Che noi siamo fatti per amare è evidente. Il difficile però è stabilire che cosa amare e come amare.
del 30 gennaio 2009
Che noi siamo fatti per amare è evidente. Il difficile però è stabilire che cosa amare e come amare.
  Penso che non sia sbagliato e contrario al nostro fine 'amare la creatura'. Ed è certamente secondo il nostro fine 'amare Dio'. Quindi dovremmo amare la creatura e dovremmo amare il Creatore.
  Ma perché nella tradizione cristiana questi due amori si sono posti in contraddizione, in antagonismo, quasi che amando l'una non sia più possibile amare l'Altro?
  La causa risiede in noi, va ricercata in noi.
  È il nostro cuore che non è più capace di amare, che è come uno strumento deteriorato e che funziona male.
  Il cuore, questo benedetto cuore, quando ama la creatura, troppo facilmente perde l'equilibrio.
  Si lancia su di essa, la vuole fare sua, esclusivamente sua; aderisce ad essa con tale passione, da perdere di vista l'insieme. In più, avvelena la creatura con rapporti sregolati; la rovina, la fa schiava, o, meglio, si fa schiavo di essa.
  Caratteristico in tal senso, perché più violento, è l'amore esclusivo del sesso, con tutta la serie orribile di gelosie ed egoismi.
  Non meno caratteristica è la cosiddetta 'amicizia particolare', nella quale il cuore umano si attacca all'amico perdendo la pace, la serenità, la visione equilibrata delle cose; nel peggiore dei casi, anche la purezza.
  Che diremmo poi dell'amore del denaro? Della schiavitù in cui tiene l'uomo l'amore della ricchezza?
  Perfino l'amore del lavoro diventa pericoloso, tanto più se ammantato di virtù! Quanti contadini non sono più capaci di riposarsi la domenica, dominati dalla passione che, come frenesia, li sospinge nei campi!
  E quanti industriali trasformano la loro vita in un inferno, ingoiati dalla macchina degli impegni.
  E più si sale peggio è: l'amore allo studio può creare mostri di egoismo; e la passione della ricerca, collezionisti pazzi e ciechi come termiti nella loro galleria oscura.
  In tale situazione è evidente che l'amore della creatura è in opposizione all'amore di Dio.
  Questo - l'amore di Dio - è per sua natura universale, casto, equilibrato, santo.
  Chi è sotto il suo dominio, vive in una pace profonda, ha la visione gerarchizzata delle cose, sa che cos'è la libertà.
  Ma anche l'amore di Dio, passando nel cuore dell'uomo, deve essere lavorato, coltivato, potato, fecondato; e Dio stesso ne è l'abile e intransigente agricoltore.
  Soprattutto tale amore deve essere purificato.
  Che cosa significa purificare l'amore?
  Significa purificarlo dalle pastoie della sensibilità, dal vischio del gusto; in altri termini, significa renderlo 'gratuito'.
  Rendere gratuito l'amore! Quale difficile impresa per creature come noi, ripiegate dal peccato su se stesse, chiuse il più delle volte nel loro onnipossente egoismo!
  Sovente non ci rendiamo conto della profondità del male, che è abissale.
  Non parlo solo dell'egoismo del ricco che accumula per sé; del violento che sacrifica tutto al proprio godimento; del dittatore che respira l'incenso dovuto solo a Dio.
  Parlo dell'egoismo dei buoni, delle anime pie, di coloro che son riusciti, a forza di ginnastica spirituale e di rinunce, a poter dire dinanzi all'altare dell'Onnipotente la superba professione: 'Signore, non sono come gli altri uomini' (Lc 18, 11).
  Sì, abbiamo avuto il coraggio - in certi periodi della nostra vita - di crederci diversi dagli altri uomini. E qui sta la menzogna più radicale, dettata dall'egoismo più pericoloso: quello dello spirito. E su tale menzogna il nostro egoismo fa la sua costruzione babelica, riuscendo a servirsi della stessa pietà, della stessa preghiera per soddisfarsi.
  È il momento dell'assalto all'altare, è il momento in cui lo stesso desiderio di santità è rovesciato: non è amore e imitazione di Cristo Crocifisso, è desiderio di gloria; non è carità, è egoismo.
  Non dubito nel dire che un'alta percentuale dei desideri che spingono l'anima a cercare Dio è inquinata di egoismo. Si può giungere al punto di consacrarsi a Dio per egoismo, di farci religiosi per egoismo, di costruire ospedali per egoismo, di fa penitenza per egoismo.
  Non c'è limite a tale menzogna. E la via, una volta infilata, è così sdrucciolevole e pericolosa, da obbligare Dio, per salvarci, a trattarci male; direi apparentemente, a diventare crudele con noi.
  Ma non c'è altra via per aprirci gli occhi.
  È la via del dolore. All'anima che dà l'assalto al Cielo per egoismo, Dio sbarra il cammino col freddo, con l'aridità, con la notte. Le consolazioni si trasformano in amarezze, le gioie in assenzio, le spine crescono per ogni dove. le nubi sembrano fatte per arrestare la preghiera.
  Ma sovente non basta. Rovesci, malattie, disillusioni, vecchiaia si abbattono come uccelli di rapina sulla povera carcassa che aveva avuto il coraggio di affermare a se stessa: 'Signore, non sono come gli altri uomini'.
  Rimane ben poco per sostenere la tesi di essere diverso dagli altri, quando ci si accorge che si grida, che si piange, che si ha paura, che si è deboli, si è vili proprio come gli altri uomini.
  Ecco la voce dell'uomo nel Salmo 87:
 
