Le radici dell'amore dell'educatore cristiano. Nell'enciclica Deus caritas est ci sono numerosi spunti in grado di dare un senso pieno alla missione dell'educatore cristiano. Ad alimentare e sostenere la sua attività infatti non è una semplice inclinazione all'insegnamento, ma l'amore. Oltre la competenza, questa infatti deve essere la forza che lo anima.
del 04 aprile 2006
Il primo pensiero che sgorga dal cuore dopo aver letto l’enciclica Deus caritas est è di gioiosa riconoscenza: Benedetto XVI fa un grande dono alla Chiesa e all’umanità. La lettura del testo comunica grande speranza e riconcilia con la vita: è un’invitante provocazione a cogliere l’essenziale della vita cristiana; è una limpida e convincente visione organica dell’uomo e della società, che mostra come solo a partire da Cristo si può guardare alla vita con fiducia e speranza. Grande dote di questo papa, veramente “benedetto”, che ha il dono raro di saper unire profondità di pensiero e semplicità di linguaggio.
 
Queste le prime impressioni che sgorgano spontanee dopo la lettura; dopodiché la prima cosa che sento di suggerire è semplice quanto importante: prendere in mano l’enciclica e leggerla con calma e con apertura di mente e di cuore, soffermandoci su quanto con sapienza e semplicità viene proposto, evitando quel consumismo spirituale che ci fa passare da un testo all’altro per poi assimilare poco o niente in profondità. Qui si trova cibo solido, non chiacchiere superficiali.
 
Una volta letto il testo pontificio, ci si potrà utilmente rivolgere a qualche commento o studio specifico che certamente non mancheranno e che aiuteranno ad approfondire qualche aspetto particolare. Per parte mia, credo che l’enciclica di Benedetto XVI, che di per sé non si occupa di scuola, dica comunque qualcosa di importante anche ai cristiani impegnati a testimoniare l’amore cristiano nel campo dell’educazione. Provo a dire perché.
 
 
LA CARITÀ DELLA VERITÀ
 
 “La cura dell’istruzione è amore” – così si esprime la Bibbia (Sap 6,17); s. Agostino, per parte sua, parla della caritas veritatis (la carità della verità) sottolineando che essa è una delle manifestazioni più alte di amore. Come a dire che un modo di voler bene alle persone che amiamo è anche questo: aiutarle a scoprire progressivamente la verità, la quale rimane l’aspirazione più grande dell’uomo.1 Chi fa scuola svolge, appunto, questo prezioso servizio; infatti, «la scuola ha per scopo fondamentale insegnare la verità e l’insegnante è più responsabile verso la verità che deve insegnare che non verso la libertà del discente. Non si tratta di insegnare a sapere la verità, facendo acquisire nozionisticamente quanto l’umanità ha conosciuto nella sua storia, come può avvenire in una scuola autoritaria e dogmatica, ma nemmeno di insegnare a cercare la verità, come capita in una scuola libertaria e agnostica, che abbandona l’individuo a se stesso, bensì si tratta di insegnare a trovare la verità, guidando il fanciullo a confrontarsi con la realtà nei suoi multiformi aspetti, per coglierne tutta la sua intelligibilità».2 Conoscere la verità significa realizzare la libertà interiore, che è il primo fondamentale fine dell’educazione (Maritain). La carità della verità sarà tanto più apprezzata se si pensa che, come ebbe a dire qualche anno fa l’attuale pontefice, «la vera sciagura dell’uomo è proprio l’essere all’oscuro della verità».3
 
 
 
 
 Le motivazioni che sostengono la fatica di coloro che si impegnano quotidianamente nella scuola possono essere diverse (lasciando da parte quelle meno nobili, che purtroppo a volte si riscontrano), ad esempio: una particolare e quasi innata propensione all’educare, la ricerca della promozione umana dell’alunno, una naturale simpatia per i bambini e i giovani...
 
L’amore che alimenta e sostiene l’educatore cristiano ha una sua originalità sia nella sorgente che lo alimenta sia nella modalità in cui si manifesta: è, infatti, l’amore così come l’ha vissuto concretamente Cristo, è l’amore che viene descritto da s. Paolo nel suo inno alla carità (1 Cor 13). L’amore per l’uomo, che accomuna tutti coloro che si occupano di educazione nella scuola, è per gli educatori cristiani «un amore che si nutre dall’incontro con Cristo» (Deus caritas est 34). Da questo punto di vista, vale anche per loro il richiamo del papa: «Occorre condurli a quell’incontro con Dio in Cristo che susciti in loro l’amore e apra il loro animo all’altro, così che per loro l’amore del prossimo non sia più un comandamento imposto per così dire dall’esterno, ma una conseguenza derivata dalla loro fede che diventa operante nell’amore (cf. Gal 5,6) (31a). Coloro che «svolgono sul piano pratico il lavoro della carità nella Chiesa... devono... farsi guidare dalla fede che nell’amore diventa operante (cf. Gal 5,6). Devono essere quindi persone mosse innanzitutto dall’amore di Cristo, persone il cui cuore Cristo ha conquistato con il suo amore, risvegliandovi l’amore per il prossimo» (33).
 
