POVERTA' & DINTORNI. Non solo veline...

Che cosa vogliono dire le parole povertà e disuguaglianza nell'Italia del 2005, quella dei «ragazzi che hanno due cellulari» e dei «ristoranti pieni»?

POVERTA' & DINTORNI. Non solo veline...

da Attualità

del 28 febbraio 2006

In Italia è a rischio-indigenza il 20% delle famiglie: lo certificano i nuovi dati Istat. Ma siamo più poveri di qualche anno fa? Difficile dire. Quello che è certo è che la “forbice” tra ricchi e poveri sta aumentando, e che siamo tutti un po’ più “a rischio” di un tempo. Anche chi ha un lavoro. Anche (o soprattutto) chi è più giovane. Ma dopotutto che cosa vogliono dire le parole povertà e disuguaglianza nell’Italia del 2005, quella dei «ragazzi che hanno due cellulari» e dei «ristoranti pieni»?

 

Quasi quasi sono poveri

In Italia i giovani dai 18 ai 24 anni che vivono in condizione di povertà sono quasi 600 mila, mentre gli under 18 poveri sono un milione e mezzo. Sono dati ricavabili dal Rapporto sulle politiche contro la povertà e l’esclusione sociale-2004 del governo e si riferiscono all’ultimo anno disponibile, il 2003. Il totale fa due milioni di bambini, bambine, ragazzi, ragazze e giovani che vivono in famiglie dove ci si può permettere di spendere suppergiù la metà di quanto può permettersi una famiglia media del Paese. Per la precisione, secondo il Rapporto , nell’era del “caro euro” una famiglia povera spende in media 855 euro al mese, un single under 35 povero 430 euro, mentre una coppia under 35 povera e senza figli 740 euro.

Secondo altri dati Istat un po’ più generici, ma appena pubblicati e aggiornati al 2004, l’indigenza colpisce 12 famiglie su 100 e 13 persone su 100. I due dati sono in lieve peggioramento rispetto al biennio precedente. Ma se si comprendono anche le famiglie poco al di sopra delle soglia fatidica, si scopre che altre otto famiglie su 100 camminano sul filo, perché sono «quasi povere»: sommando questo dato al 12% delle famiglie povere, si scopre che ben 20 famiglie italiane su 100, una su cinque, sono a rischio.

«Tra il 2003 e il 2004 a livello nazionale la diffusione della povertà appare significativamente in crescita tra le famiglie più numerose», denunciano i funzionari dell’Istat. Il dato è di quelli da scandalo: ormai vivono nell’indigenza un quarto delle famiglie di cinque persone o più. Il trend è in aumento pure tra le coppie di giovani adulti e tra le coppie con uno o due figli. Insomma, sulle politiche «per la famiglia», nonostante le belle parole che si sprecano da almeno dieci anni, siamo ancora all’anno zero o giù di lì. E non basta: «In crescita la percentuale di famiglie povere anche tra quelle di lavoratori dipendenti, per le quali si passa dall’8% al 9%».

 

Paternità bloccata

Ma torniamo ai giovani. E andiamo a Roma. «Nel 2004 ho collaborato con un istituto di ricerca per un report sulla povertà infantile e sulla società del consumo. Ed è finita che nelle ricerche che mi venivano sotto mano... mi ci sono ritrovato anch’io, anche se ho 31 anni!». Andrea Doddi, una laurea in Scienze della comunicazione, vive con un amico ed è tra i promotori della nuova rete spontanea dei “Parainsubordinati” (www.bloggers.it/parainsubordinati).

Fra 2004 e 2005 Andrea ha collezionato otto o nove lavori. Alcuni portano etichette mica male: redattore di programmi Tv, rapporti con la stampa, ricerche di casting per telequiz... Peccato solo che il minimo comun denominatore di tutto questo sia l’aggettivo “precario”. L’ultimo contratto Andrea l’ha firmato con il Museo dei bambini di Roma. Senti, ma che cosa vuol dire per un giovane come te essere “povero”? «Vuol dire dover chiedere aiuto ai genitori per comprare un Pc - risponde Andrea a DN -. Vuol dire farsi continuamente due conti: posso permettermi la pizza con gli amici, stasera? Vuol dire lavorare anche nel weekend per portare a casa 800-900 euro. Certo non c’è solo il lavoro, anch’io cerco di “vivere fino in fondo”, e mi piacerebbe diventare padre, un giorno. Ma mi sento come bloccato». Qualcuno dice che non vi sapete adattare. «Non è vero. Piuttosto ci piacerebbe poter trovare anche delle soddisfazioni, nel nostro lavoro: e se le trovassimo saremmo ancora più motivati».