Signore mio Dio
tutto il giorno io ti chiamo
e la notte gemo davanti a Te.
La mia anima è abbeverata di mali,
la mia vita è un bordo dell'inferno.
Io sono già come colui che discende nella tomba,
come l'uomo stremato di forze.
Tu mi hai gettato nella fossa profonda,
nelle tenebre, nell'abisso.
Su di me
s'è appesantito il tuo furore;
sulla cresta dell'onda Tu mi schiacci.
 
  È la purificazione dell'amore, è il fuoco che brucia le scorie per metterci a nudo.
  E Dio stesso, che è l'Amore, non può far nulla. Anzi, perché è l'Amore appesantisce la mano.
  Se l'anima non si libera attraverso la croce, non potrà esser liberata.
  È la tremenda operazione chirurgica che il Padre stesso compie sulle carni del figlio pue di salvarlo. Ed è dogma di fede che senza croce 'non fit remissio'.
  È un mistero ma è così. Il dolore purifica l'amore; lo rende vero, autentico, puro; e, in più, elimina ciò che non è amore.
  Distacca l'amore dal gusto che come maschera lo falsa; lo rende gratuito.
  Quando il diluvio del dolore è passato sull'anima, ciò che resta di vivo può considerarsi autentico. È certo che non resta molto. Sovente è ridotto ad un arbusto esile, esile; ma su di esso la colomba dello spirito può posarsi per portare i suoi donio; è ridotto a un 'sì' mormorato tra le lacrime e le angosce, ma ad esso fa eco il 'sì' onnipotente di Gesù agonizzante; è ridotto a un bimbo che ha cessato di fare polemiche con Dio e con gli uomini, ma al quale soccorre l'abbraccio del Padre.
 In questo stato, l'uomo è capace di amore gratuito; anzi non può più sopportarne d'altro timbro: prova nausea dinanzi al sentimentalismo, ha ribrezzo delle cose amate per calcolo. È entrato finalmente nella logica di Dio, spesso illogica all'uomo di questa terra.
  Ecco la logica della più famosa parabola sulla gratuità dell'amore.
  Sentiamola:
  Il Regno dei Cieli infatti è simile a un padre di famiglia il quale uscì di primo mattino per assoldare lavoratori per la sua vigna.
  Accordatosi coi lavoratori per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna.
  E uscito verso la terza ora, vide altri che stavano in ozio sulla piazza  e disse loro: 'Andate anche voi nella mia vigna ed io vi darò ciò che è giusto. E quelli vi andarono.
  Uscito ancora verso la sesta e la nona ora, fece altrettanto. Uscito poi verso l'undicesima ora, ne trovò altri che se ne stavano là; e dice loro: 'Perché ve ne state qui tutta la giornata in ozio?'.
  Gli dicono: 'Perché nessuno ci ha assoldati'.
  Dice loro: 'Andate anche voi alla vigna'.
  Fattasi sera, il padrone della vigna dice al fattore: 'Chiama i lavoratori e paga loro il salario a cominciare dagli ultimi fino ai primi.
  Vennero quelli dell'undicesima ora e presero un danaro ciascuno.
  Quando vennero i primi, credettero di prendere di più; ma anch'essi ricevettero un danaro ciascuno. Mentre lo prendevano, mormoravano contro il padre di famiglia, dicendo: 'Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto; e tu li hai trattati come noi che abbiamo portato il peso della giornata e il caldo'.
  Ma egli, rispondendo a uno di loro, disse: 'Amico, non ti fo torto. Non hai pattuito con me per un denaro?  Prendi quel che ti spetta e vattene. Voglio dare a quest'ultimo come a te.
  'O non mi è permesso di fare quel che voglio della mia roba?Non posso fare delle mie cose quello che voglio?
  'Oppure il tuo occhio è maligno perché io sono buono?' (Mt 20, 1ss).
  Capire questa parabola, per noi che abbiamo 'l'occhio maligno', non è facile. Fortunato colui che la capisce qualche giorno prima di morire. Significa che il suo occhio vede ora giusto e quindi può entrare nel regno della gratuità, che è il regno del vero amore.
 
Carlo Carretto
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