Quando i convertiti vanno in onda sulla tv satellitare

La tensione sale alle stelle quando un telespettatore ripete al telefono in arabo, frase per frase, la preghiera che il conduttore recita dallo studio: «O Dio della Verità, fa' che io possa conoscere la verità. Rivelati a me! Ti affido la mia vita. Te lo chiedo in nome di Gesù Cristo».

Quando i convertiti vanno in onda sulla tv satellitare

da Attualità

del 13 novembre 2008

La tensione sale alle stelle quando un telespettatore ripete al telefono in arabo, frase per frase, la preghiera che il conduttore recita dallo studio: «O Dio della Verità, fa' che io possa conoscere la verità. Rivelati a me! Ti affido la mia vita. Te lo chiedo in nome di Gesù Cristo». Assistiamo in diretta alla conversione di un musulmano. La scena si ripete ad ogni trasmissione di «Domanda coraggiosa», un programma del canale satellitare al-Hayat (la Vita in lingua araba, ndr), condotto da Rashid, ex musulmano marocchino. I numeri di telefono che appaiono regolarmente in fondo allo schermo indicano che la tivù trasmette da qualche località della Francia o della Gran Bretagna. Altre trasmissioni, anch'esse rivolte ai musulmani, sono condotte da altri convertiti, come l'egiziano Ahmed, oppure da profondi conoscitori dell'islam, come il noto sacerdote copto Zakaria Boutros o Fratel Ilyas. Comune denominatore è l'approccio agli argomenti islamici a partire dal Corano e la tradizione islamica, e la conclusione con una breve lettura della Bibbia.

  Durante il programma arrivano molte chiamate. La tunisina Faten riferisce della fioritura del Vangelo nel suo Paese. «Fino a pochi anni fa eravamo solo in sei convertiti, oggi siamo in ottocento. Ci sosteniamo a vicenda». «Per ora – aggiunge – non abbiamo problemi con il governo, ma solo con le nostre famiglie, perciò vi chiedo di pregare per loro». Interviene anche l'algerino Hisham, convertitosi grazie alle trasmissioni. «Non mi interessano, dice, le differenze tra cattolici e protestanti. A quelle ci pensano i teologi. A me interessa solo l'insegnamento di Cristo che ha detto: 'Amate i vostri nemici, benedite chi vi perseguita, fate del bene a quelli che vi odiano e pregate per coloro che vi insultano'».

  Ma i conduttori non incassano solo complimenti. Alla recente trasmissione dedicata alle abluzioni che precedono la preghiera islamica, un telespettatore attacca: «Il mio piede, che lavo cinque volte al giorno, è più pulito della tua faccia, miscredente! ». «Invece di insultare l'islam e i musulmani, dice Ali dalla Svizzera, perché non parlate del cristianesimo? ». Le risposte sono sempre pacate.

  «Noi non insultiamo nessuno, risponde Rashid. Invitiamo i musulmani a conoscere il Cristo del Vangelo e non a pretendere di conoscerlo a partire dal Corano». Di recente «Domanda coraggiosa » ha iniziato a ospitare ogni settimana in studio dei «cristiani con un background islamico ». A iniziare la serie lo stesso Ahmed. La sua massima aspirazione, ha detto, era quella di diventare uno shahid, un martire. Aveva studiato a memoria il Corano, per andare come missionario tra i non musulmani. Ma per riuscire a rispondere alle obiezioni dei cristiani aveva deciso di leggere anche il Vangelo. E ne era rimasto colpito. «Ho constatato che il Dio dei cristiani invita ad amare il nemico. Mi sono venuti in mente i versetti coranici che lodano la modestia dei monaci, quelli in cui Allah promette a Gesù di innalzare coloro i quali l'avrebbero seguito al di sopra dei miscredenti. Non potevo comunque non notare le contraddizioni con altri versetti che invitano il musulmano a non stringere amicizia con i cristiani. È stato un lungo travaglio durato due anni. Chiedevo al Signore: fatti vedere, dimmi in quale direzione andare. Fino al momento in cui il Signore mi ha dato un segnale tangibile e ho chiesto il battesimo».

  La serie degli ospiti – una ventina fino a oggi – ha riscosso un enorme successo. Sono comparsi l'egiziana Asmaa per negare di essere stata rapita dai cristiani e convertita con la forza, poi Seif che ha detto di non voler più guardare indietro, ai 50 anni passati nell'islam, poi Nimat, una ragazza nata in una famiglia sciita che ha cominciato a interrogarsi sui riti di autoflagellazione a Kerbala della sua comunità, ma anche Musaab Youssef, figlio di un leader di Hamas, e lo scrittore Mohammad al-Munayir, figlio di un imam siriano. «E­vitavo di pensare alle problematiche che pone l'islam – ha detto Munayir – come la schiavitù e la condizione della donna». «Mi assillava anche il problema del mio rapporto con Dio. È un rapporto di servitù o di filiazione e amicizia?» Munayir rifiuta di evocare i suoi persecutori. «Ho perdonato loro», precisa. Poi aggiunge: «Mi accusano di aver abbandonato la mia religione per ab­bracciarne un'altra, ma il cristianesimo non è una religione, è un movimento di vita in Cristo, un movimento di amore».

 Una trasmissione condotta da un ex musulmano marocchino.

 

Camille Eid

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