 

 

Casa, salata casa

Eppure c’è chi ha più problemi di Andrea. Luchino, 11 anni, vive e cresce nella periferia Sud di Milano. Il papà operaio e la mamma, che fa la colf, devono rimediare 1830 euro d’affitto ogni trimestre, spese incluse. Ma il papà ha avuto un problema alla schiena, ha perso il lavoro e nel giro di tre mesi la famigliola non ce l’ha più fatta a pagare. Fulminea la lettera dell’avvocato. Come se non bastasse, proprio in questo brutto periodo Luchino ha avuto bisogno della classica minibiblioteca dei libri di testo che servono per affrontare la prima media. I suoi sono stati aiutati dalla rete della Caritas ambrosiana, papà ha trovato un nuovo lavoro in una cooperativa. Ma prende soltanto 500 euro al mese, la mamma 600. E così, alla fine, hanno ricevuto lo sfratto per morosità. Gli dà una mano anche la parrocchia, il sindacato inquilini li segue nella pratica per la casa popolare e gli ha suggerito di versare alla padrona di casa, per adesso, un canone ridotto, «per mostrare al Comune che la famiglia ha buona volontà e che la morosità è stata causata dall’esosità della cifra richiesta».

«Una situazione significativa - denuncia l’ultimo rapporto sulle povertà a Milano della Caritas ambrosiana -, perché è quello che sta avvenendo a tanti nuclei familiari e persone: la precarietà lavorativa e gli stipendi bassi dei lavoratori non permettono di sostenere le spese d’affitto».

I casi limite di una metropoli che corre troppo veloce, lasciando indietro chi non tiene il suo ritmo? Mica tanto. Una fonte non sospetta, ancora una volta il rapporto del governo sull’esclusione sociale, registra che nel 2002 l’11% delle famiglie italiane ha confessato all’Istat, con probabile vergogna, di essersi trovata in difficoltà nel comprare da mangiare, onorare bollette o sostenere le spese per cure mediche. Insomma, nel mettere insieme il pranzo con la cena, nel pagare in tempo la luce, il gas o il ticket per la visita specialistica, nel comprare un antibiotico. Un’indagine dell’Isae (Istituto di studi e analisi economica) ha diffuso dati più recenti e ancora più preoccupanti: se ne 2001 le famiglie che denunciavano difficoltà econmomiche nell’acquisto degli alimentari erano il 7%, negli anni successivi la percentuale è cresciuta fino al 15% nel 2004, con un calo minimo al 13% nel 2005. Eccola, la fotografia della povertà da 21° secolo.

 

Off limits

Ma c’è anche la povertà più estrema, quella dei “senza dimora”. Solo a Milano sono 5000, decine di migliaia in tutta Italia. «Una realtà che ci chiede rinunciare ai falsi miti - dicono nel rapporto Caritas gli operatori del Sam, il Servizio della diocesi milanese per l’emarginazione grave -. Primo fra tutti, il mito del “barbone per scelta”: in realtà nessuno sceglie di vivere in miseria... Oltre quei volti ci sono storie diverse, percorsi fatti di fallimenti, abbandoni, sofferenze, problemi che si accumulano strato dopo strato, sino a diventare insostenibili».

Anche tra i giovani. Ne abbiamo parlato con Raffaele Gnocchi, responsabile del Sam. «Evidentemente non è normale che un ragazzo si ritrovi in strada a 18, 20 o 25 anni . Spesso i giovani sono quelli che hanno alle spalle storie di tossicodipendenza. Però in generale si stanno rivelando situazioni di estrema precarietà: persone apparentemente normali che vivono storie di povertà materiale e relazionale. E accanto alla vecchia “icona” del clochard con la barba lunga e i sacchetti di plastica, vediamo sempre più persone, anche giovani, senza lavoro e senza casa, ma anche con tanta solitudine, e con relazioni interrotte alle spalle».

