La prevenzione ha, per Don Bosco, un carattere fondamentalmente positivo: propone mete da raggiungere, vuole che il giovane, che 'non è per sé stesso d'indole perversa', faccia l'esperienza del bene...
del 05 gennaio 2007
La ricerca del termine 'preventivo' nelle pagine delle Memorie dell'oratorio riuscirebbe infruttuosa. Non vi compare affatto. Non vi compaiono neppure il verbo 'prevenire' e il sostantivo 'prevenzione'. Tuttavia si trovano nello scritto dei sinonimi -'tutelare', 'evitare' e 'fuggir i pericoli'- e sono ribaditi, in pi√π passaggi, concetti analoghi. Altri termini, come 'provvedere', definiscono e completano il senso e l''ambito della forte attenzione preventiva di Don Bosco.
 
 
   In sintonia con il contesto storico 
Tale attenzione si inserisce all'interno di un contesto storico particolarmente sensibile al problema. La prevenzione occupa uno spazio rilevante nella pubblicistica, nella cultura, nella mentalità della prima metà dell'Ottocento.
Nell'ambito del pauperismo e della mendicità, gli sforzi vanno indirizzati più a prevenire la miseria che a soccorrerla, suscitando nel popolo lo spirito di previsione e di economia. A questo scopo, fioriscono svariate iniziative: ospedali; istituti per esposti, orfani e vecchi; enti di soccorso.
In campo penale e carcerario la prevenzione assume un duplice significato: in primo luogo, mettere in atto mezzi efficaci perché non vengano commessi delitti; in secondo luogo, ad operare mezzi correttivi, di rieducazione e recupero, in modo da evitare nuove trasgressioni.
Già negli anni centrali del Settecento, Cesare Beccaria, nel volume Dei delitti e delle pene (1764) aveva affermato con forza che 'è meglio prevenire i delitti che punirli'. E, per il celebre penalista milanese, 'il più sicuro ma più difficile mezzo di prevenire i delitti' era 'perfezionare l'educazione'.
La preoccupazione preventiva si fa ampia strada tra i pedagogisti e gli educatori. Ferrante Aporti dichiara negli anni 40 dell'Ottocento che la ragione fondamentale dell'esistenza della scuola infantile generale è stata la 'carità diretta a prevenire anziché lasciar rinascere i mali per vendicarli'. Egli stesso si propone di dar vita ad una rete di nuove istituzioni dirette a impedire l'immoralità fin dall'infanzia.
Queste idee erano condivise dal gruppo di collaboratori de 'L'educatore primario'. Ed è ben documentato che alcuni quaderni della rivista torinese sono stati utilizzati da Don Bosco nella stesura dei suoi scritti. Lo stesso Don Bosco racconta, nelle Memorie dell'Oratorio, che l'abate Aporti, professore di metodica all'Università di Torino e creatore della prima scuola infantile in Italia, si trovò qualche volta tra gli 'spettatori' dei 'pubblici saggi' dell'insediamento festivo dati a Valdocco.
 
 
   Prevenire il male e fare esperienza del bene 
Don Bosco è in sintonia con il clima culturale del tempo. Non ha, però una concezione esclusivamente difensiva della prevenzione, riscontrabile, del resto, in alcuni settori conservatori. Egli parla spesso di 'fuggir i pericoli', ma lo scopo della sua opera è anzitutto evitare le cause che facilitano, favoriscono o generano le secrete pericolose e gli errori gravi. Nelle visite ai carcerati ha osservato che dall'abbandono, dalla mancanza d'istruzione e di lavoro dei giovani immigrati nascono molti vizi, e ha constatato anche che la permanenza delle carceri non produce in loro alcun miglioramento.
Per questi giovani sono organizzati oratori festivi, e, più tardi, anche scuole, laboratori artigiani, collegi. Don Bosco sa che i ragazzi hanno bisogno di 'una mano amica' che li preservi dal vizio, è anche consapevole che quella mano amica deve prendersi cura di loro, accompagnarli, promuovere le loro energie e 'portarli alla virtù'.
La prevenzione ha, per Don Bosco, un carattere fondamentalmente positivo: propone mete da raggiungere, vuole che il giovane, che 'non è per sé stesso d'indole perversa', faccia l'esperienza del bene. Il suo è un atteggiamento che suppone nell'educatore la capacità di assumersi la responsabilità di indicare mete ragionevolmente impegnative, accompagnare lungo strade e percorsi rischiosi, garantire il rientro in caso di eventuali scacchi e fallimenti.
Volendo fare un primo bilancio delle attività tra i giovani bisognosi d'istruzione, specialmente quelli usciti dalle carceri, Don Bosco fa questa riflessione nelle Memorie dell'Oratorio: 'Fu allora che io toccai con mano che i giovanetti usciti dal luogo di punizione, se trovano una mano benevola, che di loro si prenda cura, li assiste nei giorni festivi, studi di collocarli a lavorare presso di qualche onesto padrone, e andandoli qualche volta a visitare lungo la settimana, questi giovanetti si davano ad una vita onorata, dimenticavano il passato, divenivano buoni cristiani ed onesti cittadini'.
E collocandosi sempre in un'ottica propositiva, aggiunge: 'Sebbene mio scopo fosse di raccogliere soltanto i più pericolanti fanciulli, e di preferenza quelli usciti dalle carceri, tuttavia per avere qualche fondamento sopra cui basare la disciplina e la moralità, ho invitato alcuni altri di buona condotta e già istruiti'.
 
