Perchè sono ancora cristiano

'Io sono la via, la verità e la vita....': sconcertante se si nota che non è l'affermazione di un libro ma l'identità di una persona... Può essere questo il peso per cui, nonostante le culture, le mode e le filosofie, si può essere davvero cristiani?Il libro è: H.U.von Balthasar, Perchè sono ancora cristiano

Perchè sono ancora cristiano

da Teologo Borèl

del 24 ottobre 2006

Possiamo riassumere il cristianesimo in una di quelle espressioni in prima persona, che probabilmente non furono pronunciate da Gesù stesso, ma nelle quali fu concentrato quanto di più provocatorio egli disse della sua esistenza: “Io sono la via…”. Anche Budda o Maometto avrebbero potuto affermare di essere via ad una verità conosciuta grazie ad una rivelazione particolare e perciò di poterla insegnare ad altri. Ma poi segue: “Io sono la verità…”. E’ indifferente quale significato di verità vogliamo qui considerare, se quello dell’antico testamento oppure quello greco. Qui si intende parlare di qualcosa che è superiore alle singole verità dell’universo, che è più comprensivo di tutte le affermazioni di verità che si possono fare sulla realtà del mondo intero. Ponendosi davanti questo ‘io’, colui che parla manifesta di non riferirsi alla semplice verità di ragione; con questa sua affermazione egli ha già sciolto ogni possibile contrasto tra verità di fatto e verità di ragione. Ma aggiungendo “Io sono la vita”, egli supera qualsiasi dichiarazione precedente. Qui si intende la vita per eccellenza, non il limitato principio vitale che anima i singoli viventi, ma la sua sublime e inesauribile fonte divina.

In tutto questo c’è una tremenda provocazione, che è unica nella storia umana e che confina con l’assurdo perchè è lanciata da un singolo uomo, parte minuscola di quell’universo che conosce miliardi di vie e di verità, da un uomo che proprio alla vigilia della morte attribuisce a se stesso una vita immortale. Se per un momento attribuiamo a lui tutta la responsabilità di una simile affermazione, senza considerarla un’entusiastica affermazione del quarto evangelista, se la accettiamo da lui come il risultato di una esistenza che è tutta piena di provocazioni e che sempre si è rifiutata di lasciarsi inquadrare in un determinato schema – pur concependo se stessa come la conclusione delle imprese operata da Dio in favore di Israele – comprendiamo subito che la sapienza umana, che cerca sempre di inserire gli eventi umani in un orizzonte raggiungibile, non poté né può sopportare una simile provocazione.

Chi è in grado di cogliere il vero grado di provocazione implicito in queste folli pretese capisce molto bene come ogni forma di pensiero religioso e filosofico non abbia potuto e non possa ancor oggi sentirsi profondamente umiliata da simili pretese e prova perciò una certa meraviglia di fronte ad un’altra espressione del medesimo discorso. “Essi mi odiano senza motivo”.

Molto volentieri vorremmo fare di Gesù un apostolo dell’amore del prossimo, colui che interviene a favore dei poveri e degli oppressi, che si dichiara solidale con i peccatori; ma dovremmo allora dimenticare tutti questi provocanti accenni alla propria persona, questo suo giudicare gli altri in base al suo rapporto con lui. Tutto ciò, parole ed opere, è di una durezza così tagliente, nel tono e nell’atteggiamento, che non è paragonabile con nessun’altra realtà della storia umana, che voglia avanzare qualche diritto alla grandezza.

Chi si presenta in questo modo deve sapere quanto grande sia la sua provocazione. Le polemiche con i giudei, riferite da Giovanni, sono una sfida unica e violenta. Chi si attribuisce tanta importanza deve essere pronto a tutto, deve disporre di tali armi che gli diano la certezza di poter resistere a qualsiasi attacco, deve essere sicuro di potersi presentare con autorità al cospetto della storia. “Prima che Abramo fosse, io sono”. “Vedrete il Figlio dell’uomo giungere sulle nubi del cielo”. “Io sono L’Alfa e l’Omega”. Egli dovrà perciò affermare – pretesa che sembra folle – che mentre cammina verso la morte, anche la storia si avvia verso la propria fine, dovrà sostenere di possedere un tempo mortale così intenso e pregnante, da racchiudere in sé tutto il futuro privo di morte. Inoltre, se egli ha ragione, deve accadere una cosa altrettanto folle, che cioè la sua totalità, la sua vita e la sua morte prese insieme si rivelino come la realtà ultima e definitiva. La morte è parte essenziale di questa dimostrazione, perchè le parole, le opere e anche le sofferenze non sono ancora sufficienti a costituire tutta la verità della sua esistenza. Questa verità, per essere tale, deve possedere un peso assolutamente più forte di qualsiasi altra realtà ed essere anche in grado, poiché si tratta di verità, di dimostrarlo. Il sasso che è su un piatto della bilancia deve essere così pesante che sull’altro si possa mettere quello che si vuole, tutte le verità, le religioni, le filosofie di questo mondo e le accuse contro Dio, senza che i due piatti si spostino minimamente. Solo a questa condizione vale la spesa di essere cristiano anche oggi. Se uno conoscesse un qualche peso capace di smuovere anche di poco il piatto cristiano e di sollevarlo nel relativismo, il cristianesimo diventerebbe qualcosa di facoltativo, di secondario, contro il quale egli dovrebbe prendere subito posizione. Esso infatti sarebbe superato da qualcos’altro e sarebbe perciò tempo perduto nutrire per lui un interesse diverso da quello storico.

 

Filippo Gorghetto

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