Quando si banalizza la vita

Gli interrogativi non sono affatto ovvi e obbligano a una risposta che si faccia carico di fornire argomenti per non rincorrere i soliti luoghi comuni. I sofismi, in questo caso, possono servire per una forma di personale soddisfazione, ma non convincono sulla drammaticità della situazione che deve essere affrontata. Inutile tergiversare. La Ru486 è una tecnica abortiva perché tende a sopprimere l'embrione da poco annidato nell'utero della madre.

Quando si banalizza la vita

da Teologo Borèl

del 01 agosto 2009

C'è una triste tendenza che si sta imponendo poco alla volta in alcuni frammenti della cultura contemporanea:  la banalizzazione. Dalla vita alla morte tutto sembra sottoposto a un mero processo semplificativo che tende a rinchiudere ogni cosa in un affare privato senza alcun riferimento agli altri. In questo modo, però, la coscienza si assopisce e diventa progressivamente incapace di giudizio serio e veritiero.

L'applicazione della pillola Ru486 a tecnica abortiva è stata una via di ripiego per recuperare i capitali investiti dopo la verifica del fallimento per la sperimentazione che era stata prefissata. Già questo 'banale' particolare la dice lunga sullo scopo di alcune ricerche che vengono fatte nei laboratori. Dimenticare che la scienza e la ricerca tecnologica devono avere come loro primo scopo quello di promuovere la vita e la sua qualità comporta un inevitabile slittamento con la conseguenza di porre al primo posto la sete di guadagno e non la salvaguardia della natura. I proclami sulla neutralità della scienza rimbombano in alcuni momenti particolari con il solo scopo di accreditare un prodotto piuttosto che per ricordare il valore fondamentale che la ricerca possiede. Non si può divenire complici di queste situazioni, denunciate con coraggio da Benedetto XVI nella sua ultima enciclica Caritas in veritate, quando in gioco vi è la vita umana. Fermarsi alla sola analisi del rapporto costi e benefici per introdurre nel mercato la Ru486 è una posizione molto pilatesca sulla quale si dovrà riflettere per non cadere in altrettante forme di ipocrisia. Dovrà pur esserci un'autorità in grado di considerare i gravi rischi a cui le donne sono sottoposte nel momento in cui fanno ricorso a questo farmaco. Come ci si può sottrarre davanti al fatto che troppi casi di morte si sono verificati dopo l'assunzione di questo trattamento? Come non considerare gli aspetti etici che questa pillola comporta? Come trascurare l'impatto che avrà sulle giovani generazioni di ragazze che ricorreranno sempre più facilmente a questo uso?

Gli interrogativi non sono affatto ovvi e obbligano a una risposta che si faccia carico di fornire argomenti per non rincorrere i soliti luoghi comuni. I sofismi, in questo caso, possono servire per una forma di personale soddisfazione, ma non convincono sulla drammaticità della situazione che deve essere affrontata. Inutile tergiversare. La Ru486 è una tecnica abortiva perché tende a sopprimere l'embrione da poco annidato nell'utero della madre. Che il ricorso all'uso di questa pillola sia meno traumatico che sottoporsi all'operazione è tutto da dimostrare. Il primo trauma nasce nel momento in cui non si vuole accettare la gravidanza ed è proprio qui che si deve intervenire per aiutare la donna a comprendere il valore della vita nascente. L'embrione non è un ammasso di cellule né un po' di muffa come qualcuno ha avuto l'ardire di definirlo; è vita umana vera e piena. Sopprimerla è una responsabilità che nessuno può permettersi di assumere senza conoscerne a fondo le conseguenze.

L'assunzione della Ru486, quindi, non rende meno traumatico l'aborto, solo lo rinchiude ancora di più nella solitudine del privato della donna e lo prolunga nel tempo. È necessario ribadire che quanti vi fanno ricorso stanno compiendo un atto abortivo diretto e deliberato; devono sapere delle conseguenze canoniche a cui vanno incontro, ma soprattutto devono essere coscienti della gravità oggettiva del loro gesto. L'aborto è un male in sé perché sopprime una vita umana; questa vita anche se visibile solo attraverso la macchina possiede la stessa dignità riservata a ogni persona. Il rispetto dovuto verso l'embrione non può essere da meno di quello riservato a ognuno che cammina per la strada e chiede di essere accolto per ciò che è:  una persona.

La Chiesa non può mai assistere in maniera passiva a quanto avviene nella società. È chiamata a rendere sempre presente quell'annuncio di vita che le permette di essere nel corso dei secoli segno tangibile del rispetto per la dignità della persona. Il cammino che si deve percorrere diventa in alcuni momenti più faticoso perché è difficile far comprendere che la via da seguire per mantenere il primato dell'etica non è quella di fornire con molta tranquillità una pillola, ma piuttosto quella di formare le coscienze. Questo compito è arduo perché comporta non solo l'impegno in prima persona, ma la capacità di farsi ascoltare e di essere credibile. La nostra opposizione a ogni tecnica abortiva è per affermare ogni giorno il 'sì' alla vita con quanto essa comporta. Ciò significa ribadire il nostro richiamo all'urgenza educativa perché i giovani comprendano l'importanza di fare propri dei valori che permangono come patrimonio di cultura e di identità personale. Non potremo mai abituarci alla bellezza che la vita comporta dal suo primo istante in cui fa sentire di essere presente nel grembo di una madre fino al momento estremo in cui dovrà lasciare questo mondo.

Per questo motivo dinnanzi alla superficialità che spesso incombe permane immutato l'impegno per la formazione, così da cogliere giorno dopo giorno l'impegno per vivere la sessualità, l'affettività e l'amore con gioia e non con preoccupazione, ansia e angoscia.

 

(©L'Osservatore Romano - 1 agosto 2009)

 

mons. Rino Fisichella

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