Il triennio incomincia chiarendo la nostra posizione nel mondo: “Ecco il tuo campo, ecco dove devi lavorare” dice la donna vestita di luce al piccolo Giovannino. Proprio nel bel mezzo di un cortile deve esprimere il meglio di sé e proprio “nel cuore del mondo” sta la missione salesiana (e cristiana).
Tratto da note di pastorale giovanile n° 6
L'orizzonte
La prospettiva del prossimo triennio di proposte pastorali per i ragazzi, gli adolescenti e i giovani dei nostri ambienti educativi è segnata dal richiamo "carismatico" al sogno di don Bosco dei "9 anni" (il secondo centenario ricorre nel 2024) e dalle linee tracciate dal Sinodo (Christus vivit, Documento finale e Instrumentum laboris). Ulteriori suggerimenti sono poi le schede del Servizio Nazionale PG della CEI "Dare casa al futuro" e naturalmente la "Strenna" del Rettor Maggiore per il 2020 "Buoni cristiani e onesti cittadini".
All'interno di questi riferimenti viene proposta una traccia per tre anni che esprima la continuità e lo sviluppo di un'idea, di uno stile.
Il triennio incomincia chiarendo la nostra posizione nel mondo: “Ecco il tuo campo, ecco dove devi lavorare” dice la donna vestita di luce al piccolo Giovannino. Proprio nel bel mezzo di un cortile deve esprimere il meglio di sé e proprio “nel cuore del mondo” sta la missione salesiana (e cristiana).
Nel secondo anno – anno pastorale 2021-2022 – saranno ancora le parole di Maria, madre e maestra, ad orientarci: “Renditi umile, forte e robusto”. È un programma di formazione della personalità, che prepara alla missione e chiarisce che tutti noi siamo “amati e chiamati”.
Infine nel terzo anno pastorale si metterà a tema il metodo educativo salesiano: “Non con le percosse, ma con la mansuetudine e colla carità”. Un programma anche qui di formazione personale e comunitaria che valorizza la presenza attiva in mezzo ai giovani: “Noi ci s(t)iamo!”.
Il tracciato di questa progressione è insieme logico e pedagogico. Esso va
- dalla scoperta-consapevolezza del "mondo" in cui siamo e in cui viene seminato e si manifesta il Regno di Dio, della "storia" dove si incarna (e ne diventa il banco di prova) la fede, e che sollecita e orienta a una vocazione
- alla cura della propria identità vocazionale soprattutto nella sua dimensione affettiva e "generativa"
- all'impegno concreto e incarnato, missionario, di attenzione e cura all'umano e all'umano più bisognoso, e attuato soprattutto attraverso una dimensione che previene.
Questo dossier di NPG che – come per ogni proposta pastorale – offre studi di approfondimento, si snoda sugli aspetti che ci sono caratteristici: quello carismatico (i primi due studi, di Motto e Sala), quello "fondativo" biblico (Benzi), teologico (Siboldi), pastorale (Cavagnari, Iannini, Zapparoli), metodologico-pedagogico (Scarpa, Mantegazza) e testimoniale (a livello di storie di santità: Cameroni, e di vite ordinarie dei nostri giovani).
Non è un itinerario vero e proprio, bensì un’offerta di materiali che riempiono uno zaino per un cammino non all'avventura, ma per un pellegrinaggio orientato ad una meta precisa: la scoperta di questo nostro mondo, un guardarsi attorno con occhio non distratto o beatamente contemplativo, ma – speriamo – con gli occhi di Giovanni Bosco che nella Torino del tempo riceve la sua vocazione di essere segno e portatore dell’amore di Dio ai giovani proprio nell'impatto con le bellezze e brutture che scopre giorno dopo giorno.
Nel 2024 ricorre il duecentesimo anniversario del sogno dei nove anni, avvenuto presumibilmente tra il 1824 e il 1825. La sua profonda rilevanza per il carisma salesiano spiega la scelta dell’Italia salesiana di lasciarsi ispirare da questo sogno per le proposte pastorali dei prossimi tre anni, considerando la sua narrazione un filo rosso per riscoprire la bellezza e specificità della nostra vocazione per il nostro tempo.