Come è capitato a Cosimo (nome di fantasia), sempre nel Milanese. Manovale, 22 anni, si portava dentro una fragilità che lo ha fatto andare in crisi proprio sul lavoro, un “luogo” che, si sa, ha i suoi tempi e le sue regole. Cosimo ha finito per lasciare tutto, anche la casa e la famiglia, e la strada non ha fatto certo bene al suo malessere. Tuttavia, accolto dal Sam, ha saputo ritrovare il lavoro e, dopo due anni, un alloggio nelle graduatorie popolari.

Dall’ultima indagine nazionale sui senza dimora in Italia, realizzata dalla Fondazione Zancan nel 2000, emerge che quasi la metà dei “barboni” non superano i 37 anni. Molti sono immigrati. Ma sono proprio questi ultimi e non gli italiani ad avere più chance d’uscire dalla strada, prima o poi. Ancora Gnocchi: «Il giovane immigrato arriva in Italia con un progetto “forte”, è pronto a vivere sotto i ponti. Noi diciamo che in genere gli immigrati sono “senza casa”, mentre gli italiani sono “senza dimora”. Un’espressione, la seconda, che esprime mancanza di relazioni, d’opportunità e di affetti, oltre che di un tetto».

 

Quell’Italia (più?) disuguale

• «L’accrescimento della ricchezza, gli investimenti in immobili per fini speculativi (secondo o terzo immobile da cui ricavare una rendita) e l’accrescimento delle attività finanziarie liquide sono state negli ultimi anni prerogativa di un numero abbastanza ristretto di famiglie. Negli ultimi 10 anni la quota di patrimonio totale detenuta dal 5% delle famiglie più ricche in Italia è passata dal 27% al 32% della ricchezza totale, indicando un fenomeno di concentrazione dei patrimoni» (fonte Censis, 2005).

• In Italia il 20% più ricco della popolazione ha redditi/consumi pari a 6 volte il 20% più povero, quasi come la Francia. Più “disuguale” il Regno Unito, con un rapporto pari a 7, ma molto più “egualitarie” la Norvegia, la Svezia e la Finlandia: in quei Paesi il rapporto è pari a 4 (fonte Undp, 2005).

 

Povertà Duemila rischio solitudine, rischio cultura

A Milano il Siloe (Servizi integrati lavoro orientamento educazione) della Caritas ambrosiana riassume così i problemi delle persone a rischio di esclusione che il servizio accoglie: «Solitudine ed estraneità, insufficienza culturale, precarietà economica», ma anche la «copresenza di fattori di debolezza» (IV Rapporto sulle povertà nella diocesi di Milano, 2005).

A Torino le periferie sono certamente migliorate rispetto a qualche decennio fa. Ma è ancora frequente trovarvi situazioni di grave indigenza economica sommata ad altre forme di disagio. Nel quartiere delle Vallette la signora Giuliana, del gruppo di Volontariato vincenziano con sede presso la parrocchia della Sacra Famiglia di Nazaret, e il signor Egidio, delegato zonale dell’Ufficio Pio della Compagnia di San Paolo (teniamo riservati i loro cognomi per il delicato servizio che svolgono) ci hanno riferito queste situazioni: l’aumento di famiglie italiane che chiedono aiuto, anche solo per pacchi alimentari; una certa frequenza di famiglie che non riescono a gestire le (scarse) risorse a disposizione, a causa di gravi forme di povertà anche culturale: alcuni di questi nuclei hanno accumulato debiti pesanti, magari per non aver pagato per decenni l’affitto della casa popolare. In altre famiglie, invece, si registrano situazioni di disabilità psichica o apatia, e magari si sopravvive precariamente con la pensione di un anziano. In generale si tratta di nuclei che faticano ad “orientarsi” in un sistema di servizi sempre più complesso. Ma ci sono anche i casi di famiglie che, con pudore, chiedono una mano per la crisi dell’aziendina familiare: «Per loro, poveri non “cronici”, è meno difficile risollevarsi, ritrovare un lavoro», dice il signor Egidio.   

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