Siamo nella baraccopoli di Agbogbloshie, a nord ovest di Accra, una delle discariche più grandi del mondo dove vecchie stampanti e frammenti di schede madri vengono bruciati per ricavare rame, ottone, alluminio e zinco.
del 16 gennaio 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 
 
           Il bestiame bruca tranquillo in mezzo al denso fumo nero; quella che da lontano sembra una palude da vicino si rivela un’immensa distesa di vecchi monitor semisommersi dal fango, una strana piantagione postmoderna in cui donne e ragazzi raccolgono gomitoli di cavi: siamo nella baraccopoli di Agbogbloshie, a nord ovest di Accra, una delle discariche più grandi del mondo dove vecchie stampanti e frammenti di schede madri vengono bruciati per ricavare rame, ottone, alluminio e zinco.
          I veleni che salgono dai roghi contaminano l’aria e l’acqua; nel terreno ci sono alte concentrazioni di piombo, mercurio e acido prussico (la stesso agente tossico del tristemente famoso Zyklon b). Il fotografo sudafricano Pieter Hugo — nel suo reportage, in mostra al Maxxi di Roma fino al prossimo 29 aprile, “Permanent Error” — ha scelto il cimitero dei computer sulle sponde della Korle Lagoon, che gli stessi abitanti chiamano Sodom and Gomorrah, per raccontare uno dei tanti inferni del mondo contemporaneo, dove si arenano le cattive, ma anche le buone intenzioni dell’occidente.
          Da decenni il primo mondo regala hardware ai Paesi dell’Africa occidentale con lo scopo di favorire il loro ingresso nell’era digitale, ma quello che è nato come un intelligente progetto di sviluppo nella maggior parte dei casi si è trasformato in un espediente per smaltire a costo zero spazzatura elettronica e rifiuti potenzialmente pericolosi. Nei container che portano il timbro “donazione” finisce di tutto: tonnellate di macchine antiquate, rotte o inservibili che si riversano ogni anno nei porti della Costa d’oro.
          «Sentinella, a che punto è la notte?» (Isaia, 21, 11) scrive in un post online un visitatore della mostra accanto al ritratto di un ragazzo, Aissah Salifu, severo e dolente come un profeta biblico in mezzo alle rovine della discarica. La terribile profezia di Isaia che descrive il crollo di Babilonia “fotografa” anche la desolazione post-moderna di questa E-Waste Land (come l’ha definita il “Newsweek”): il male continua ad agire nella storia, il distruttore continua a distruggere. C’è un errore, una ferita permanente — il titolo della mostra indica un danno informatico che può essere annullato solo con la formattazione completa del disco — al fondo dell’essere umano che niente riesce a guarire.
Silvia Guidi
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