Questa motivazione di fondo è coerente con lo scopo essenziale che si propone ogni educatore cristiano che lavora all’interno della scuola: realizzare «un vero umanesimo, che riconosce nell’uomo l’immagine di Dio e vuole aiutarlo a realizzare una vita conforme a questa dignità» (30b).
 
L’educatore cristiano deve essere una persona professionalmente capace e ricca di umanità. Il papa sottolinea che tra «gli elementi costitutivi che formano l’essenza della carità cristiana e ecclesiale» (31) c’è anzitutto la “competenza professionale”, che significa capacità di «saper fare la cosa giusta al momento giusto» (31a). Subito dopo, però, aggiunge4 che essa da sola non basta, perché «gli esseri umani necessitano sempre di qualcosa in più di una cura solo tecnicamente corretta. Hanno bisogno di umanità. Hanno bisogno dell’attenzione del cuore» (31a).
 
La preparazione professionale, dunque, come presupposto indispensabile per chi insegna, ma oltre ad essa serve anche, e soprattutto, la “formazione del cuore”. Benedetto XVI ha una felicissima espressione, quando afferma che «il programma del cristiano – il programma del buon Samaritano, il programma di Gesù è “un cuore che vede» (31b): espressione che, riferita all’educatore cristiano, richiama alla mente le parole di d. Bosco, il quale affermava: «Ricordatevi che l’educazione è cosa del cuore, e che Dio solo ne è il padrone, e noi non potremo riuscire a cosa alcuna, se Dio non ce ne insegna l’arte, e non ce ne mette in mano le chiavi».
 
Il servizio reso dal cristiano per la realizzazione di un vero umanesimo «non deve essere un mezzo in funzione di ciò che oggi viene indicato come proselitismo. Non viene esercitato per raggiungere altri scopi» (31c).
 
Applicata all’educatore cristiano, questa indicazione significa che il suo impegno all’interno della scuola rispetterà sempre la legittima autonomia che essa deve in ogni caso conservare. Ciò vale, ad esempio, quando i cristiani istituiscono le loro scuole (= le scuole cattoliche), oppure nel caso in cui la Chiesa è presente nella scuola con un suo servizio specifico che riguarda l’Insegnamento della religione cattolica, e comunque ogniqualvolta i cristiani si adoperano affinché la scuola abbia quelle caratteristiche che essi ritengono qualificanti e indispensabili.
 
Tutto ciò significa che l’intervento dei cristiani che svolgono il loro servizio nella scuola non ha alcuna originalità rispetto all’impegno di qualsiasi altro cittadino a favore della scuola stessa? Benedetto XVI ha parole illuminanti a questo riguardo. Egli ritiene che l’azione caritativa – compresa, a mio parere, quella che si svolge a favore dell’uomo all’interno della scuola – non «debba, per così dire, lasciare Dio e Cristo da parte. È in gioco sempre tutto l’uomo. Spesso è proprio l’assenza di Dio la radice più profonda della sofferenza... Il cristiano sa quando è tempo di parlare di Dio e quando è giusto tacere di lui e lasciare parlare solamente l’amore. Egli sa che Dio è amore (cf. 1 Gv 4,8) e si rende presente proprio nei momenti in cui nient’altro viene fatto fuorché amare» (31c).
 
L’educatore cristiano, come pure una comunità scolastica il cui clima deve essere caratterizzato dallo «spirito evangelico di libertà e carità»5 – e ciò vale per la scuola cattolica – avranno sempre questa consapevolezza, la quale poi dovrà trasparire dal loro agire, quindi il loro parlare, il loro tacere, il loro esempio.
 
 
 
UNA PERSONA UMILE 
 L’educatore cristiano è consapevole che, offrendo il suo servizio educativo, non dà soltanto “qualcosa” all’altro (conoscenze, abilità...): egli si coinvolge come persona, sia nel senso che anzitutto educa per quello che è, sia perché partecipa se stesso, i suoi pensieri, sentimenti, capacità, limiti. A questo riguardo, è ancora il papa che offre un pensiero stimolante e profondo: «perché il dono non umili l’altro, devo dargli non soltanto qualcosa di mio, ma me stesso, devo essere presente nel dono come persona. Questo giusto modo di servire rende l’operatore umile. Egli non assume una posizione di superiorità di fronte all’altro, per quanto misera possa essere sul momento la sua situazione... Chi è in condizione di aiutare riconosce che proprio in questo modo viene aiutato anche lui; non è suo merito né titolo di vanto il fatto di poter aiutare. Questo compito è grazia... Egli riconosce di agire non in base ad una superiorità o maggior efficienza personale, ma perché il Signore gliene fa dono. A volte l’eccesso del bisogno e i limiti del proprio operare potranno esporlo alla tentazione dello scoraggiamento. Ma proprio allora gli sarà di aiuto il sapere che, in definitiva, egli non è che uno strumento nelle mani del Signore; si libererà così dalla presunzione di dover realizzare, in prima persona e da solo, il necessario miglioramento del mondo. In umiltà farà quello che gli è possibile fare e in umiltà affiderà il resto al Signore. È Dio che governa il mondo, non noi. Noi gli prestiamo il nostro servizio solo per quello che possiamo e finché Egli ce ne dà la forza» (34-35).
 