L'importanza di questo racconto nella vita di don Bosco è manifesto: il sogno dei nove anni «condizionò tutto il modo di vivere e di pensare di don Bosco. E in particolare, il modo di sentire la presenza di Dio nella vita di ciascuno e nella storia del mondo»[1]. Il sogno gli rimase profondamente impresso per tutta l’esistenza, tanto da riproporsi in diversi momenti in forme simili e in diversi sviluppi, ispirandolo nel compiere la sua missione specifica nel mondo giovanile e nella Chiesa del suo tempo. Sappiamo che il pianto commosso della mattina del 16 maggio 1887 nella basilica del Sacro Cuore a Roma, a poco più di sei mesi dalla sua morte, fu dovuto alla memoria viva di quel sogno di cui il Santo comprendeva oramai il senso plenario e compiuto.
Lo stesso, logicamente, vale per la famiglia salesiana, che da sempre ha considerato questo sogno un referente fondamentale per il senso, lo stile e lo svolgimento della missione salesiana nel mondo, tanto che esso rimane per tutti noi un’ispirazione permanente del carisma.
“A quell’età ho fatto un sogno”
Andiamo prima di tutto alla concretezza del testo, che va riascoltato con intelligenza pedagogica, attenzione pastorale e profondità spirituale. La disponibilità interiore a lasciarsi istruire dalle parole del sogno – che attesta la presenza profetica di Dio nella storia attraverso la coscienza di un bambino disponibile ad accogliere la sua chiamata – è decisiva per la sua comprensione profonda. Ecco il testo[2]:
[Cornice iniziale] A quell’età ho fatto un sogno, che mi rimase profondamente impresso nella mente per tutta la vita.
[Visione dei ragazzi e intervento di Giovanni] Nel sonno mi parve di essere vicino a casa in un cortile assai spazioso, dove stava raccolta una moltitudine di fanciulli, che si trastullavano. Alcuni ridevano, altri giuocavano, non pochi bestemmiavano. All’udire quelle bestemmie mi sono subito lanciato in mezzo di loro adoperando pugni e parole per farli tacere.
[Apparizione dell’uomo venerando] In quel momento apparve un uomo venerando in virile età nobilmente vestito. Un manto bianco gli copriva tutta la persona; ma la sua faccia era così luminosa, che io non poteva rimirarlo. Egli mi chiamò per nome e mi ordinò di pormi alla testa di que’ fanciulli aggiungendo queste parole: «Non colle percosse ma colla mansuetudine e colla carità dovrai guadagnare questi tuoi amici. Mettiti adunque immediatamente a fare loro un’istruzione sulla bruttezza del peccato e sulla preziosità della virtù». Confuso e spaventato soggiunsi che io era un povero ed ignorante fanciullo incapace di parlare di religione a que’ giovanetti. In quel momento que’ ragazzi cessando dalle risse, dagli schiamazzi e dalle bestemmie, si raccolsero tutti intorno a colui che parlava.
[Dialogo sull’identità del personaggio] Quasi senza sapere che mi dicessi, «Chi siete voi», soggiunsi, «che mi comandate cosa impossibile?» «Appunto perché tali cose ti sembrano impossibili, devi renderle possibili coll’ubbidienza e coll’acquisto della scienza». «Dove, con quali mezzi potrò acquistare la scienza?». «Io ti darò la maestra sotto alla cui disciplina puoi diventare sapiente, e senza cui ogni sapienza diviene stoltezza». «Ma chi siete voi, che parlate in questo modo?» «Io sono il figlio di colei, che tua madre ti ammaestrò di salutar tre volte al giorno». «Mia madre mi dice di non associarmi con quelli che non conosco, senza suo permesso; perciò ditemi il vostro nome». «Il mio nome dimandalo a Mia Madre».
