Tutte le piattaforme di social network (da Facebook a MySpace, da LinkedIn a Twitter...) sono insieme un potenziale aiuto alle relazioni ma anche una possibile minaccia. Con il loro avvento la gestione della privacy sembra aver subìto un radicale cambiamento di significato. L'articolo espone in breve il problema e fornisce qualche consiglio per un uso responsabile degli strumenti che la tecnologia oggi ci mette a disposizione.
del 04 settembre 2009
  
 
Nel momento in cui usciamo di casa al mattino è come se «pubblicassimo» noi stessi nel mondo. Usciamo dalla nostra sfera privata e domestica per entrare in relazione col mondo che ci circonda, con i colleghi di lavoro, gli amici, le persone che non conosciamo e che incontriamo per strada. In un certo senso si potrebbe dire che, per vivere pienamente, l’essere umano debba abbassare il livello della propria privacy esponendosi al mondo, alle sue opportunità e ai suoi rischi. Certo però, se pure siamo visibili, noi siamo identificabili solamente da chi già ci conosce e sa qualcosa di noi. I «dati sensibili» della nostra vita sono sotto controllo perché comunque così rispondono all’ambito delle nostre conoscenze, e noi possiamo «dosare» le informazioni a seconda delle persone che abbiamo davanti: in famiglia o tra amici intimi le informazioni condivise sono moltissime; con le conoscenze a più ampio raggio invece sono minori, più calibrate e mirate. Con l’avvento dei cosiddetti social network (1) la gestione della privacy sembra aver subìto un radicale cambiamento di significato. Cercheremo qui in breve di esporre il problema e di fornire qualche consiglio utile non per mettere in fuga possibili utenti, ma per contribuire a un uso responsabile degli strumenti che la tecnologia oggi ci mette a disposizione.
 
 
Nuovi ambienti di condivisione
 
L’abbiamo già più volte scritto sulla nostra rivista e lo ripetiamo ancora una volta: se l’uso più comune della Rete fino a qualche tempo fa era legato alla consultazione di siti per ottenere informazioni, adesso l’approccio comune è radicalmente cambiato. Internet non è più un agglomerato di siti web isolati e indipendenti tra loro, seppure collegati e messi in rete, ma è da considerare, almeno a livello potenziale, come l’insieme delle capacità tecnologiche raggiunte nell’ambito della diffusione e della condivisione dell’informazione e del sapere, dunque pure delle informazioni sulla propria persona. Il web oggi è dunque sempre più un luogo di partecipazione e di condivisione. Un social network è costituito da un gruppo di persone aperte a condividere pensieri, conoscenze, ma anche pezzi della loro vita: dai link ai siti che ritengono interessanti, fino alle proprie foto o ai video personali. Insomma i social network sono composti da persone comuni, che distribuiscono contenuti relativi ai propri interessi o alla propria esistenza.
 
Il fenomeno più recente in questo campo è la crescita di spazi chiusi, legati a piccoli gruppi di persone che hanno qualcosa in comune o comunque selezionati in base a qualche criterio, community che danno maggiormente il senso di una partecipazione relativamente ristretta. Facebook è solamente uno di questi network sociali, forse attualmente il più noto, ma vale la pena almeno citare qualche altro nome di network di successo: MySpace, Hi5, Flickr, Skyrock, Friendster, Tagged, LiveJournal, Orkut, Fotolog, Bebo, LinkedIn, Badoo, Multiply, Imeem, Ning, Last.fm, Twitter, MyYearbook, Vkontakte, aSmallWorld, Windows Live, Anobii, Xiaonei...
 