 
   La lezione della esperienza familiare e scolastica 
In questo punto va ricordata la significativa presenza della madre, mamma Margherita. Questa, nei suoi interventi, mira ad allontanare i pericoli dai figli. Manette l'accento con maggior forza su elementi positivi: istruzione, vita religiosa, impegno nel lavoro.
La pressante raccomandazione fatta a Giovanni di fuggir i cattivi compagni va accompagnata dall'invito a frequentare la compagnia di quelli devoti della Madonna. L'azione non fu da lui dimenticata. Studente a Chieri, distingue 'tre categorie di compagni: buoni, indifferenti, cattivi'. Questi ultimi decide di 'evitarli assolutamente e sempre appena conosciuti'. Nell'ambiente studentesco del tempo non erano eccezionali i pericoli e le occasioni di fare esperienze negative. Don Bosco, ricordando quel periodo della sua vita che confida di avere 'dovuto lottare non poco'. Alcuni compagni lo invitano a divertimenti e spettacoli teatrali che ritiene immorali, altri lo incitano a rubare.
(...)
Più tardi, i contatti con i carcerati 'ricondotti a luogo di punizione, da cui erano da pochi giorni usciti' spronare il giovane prete dei Becchi nel suo impegno di prevenzione. Egli constata che la permanenza nel carcere non rende migliori i giovani, anzi li fa diventare peggiori. Convinto d'altra parte, che la gioventù non è cattiva di per sé, conclude che all'origine di percorsi sbagliati si trovano incontri pericolosi, esempi deplorevoli, ozio, abbandono familiare, ignoranza, mancanza di lavoro.
L'Oratorio cercava di dare una risposta d'urgenza queste situazioni. Infatti, l'invito a parteciparvi rivolto ai ragazzi che percorrono le strade e le piazze della città ha una chiara intenzione preventiva. Lo stesso si dovrebbe dire degli incontri con i giovani immigrati che lavorano nelle botteghe durante la settimana e che nelle giornate di festa non hanno alcun porto di riferimento.
 
 
   Proposte e interventi 
La volontà di tutelare quei giovani da rischi ritenuti eccessivi si traduce in proposte e interventi puntuali benché in contesti e a livelli diversi.
Nella cornice di una doppia esigenza -prevenzione di pericoli di pervertimento e ricerca dei mezzi di progresso - si colloca, di fatto, tutta l'articolata attività di Don Bosco. Questi, con i catechismi festivi, i 'giardini di ricreazione', le scuole domenicali e serali, l'ospizio per poveri orfanelli, le esperienze dei primi laboratori per apprendisti e altre realizzazioni, intende dare una risposta a urgenti bisogni giovanili.
Al medesimo scopo rispondono le sue iniziative editoriali (...).
La risposta alle situazioni di bisogno comportò la creazione di nuove istituzioni. 'Molti giovanetti torinesi e forestieri pieni di buon volere di darsi ad una vita morale e laboriosa; ma invitati a cominciarla solevano rispondere, non avere né pane, né vestito, né alloggio ove ricoverarsi almeno per qualche tempo'. Per questi ragazzi 'abbandonati e pericolanti' si aprì nel 1847 a Valdocco il primo internato. Ma si presentò ancora 'una grande difficoltà'. Non avendosi laboratori nell'istituto, gli allievi andavano a lavorare e a scuola in città. E ciò avveniva secondo don Bosco , 'con grande scapito della moralità' perché 'i compagni che incontrava i discorsi che udivano, e quello che vedevano, facevano tornare frustraneo quanto loro si faceva e si diceva dell'Oratorio'.
Come mezzo preventivo per rispondere alla 'grande difficoltà' sperimentata, furono organizzati alcuni anni più tardi, i primi laboratori (1854) e scuole (1855) nella casa annessa all'Oratorio.
Le articolate realizzazioni presero le mosse da una convinzione profondamente radicata: 'I pericoli, cui i giovanetti erano esposti in fatto di religione e di moralità, richiedevano maggiori sforzi per tutelarli'. Di fronte alla complessità dell'impresa, don Bosco sente la necessità di avere qualcuno che gli venga 'in aiuto nelle cose domestiche e scolastiche'. Sta ormai pensando ad una istituzione che possa continuare l'opera intrapresa. Comincia conducendo alcuni giovani in campagna in villeggiatura a Castelnuovo; invita altri a pranzo; altri ancora si radunano attorno a lui di sera per completare la loro formazione intellettuale. Lo 'scopo particolare' di queste iniziative era 'studiare, conoscere, scegliere alcuni individui che avessero attitudine e propensione alla vita comune'. Don Bosco lo confessa schiettamente, ma dopo aver affermato di aver agito 'sempre con lo scopo di opporre un antidoto alle velenose opinioni del giorno'.
L'opposizione diventa proposta educativa, attuata in profonda unione con i collaboratori.
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