[Apparizione della donna di aspetto maestoso] In quel momento vidi accanto di lui una donna di maestoso aspetto, vestita di un manto, che risplendeva da tutte parti, come se ogni punto di quello fosse una fulgidissima stella. Scorgendomi ognor più confuso nelle mie dimande e risposte, mi accennò di avvicinarmi a Lei, che presemi con bontà per mano, e «guarda», mi disse. Guardando mi accorsi che quei fanciulli erano tutti fuggiti, ed in loro vece vidi una moltitudine di capretti, di cani, di gatti, orsi e di parecchi altri animali. «Ecco il tuo campo, ecco dove devi lavorare. Renditi umile, forte, robusto; e ciò che in questo momento vedi succedere di questi animali, tu dovrai farlo pei figli miei». Volsi allora lo sguardo ed ecco invece di animali feroci apparvero altrettanti mansueti agnelli, che tutti saltellando correvano attorno belando come per fare festa a quell’uomo e a quella signora. A quel punto, sempre nel sonno, mi misi a piangere, e pregai quello a voler parlare in modo da capire, perciocché io non sapeva quale cosa si volesse significare. Allora Ella mi pose la mano sul capo dicendomi: «A suo tempo tutto comprenderai».
[Cornice conclusiva] Ciò detto un rumore mi svegliò ed ogni cosa disparve. Io rimasi sbalordito. Sembravami di avere le mani che facessero male pei pugni che aveva dato, che la faccia mi duolesse per gli schiaffi ricevuti; di poi quel personaggio, quella donna, le cose dette e le cose udite mi occuparono talmente la mente, che per quella notte non mi fu possibile prendere sonno. Al mattino ho tosto con premura raccontato quel sogno prima a’ miei fratelli, che si misero a ridere, poi a mia madre ed alla nonna. Ognuno dava al medesimo la sua interpretazione. Il fratello Giuseppe diceva: «Tu diventerai guardiano di capre, di pecore o di altri animali». Mia madre: «Chi sa che non abbi a diventar prete». Antonio con secco accento: «Forse sarai capo di briganti». Ma la nonna, che sapeva assai di teologia, era del tutto analfabeta, diede sentenza definitiva dicendo: «Non bisogna badare ai sogni». Io era del parere di mia nonna, tuttavia non mi fu mai possibile di togliermi quel sogno dalla mente. Le cose che esporrò in appresso daranno a ciò qualche significato. Io ho sempre taciuto ogni cosa; i miei parenti non ne fecero caso. Ma quando, nel 1858, andai a Roma per trattar col Papa della congregazione salesiana, egli si fece minutamente raccontare tutte le cose che avessero anche solo apparenza di soprannaturali. Raccontai allora per la prima volta il sogno fatto in età di nove in dieci anni. Il Papa mi comandò di scriverlo nel suo senso letterale, minuto e lasciarlo per incoraggiamento ai figli della congregazione, che formava lo scopo di quella gita a Roma.
“Mi parve di essere vicino a casa in un cortile assai spazioso”
Coerentemente con la proposta pastorale di quest’anno, ci concentriamo sui luoghi del sogno, sulle note geografiche a cui si fa riferimento, cercando così di entrare nelle dinamiche “spaziali” ed “esistenziali” del carisma salesiano.
Il sogno dei nove anni sembra svolgersi in un cortile di un qualsiasi oratorio salesiano del mondo. Non siamo sul monte della contemplazione e nemmeno nello spazio sacro del tempio. Giovannino si trova vicino a casa in un cortile assai spazioso, stracolmo di ragazzi, che egli stesso ha poi riconosciuto come luogo familiare vicino alla sua casa dei Becchi. Un luogo dove non c’è solitudine, ma moltitudine: ci sono ragazzi dappertutto e questi non hanno una fisionomia angelica, ma concreta: giocano e litigano, si divertono allegramente ma non pochi bestemmiano. La prima reazione istintiva è quella di usare la forza per renderli migliori, per aiutarli ad avere un comportamento adeguato.