Tutte queste piattaforme si inseriscono nella vita delle persone che decidono di utilizzarle, trasformandosi in ambienti di condivisione di se stessi, dei propri interessi, di uno o dell’altro aspetto della propria vita. Chi vi entra, è come se «pubblicasse» se stesso nel mondo della Rete, rendendosi, appunto, «pubblico» dentro quelle community. Come ha affermato Benedetto XVI nel suo messaggio per la 43a Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, «le nuove tecnologie digitali stanno determinando cambiamenti fondamentali nei modelli di comunicazione e nei rapporti umani». Quali sono tali cambiamenti? Le differenze tra questa forma di presenza sociale rispetto a quella che ogni mattina tutti realizzano uscendo da casa è evidente: mentre fino a poco tempo fa le persone avevano rapporti diretti con gli altri senza aver bisogno di tante mediazioni tecnologiche, a parte il telefono e la posta, negli ultimi anni non solo la telefonia è divenuta digitale e la posta, elettronica, ma in genere nel tessuto sociale ha fatto irruzione un articolato e complesso sistema di mediazioni tecnologiche. La gente si conosce, si incontra e tiene vive le relazioni anche senza vedersi e sentirsi, persino senza incontrarsi realmente. Questo cambiamento ha certamente aspetti molto interessanti e positivi: le famiglie possono restare in contatto anche se divise da enormi distanze, gli studenti e i ricercatori possono lavorare in équipe da luoghi diversi, gli amici possono condividere la loro esistenza anche se la vita li ha separati per esigenze di studio o lavoro, e gli esempi potrebbero moltiplicarsi.
 
Tuttavia, perché questo avvenga, sempre più si amplia la propria cerchia di conoscenze, e sempre più si mettono a disposizione di altri informazioni (dai dati biografici alle fotografie, ai gusti personali, al nome dei propri amici, ai brani musicali che ci piacciono di più), delle quali non si controlla più davvero la divulgazione. I social network «servono» per entrare nella vita degli altri e permettere agli altri di entrare nella propria. L’entusiasmo, giustificato per altro, della scoperta di nuove possibilità rischia tuttavia di far perdere la misura. È triste constatare che a volte, finita la cena, genitori e figli non stanno più insieme perché devono curare le proprie amicizie virtuali, ciascuno davanti al computer personale. La tecnologia non è nemica delle vere relazioni: anzi, può essere la loro migliore alleata. Occorre però imparare a integrarla nel contesto della propria vita. Non è un compito facile e richiede pazienza, specialmente per i genitori. Richiede infatti una decisione su cosa fare e come stare nelle piattaforme di network sociale.
 
Specialmente gli educatori non devono dimenticare che la Rete è un fatto, una realtà viva per molti giovani (oltre che per se stessi): fa ormai parte della vita quotidiana di molte persone. E la tecnologia sempre di più sarà integrata con la nostra vita ordinaria, divenendo anche sempre più «invisibile». Se una volta era necessario sedersi al computer per essere connessi, adesso basta avere un telefonino evoluto per avere la Rete sempre in tasca, a portata di mano. La novità non va affrontata col sospetto, ma con la consapevolezza delle opportunità che presentano però anche rischi.
 
 
Il controllo della «privacy»
 
Uno dei rischi è appunto quello di perdere il controllo della propria privacy. Per questo si moltiplicano le iniziative che servono ad aiutare le persone a tutelare i propri dati personali. Di recente, fra l’altro, il Garante per la protezione dei dati personali ha messo a disposizione un opuscolo che aiuta a capire come assumere un atteggiamento vigile e consapevole nell’accedere ai social network (2). Ricordiamo che l’attività del Garante  è stata istituita dalla legge sulla privacy (dapprima legge 31 dicembre 1996 n. 675, ora decr. legs. 30 giugno 2003 n. 196) per assicurare la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali e il rispetto della dignità nel trattamento dei dati personali in ogni settore della vita sociale economica e culturale del Paese.
 
Perché c’è bisogno di una guida, di «istruzioni per l’uso»? Perché, sebbene le piattaforme di condivisione che abbiamo citato diano l’impressione di essere uno spazio ben definito e definibile, questo senso di «intimità» rischia di essere frainteso o considerato troppo sicuro. A volte si innescano fenomeni di «tecno-dipendenza», che contribuiscono ad abbassare il livello di percezione del pericolo (3). Questo spinge molti a esporsi liberamente, rivelando informazioni strettamente personali e provocando effetti, anche a distanza di anni, che non devono essere esagerati ma neanche sottovalutati. In tale ambito delicato, dunque, l’autotutela ha un ruolo imprescindibile e insostituibile, forse persino più di ogni intervento legislativo, in quanto la materia è in costante evoluzione, ma non sempre è adeguata ai tempi, e si deve inoltre considerare l’incidenza dell’assenza di confini territoriali del diritto (4).
 