Ancora: l’educatore cristiano sarà aiutato a svolgere in umiltà il suo servizio anche in forza di una profonda convinzione che sta alla base del suo impegno educativo: egli, infatti, in quanto persona chiamata a “guidare” gli altri si sente anzitutto lui stesso una persona “guidata”. Si sente guidato da Dio, il primo e unico educatore di ogni creatura,6 colui che assicura: «Ti farò saggio, t’indicherò la via da seguire; con gli occhi su di te, ti darò consiglio» (Sal 31,8). Partire da questa profonda consapevolezza significa essere nella verità – una verità che fa umili: solo chi è guidato può guidare. Tutto ciò è rassicurante e pacificante.
 
Sapere che Dio ci guida significa, infine, sentire il bisogno di mantenersi in contatto con lui attraverso il dialogo della preghiera. Occorre, dunque, che si parli anche della preghiera dell’educatore cristiano.
 
 
 
UNA PERSONA CHE PREGA 
  
È necessario che, prima o poi, volendo tratteggiare gli aspetti più caratteristici dell’educatore cristiano, si parli di lui anche come di una persona che prega. Egli cerca «l’incontro con il Padre di Gesù Cristo, chiedendo che Egli sia presente con il conforto del suo Spirito in lui e nella sua opera» (37).
 
La preghiera, intesa come un bisogno prima ancora che come un dovere, è necessaria perché permette di alimentarsi alle sorgenti profonde da cui la dedizione dell’educatore cristiano trae forza e sostegno (cf. quanto richiamato precedentemente); essa purifica lo sguardo sulla realtà e mantiene autentico il servizio all’altro, mantenendoci al riparo dai pericoli del narcisismo e dalla brama di potere; infine, essa sostiene nei momenti più difficili del dialogo educativo, a proposito dei quali già d. Bosco faceva questo saggio richiamo: «In certi momenti molto gravi, giova più una raccomandazione a Dio, un atto di umiltà a lui, che una tempesta di parole, le quali, se da una parte non producono che male in chi le sente, dall’altra parte non arrecano vantaggio a chi le merita».
 
I santi sono coloro che hanno esercitato in modo esemplare la carità. Il pensiero va, in questo caso, alla folta e gloriosa schiera di santi e sante che si sono distinti per aver testimoniato la carità nell’ambito educativo: Filippo Neri, Angela Merici, Giuseppe Calasanzio, Giovanni Bosco, Girolamo Emiliani, Giovanni Battista de La Salle... per citare soltanto qualche nome. Ad essi l’educatore cristiano guarda come a modelli e guide, consapevole che la pedagogia cristiana prima ancora che essere codificata in principi e indicazioni concrete è stata vissuta e testimoniata dai santi, «veri portatori di luce all’interno della storia, perché sono uomini e donne di fede, di speranza e di amore» (40).
 
Oggi, in nessuna legge riguardante la scuola si usa il termine amore quando si vuole descrivere il compito che attende gli insegnanti: c’è il timore che sia una parola di parte, troppo legata all’ideologia, estranea ad una visione laica della professionalità docente... Noi cristiani dobbiamo avere il coraggio di recuperare questa parola ormai scomparsa dal lessico pedagogico e parafrasando le parole del papa affermare che, in definitiva, agli educatori cristiani è affidato il compito di vivere il loro impegno educativo soprattutto come amore e in questo modo far entrare la luce di Dio nel mondo.
 
 (fonte: Testimoni, 6/2006, p.16)
 
 
1 “Che altro desidera più ardentemente l’anima se non la verità?” (s. Agostino, In Johannis Evangelium, tract. 26,5).
2 PieroViotto, Presupposti filosofico-pedagogici dell’educazione di ispirazione cristiana, in:: AA.VV., “Educare, ‘sfida’ quotidiana per le scuole materne fism”, Roma, FISM,1998, p. 60.
3 Joseph Ratzinger, Fede, verità, tolleranza, Siena, Cantagalli, 2003, p. 69.
4 Le parole del papa si riferiscono di per sé al «servizio delle persone sofferenti » (31), ma non si fa certamente una forzatura se si estende il loro significato fino ad abbracciare ogni tipo di servizio che le persone svolgono a favore degli altri.
5 Concilio Vaticano II, Gravissimum educationis, n. 8: “Elemento caratteristico (della scuola cattolica) è (quello) di dar vita ad un ambiente comunitario scolastico permeato dello spirito evangelico di libertà e carità”.
6 Carlo M. Martini, Dio educa il suo popolo, Milano 1987.
Aldo Basso
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