Papa Wojtyla, colui che forgiò il termine elogiativo di "genio femminile", su una questione centrale come la pena di morte trovò un consiglio "illuminante" in una religiosa americana che ha fatto della lotta abolizionista la sua ragione di impegno di fede e passione...
del 19 novembre 2008
Papa Wojtyla, colui che forgiò il termine elogiativo di 'genio femminile', su una questione centrale come la pena di morte trovò un consiglio 'illuminante' in una religiosa americana che ha fatto della lotta abolizionista la sua ragione di impegno di fede e passione. Con un impegno pro life integrale: un anno fa suor Helen Prejean ad Avvenire disse che «è importante affermare in modo pieno la dignità della vita umana: oltre ad essere contro la pena capitale, sono contraria all’eutanasia e all’aborto, che resta l’uccisione di un uomo non nato». Quando si pronuncia il nome della Prejean, i più scuotono la testa affermando di non conoscerla. Ma se subito dopo si cita il film di Tim Robbins Dead Man Walking – un’intensa Susan Sarandon interpreta questa religiosa delle Sister of Joseph of Medaille, nata nel 1939 in Louisiana – allora viene riconosciuta da tutti.
Il volto della Sarandon – che per quell’interpretazione vinse l’Oscar quale miglior attrice protagonista – ha globalizzato la dedizione di questa suora yankee quale paladina della dignità dell’uomo contro il sopruso statale della pena capitale. Una piaga che negli anni si sta pian piano rimarginando: se nel 1957 erano solo sei le nazioni che non la prevedevano, nel 2000 i Paesi abolizionisti erano diventati settantadue; nel 2004 si era saliti a ottanta. Ultimo in ordine di tempo, l’Uzbekistan; ora si attende la Corea del Sud, abolizionista de facto da oltre dieci anni. E in questo cambio di prassi e mentalità sulla difesa della vita umana – anche del più incallito tra gli assassini – molto ha pesato il ruolo dei cattolici e della Chiesa.
A ricostruire un particolare significativo in tal senso è la stessa Prejean nel suo volum La morte degli innocenti (pagine 426, euro 29,00), che San Paolo manda oggi in libreria. Il testo, «una testimonianza diretta sulla macchina della pena di morte in America», ricostruisce alcune vicende di tali uccisioni innocenti – «Dal 2004, 117 persone condannate in maniera errata sono state rilasciate dal braccio della morte», denuncia la suora-attivista – e al contempo argomenta, sentenze giuridiche alla mano, l’inutilità di tale prassi anti-umana. Arrivando a stigmatizzare l’aggravante razzista e 'anti-sociale' di questa pratica: «Il 99% dei detenuti nel braccio della morte negli Usa è indigente; la stragrande maggioranza di essi – l’85% – è stata condannata per aver ammazzato persone bianche». Dunque, Giovanni Paolo II: a tutti sono noti i suoi molteplici appelli per vari carcerati in attesa della fine sulla sedia elettrica. Ma ancora poco conosciuto è il ruolo del pontefice polacco nel «far deviare il corso del fiume» – sono parole della Prejean – rispetto alla liceità della pena di morte. Fu lui a far modificare (nel 1997) l’articolo 2266 del Catechismo della Chiesa cattolica con cui praticamente si escludeva la moralità del ricorso alla sanzione estrema contro un colpevole. «La legittima autorità pubblica ha il diritto e il dovere di infliggere pene proporzionate alla gravità del delitto», si legge nel Catechismo modificato nel ’97. Lo stesso articolo, prima di tale revisione, aggiungeva: «Senza escludere, in casi di estrema gravità, la pena di morte». Dietro a tale cambiamento ci sarebbe anche lo 'zampino' di suor Helen: «Il 22 gennaio scrissi una lettera a Giovanni Paolo II: 'Il suo intervento sulla pena di morte nella Evangelium Vitae è giunto come fresca brezza a rincuorarci. […] Spero ardentemente che arrivi il giorno in cui l’opposizione cattolica nei confronti delle esecuzioni imposte dallo Stato diventerà decisa e unanime'». Il nodo, spiega suor Helen ad Avvenire, era proprio quell’inciso, «in casi di estrema necessità»: «Al Papa scrissi: 'Santità, non ci può essere nessun caso di necessità né alcuna eccezione per giustificare le esecuzioni'». Annota la religiosa nel suo libro: «Il 29 gennaio il cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, ha annunciato che nel Catechismo verrà apportata una modifica per adeguare il testo ai recenti 'progressi della dottrina' riguardo alla pena di morte».
Tale modifica venne resa operativa nel nuovo Catechismo rivisto, edito l’8 settembre 1997: «Il cambiamento più cospicuo nel magistero della Chiesa in materia di pena capitale mai verificatosi nel corso di 1600 anni di storia», sentenzia la suora. Non solo Wojtyla: la Prejean riconosce nel risveglio della coscienza cattolica uno dei punti qualificanti del movimento abolizionista: «Dal 1972 al 1998 i vescovi cattolici americani, individualmente o in sede di conferenze, rilasciarono 130 dichiarazioni contro la pena di morte. Altre conferenze cattoliche nazionali – in Canada, Irlanda, nelle Filippine e altre – si pronunciarono per l’abolizione della pena capitale». Tanto che, se negli anni Sessanta il 65% dei cattolici Usa appoggiava la sedia elettrica, ora si è scesi al 40%.
Addirittura la moratoria approvata dall’Onu nel dicembre 2007 ha radici saldamente cattoliche: «Al primo Congresso mondiale sulla pena di morte svoltosi a Strasburgo nel giugno del 2001 – ricorda suor Helen – la delegazione vaticana, con a capo monsignor Paul Gallagher, propose una moratoria per l’abolizione della pena capitale».
 
Lorenzo Fazzini
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