Il Garante segue con attenzione gli sviluppi delle forme di comunicazione in Rete ed è impegnato a livello internazionale per definire regole e comportamenti che tutelino gli utenti e le libertà individuali. Ma proprio il Garante ricorda che la maggior parte dei siti di social network ha sede all’estero, e così i loro server. In caso di disputa legale o di problemi insorti per violazione della privacy, non sempre si è tutelati dalle leggi italiane ed europee. Qual è allora il problema fondamentale? Quando si inseriscono i propri dati personali su un sito di social network, sostanzialmente se ne perde il controllo. I dati possono essere registrati da tutti i propri contatti e dai componenti dei gruppi dei quali si fa parte e, quindi, rielaborati e diffusi, anche a distanza di anni.
 
A volte, accettando di entrare in un social network, si concede all’impresa che gestisce il servizio la licenza di usare senza limiti di tempo il materiale che viene inserito on line: foto, scritti, pensieri, nomi degli amici… E se poi si decide di uscire da un social network? Questo è sempre possibile, ma occorre fare attenzione perché in alcuni casi viene permesso all’utente solamente di «disattivare» il proprio profilo, non di «cancellarlo» completamente e definitivamente. Ciò significa che i dati, le informazioni e i materiali resi pubblici on line potrebbero rimanere comunque conservati negli archivi informatici dell’azienda che offre il servizio. Ma potrebbe verificarsi anche il caso opposto, cioè quello di veder disattivato il proprio profilo inspiegabilmente e senza preavviso perché uno dei programmi che controlla l’attività degli utenti ha «frainteso» qualche comportamento giudicandolo senza motivo inappropriato. In tal caso è come se venisse sottratta e d’improvviso la propria identità in Rete con tutti i contatti, le relazioni, i messaggi e i materiali, che diverrebbero dunque non più reperibili neanche da chi li ha immessi (5).
 
E infine: altri potrebbero mettere in Rete materiali che ci riguardano, ad esempio foto, a volte persino indicando a tutto il network l’identità del nostro volto senza averne avuto preventivamente l’autorizzazione. Occorre dunque, oltre a usare norme di buona educazione e di responsabilità personale, essere consapevoli di che cosa si sta facendo, leggendo le condizioni di uso e le garanzie di privacy offerte dal contratto che si sottoscrive per attivare il proprio account.
 
I servizi sono offerti da imprese a scopi commerciali non da filantropi, anche se vanno diffondendosi iniziative no profit e «dal basso». Quindi la loro gratuità in termini di pagamento in denaro non significa che essa non implichi altre forme di guadagno per l’impresa. La loro prima fonte di guadagno è quella pubblicitaria, e spesso questa pubblicità è mirata. Il valore delle imprese che forniscono servizi in Rete è strettamente legato anche alla loro capacità di analizzare in dettaglio il profilo, le abitudini e gli interessi dei propri utenti, per poi rivendere a pagamento le informazioni. Sarebbe errato passare da queste osservazioni alla conclusione che è bene stare lontani dai social network. Anche la pubblicità non dovrebbe allarmare più del dovuto: sappiamo che le pubblicità «pagano» la ristrutturazione di palazzi d’epoca o finanziano la pubblicazione di giornali, specialmente di riviste specializzate. Nessuno si stupisce che una rivista di montagna pubblicizzi materiali per fare trekking o una rivista di letteratura pubblicizzi libri. Nel caso dei social network il problema è il legame tra la pubblicità e il profilo personale, ovviamente. Ma ogni forma di comunicazione comporta rischi, in realtà, e questo non è un buon motivo per isolarsi. Tuttavia è importante essere consapevoli dei rischi di ogni ambiente, e dunque anche di quello digitale.
 
