossino un lungo velo, una pratica di ascendenza bramitica per umiliare la donna. Numerosi anche gli episodi di “apartheid religioso”...


«Per i cristiani dell’Orissa non esiste più normalità»

da Attualità

del 10 marzo 2009

 Cristiani costretti a pagare una tassa di 500 rupie per ritornare alle proprie case, oppure – come nel villaggio di Batticola – obbligati a vivere come indù. Donne cristiane oggetto di intimidazione perché indossino un lungo velo, una pratica di ascendenza bramitica per umiliare la donna. Numerosi anche gli episodi di “apartheid religioso”: se un cristiano sta viaggiando su una motocicletta e incontra un indù, è costretto a scendere dal motociclo e proseguire a piedi per lasciar strada all’indù; quando vanno a fare un bagno in uno stagno, i cristiani devono mettersi in disparte affinché gli indù siano i primi a scendere in acqua. I cristiani «vengono minacciati » dai membri del Sangh Parivar (una delle organizzazioni indù più integraliste) di «pesanti conseguenze se osano andare in chiesa: se ci provano, incorrono in sanzioni come non attingere acqua ai pozzi o raccogliere la legna».

  È questo drammatico il quadro che monsignor Raphael Cheenath, arcivescovo di Bhubaneswar, capitale dello Stato dell’Orissa, ha offerto in un dettagliato documento di aggiornamento sulla situazione dei cristiani a Kandhamal, la regione dell’Orissa epicentro del pogrom anticristiano di agosto. Secondo il prelato, ancora oggi continuano le minacce contro la minoranza cristiana: «Molti fedeli vengono costretti a lasciare i campi profughi e tornare nei loro villaggi dove è non sono al sicuro». Così è avvenuto nel villaggio di Gimangia, dove 17 cristiani hanno fatto ritorno alle loro case, ma sono stati spinti dai residenti indù a rientrare in uno dei tanti campi profughi allestiti dalle autorità del distretto di Kandhamal, la località più colpita dalla violenza anticristiana.

  «In generale la situazione sembra normale, ma è solo un inganno – prosegue monsignor Cheenath –. La gente può muoversi nei campi di raccolta, ma non può osare recarsi nei villaggi perché hanno ancora molta paura di subire attacchi o venire costretti a diventare indù: una cosa realmente accaduta in numerosi casi. Anche i dirigenti del distretto non incoraggiano la gente a recarsi in certe località, come i villaggi di Kurtumgoda e Sankharakhole».

  «La maggior parte dei preti – continua l’arcivescovo – che avevano abbandonato le proprie parrocchie per ragioni di sicurezza vi hanno fatto ritorno, ma l’amministrazione distrettuale ha suggerito loro di limitare i propri movimenti». E il prelato non si fa illusioni. «La mia opinione è che siamo coinvolti in una battaglia di lungo corso. Non ne vediamo la fine: alcune persone dall’estero mi chiedono se ci saranno altri attacchi contro i cristiani in Orissa. E io rispondo: questo è il pericolo che ci sta davanti». «Mi è stato raccontato – rivela – di incontri segreti di membri di Sangh Parivar tenutisi in tutto il distretto di Kandhamal. Le autorità, a parole, fanno bene il loro lavoro. Ma sono interessate solo a rimandare indietro la gente nei villaggi, però senza un’adeguata protezione né i beni necessari».

  Monsignor Cheenath stigmatizza anche il fatto che le autorità non abbiano mai individuato gli autori delle violenze: «Non c’è stata alcuna indagine seria per trovare chi ha scatenato tutto e per punire i colpevoli. Dietro questa mancanza di impegno dello Stato vi possono essere solo motivi legati alle elezioni di quest’anno ».

 

 

Lorenzo Fazzini

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