E nel cortile appare un uomo luminoso e distinto, indicando quale debba essere l’atteggiamento corretto verso i ragazzi. E poi anche una signora vestita di luce. Giovannino si trova nel mezzo, come mediatore tra i ragazzi chiassosi e la figura potente dell’uomo e poi della donna, che lo invitano a mettersi alla testa dei compagni come loro leader positivo e propositivo. Gli offrono uno stile di azione – “non con le percosse, ma con la mansuetudine e colla carità” – e lo invitano ad istruirli sulla bruttezza del peccato e sulla preziosità della virtù. Di fronte all’impossibilità di educarli, l’uomo rimanda alla donna indicata al ragazzo come una maestra: “Io ti darò la maestra sotto alla cui disciplina puoi diventare sapiente, e senza cui ogni sapienza diviene stoltezza”. È lei infatti che gli indica sia il campo dove dovrà lavorare sia la metodologia da utilizzare: “Ecco il tuo campo, ecco dove devi lavorare. Renditi umile, forte, robusto”. Maria è fin dall’inizio interpellata per la nascita di un nuovo carisma, in quanto è esattamente la sua specialità quella di portare in grembo e dare alla luce: per questo quando si tratta di un Fondatore, che deve ricevere dallo Spirito Santo la luce originaria del carisma, il Signore dispone che sia la sua stessa madre, Vergine della Pentecoste e modello immacolato della Chiesa, a fargli da Maestra. Lei sola, la “piena di grazia”, comprende infatti dal di dentro tutti i carismi, come una persona che conosca tutte le lingue e le parli come fossero la propria[3].
Tutto questo avviene nel cortile. E qui dobbiamo cogliere il valore permanente del sogno per la missione salesiana, perché il cortile è il luogo dell’incontro tra i giovani e Dio, è la terra sacra dell’incarnazione del carisma di don Bosco per tutti i tempi e in ogni situazione. Dio viene nel mondo dei giovani, che nel sogno è rappresentato da un cortile dove loro giocano, si divertono e anche vivono esperienze negative di contrasto e contesa. Non altrove, ma viene in mezzo a loro e vuole stare in mezzo a loro, nello spazio della loro relazione quotidiana.
La riproposizione della “strategia dell’incarnazione” è chiara: Dio non aspetta che gli uomini vadano a Lui, ma manda il suo figlio a loro. Allo stesso modo il sogno pone in maniera naturale e indiscutibile Giovannino nel luogo abituale di vita dei giovani. Egli sarà così chiamato ad evangelizzare i luoghi ordinari della crescita dei giovani:
Il cortile dice dunque la vicinanza della grazia divina al “sentire” dei ragazzi: per accoglierla non occorre uscire dalla propria età, trascurarne le esigenze, forzarne i ritmi. Quando don Bosco, ormai adulto, scriverà nel Giovane provveduto che uno degli inganni del demonio è far pensare ai giovani che la santità sia incompatibile con la loro voglia di stare allegri e con l’esuberante freschezza della loro vitalità, non farà che restituire in forma matura la lezione intuita nel sogno e divenuta poi un elemento centrale del suo magistero spirituale. Il cortile dice allo stesso tempo la necessità di intendere l’educazione a partire dal suo nucleo più profondo, che riguarda l’atteggiamento del cuore verso Dio. Lì, insegna il sogno, non vi è solo lo spazio di un’apertura originaria alla grazia, ma anche l’abisso di una resistenza, in cui si annida la bruttezza del male e la violenza del peccato. Per questo l’orizzonte educativo del sogno è francamente religioso, e non solo filantropico, e mette in scena la simbolica della conversione, e non solo quella dello sviluppo di sé. Nel cortile del sogno, colmo di ragazzi e abitato dal Signore, si dischiude dunque a Giovanni quella che sarà in futuro la dinamica pedagogica e spirituale dei cortili oratoriani[4].
Il cortile è insieme il luogo del “radunarsi” e del “fare festa”. È il luogo preciso dove si sviluppano le dinamiche di gruppo e insieme si esprime la gioia di stare insieme. La dispersione dei giovani sbandati troverà nel carisma la sua unificazione nell’oratorio come spazio fisico e spirituale per stare insieme e fare squadra. Mentre la solitudine genera tristezza, la condivisione della vita è condizione basilare per la vita felice e gioiosa. Sappiamo quanto la “pedagogia della festa”, che nel sogno è ben rappresentata dall’immagine degli agnelli che si radunando per far festa intorno all’uomo e alla donna venerandi – simbolica che chiaramente rimanda alla celebrazione della liturgia della Chiesa – sia necessaria per crescere e maturare nell’equilibrio e nella serenità del corpo, dell’anima e dello spirito.