 
Alcuni consigli
 
Possono essere utili allora alcuni consigli pratici. Il Garante ne fornisce alcuni che qui sintetizziamo.
 
1) Autogoverno: occorre pensare bene prima di pubblicare dati personali, accettare proposte di amicizia, pubblicare materiali che, anche dopo anni, potrebbero emergere dal «nulla» grazie ai motori di ricerca.
 
2) Rispettare gli altri: bisogna imparare ad astenersi dal pubblicare materiali che coinvolgano altre persone senza il loro consenso.
 
3) Cambiare i dati di accesso: è bene usare differenti «nome utente» e password per accedere alle varie piattaforme usate, ricorrendo anche a pseudonimi differenti.
 
4) Essere informati: è necessario essere consapevoli di chi gestisce il servizio e di quali garanzie offre circa il trattamento dei dati personali.
 
5) Impostare i livelli di «privacy»: bisogna verificare sempre i livelli di «privacy» preimpostati ed eventualmente modificarli, possibilmente, almeno all’inizio, usando la massima cautela e limitando al massimo la disponibilità di informazioni, soprattutto per quanto riguarda la reperibilità dei dati da parte dei motori di ricerca.
 
6) Attenzione all’identità: è bene verificare, se è possibile, che l’identità virtuale della persona con la quale dialoghiamo in Rete corrisponda davvero all’identità reale di chi crediamo che sia; è facile creare false identità e «clonare» profili: basta disporre di una foto e di qualche dato personale.
 
7) Controllare le modifiche unilaterali: è bene sapere che i fornitori di servizi possono introdurre unilateralmente modifiche al contratto, e dunque occorre verificare quando questo accade e che cosa prevedono le nuove norme.
 
Il bisogno di conoscere e di farsi conoscere, il bisogno di vivere l’amicizia e le relazioni umane sono tutti bisogni «seri», che in Rete si bilanciano con i rischi propri della diffusione di dati personali. Tutte le piattaforme di social network sono insieme un potenziale aiuto alle relazioni, ma anche una loro minaccia. Le relazioni umane non sono un semplice gioco e richiedono tempi lunghi e conoscenza diretta. Quelle mediate dalla Rete sono sempre necessariamente monche se non hanno un’integrazione nella realtà della vita ordinaria. È fondamentale comprendere che non deve esistere una demarcazione netta tra la realtà di tutti i giorni, dei contatti diretti, e quella che ci viene mediata dalla tecnologia: le due dimensioni sono chiamate ad armonizzarsi e a integrarsi quanto più è possibile in una vita di relazioni piene e sincere.
 
 
 
1 Rinviamo il lettore ad almeno due nostri articoli pubblicati precedentemente: «Web 2.0: Internet come “rete sociale”», in Civ. Catt. 2007 IV 111-124 e «Il fenomeno “Facebook”», ivi, 2009 I 146-159.
2 Cfr http://www.garanteprivacy.it
3 Cfr, ad esempio, M. R. Parsi - T. Cantelmi - F. Orlando, L’immaginario prigioniero. Come educare i nostri figli a un uso creativo e responsabile delle nuove tecnologie, Milano, Mondadori, 2009.
4 Molte community, sebbene abbiano anche un’interfaccia in italiano, sono aziende non italiane, spesso statunitensi e, quindi, alcuni princìpi alla base del nostro Codice civile, come il diritto al nome e all’immagine (artt. 6, 7 e 10 c.c.) e l’uso esclusivo della propria identità personale, non sono riconosciuti con le stesse modalità con le quali sono riconosciute nel nostro Paese.
5 Un caso recente che ha sollevato molto dibattito è quello del giornalista de la Repubblica Vittorio Zambardino, il cui account Facebook è stato temporaneamente disabilitato senza alcuna previa spiegazione
(http://zambardino.blogautore.repubblica.it/2009/05/04/oggi-denuncio-facebook).
 
 
© La Civiltà Cattolica 2009 III 408-414        quaderno 3821
 
 
Antonio Spadaro S.I.
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