“Un cortile per incontrarsi tra amici e vivere in allegria”
Situiamo ora il “cortile” all’interno dell’azione educativa e pastorale salesiana, rivedendo insieme il “criterio oratoriano”, al cui interno si colloca la valorizzazione del cortile. L’articolo 40 delle Costituzioni salesiane afferma che don Bosco visse una tipica esperienza pastorale nel suo primo oratorio, che fu per i giovani casa che accoglie, parrocchia che evangelizza, scuola che avvia alla vita e cortile per incontrarsi da amici e vivere in allegria. Nel compiere oggi la nostra missione, l’esperienza di Valdocco rimane criterio permanente di discernimento e rinnovamento di ogni attività e opera.
L’oratorio di Valdocco ci riporta alla realizzazione originaria della missione salesiana. Lì ci fu la paradigmatica attuazione pratica dell’ispirazione profetica contenuta nel sogno dei nove anni. Don Bosco, insieme ai suoi collaboratori – tra cui molti giovani – e ai primi salesiani, incarnò proprio nell’Oratorio quella particolare esperienza dello Spirito, che suscitò nella Chiesa la nostra originale forma di missione apostolica tra i giovani più poveri. Perciò, riferirci oggi all’oratorio di Valdocco non è un esercizio storico di quanto vi accadde con don Bosco, quanto un cammino di ritorno alle origini, alla fonte che ispirò le nostre opere e attività, per verificare la fedeltà della nostra azione educativo-pastorale. E, prima di arrivare al “cortile per incontrarsi tra amici e vivere in allegria”, il carisma salesiano propone tre attenzioni:
Insieme a questi tre pilastri, il quarto è quello del cortile. Risentiamo una delle ultime interpretazioni autorevoli di questa attenzione specifica del nostro carisma:
L’esperienza del “cortile” è propria di un ambiente spontaneo, nel quale si creano e si stringono rapporti di amicizia e di fiducia. Nel “cortile”, inteso come pedagogia dell’allegria e della festa, la proposta dei valori e l’atteggiamento confidenziale si realizzano in modo autentico e prossimo. È il luogo adatto per la cura di ciascun ragazzo/giovane, per la parolina all’orecchio, dove la relazione educatore-giovane superi il formalismo legato ad altre strutture, ambienti e ai ruoli.
In questo senso, l’esperienza del “cortile” è una chiamata a uscire dalle nostre strutture formali, dalle mura in cui lavoriamo, per fare di ciascun luogo dove si incontrano i giovani un ambiente ricco di proposte educative e pastorali. Anche là dove si tentano nuove vie pastorali, come la strada, il muretto, l’attenzione non è solo al rapporto personale ma anche al rilievo e alla valorizzazione delle dinamiche dei gruppi informali.
Nell’ambito del tempo libero, i nuovi luoghi di incontro virtuali, le reti sociali, sono in verità spazi che non devono esserci estranei e dei quali dobbiamo saperci avvalere per giungere ad essere con il giovane lì dove lo incontriamo[5].
Attraverso il cortile quindi siamo davvero prossimi ai giovani che desideriamo incontrare. Il carisma salesiano non fugge, non si distacca dal mondo, ma si pone esattamente nel cuore del mondo, conformemente alla scelta del Figlio di Dio che, facendo la volontà del Padre suo, è venuto ad abitare in mezzo a noi. Senza paura, senza timore, con grande desiderio di incontro Gesù viene a noi come uno di noi.
Per chi vuole approfondire si consiglia:
[1] P. Stella, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. I. Vita e opere, LAS, Roma 1979, 31.
[2] G. Bosco (saggio introduttivo e note storiche a cura di A. Giraudo), Memorie dell’oratorio di san Francesco di Sales dal 1815 al 1855, LAS, Roma 2011, 62-63.
[3] A. Bozzolo, Il sogno dei nove anni. Questioni ermeneutiche e lettura teologica, 264.
[4] Ivi, 253.
[5] Dicastero per la Pastorale Giovanile Salesiana, La Pastorale Giovanile Salesiana. Quadro di riferimento, SDB, Roma 20143, 131.
Versione app: 3.26.4 (097816f)