È attraverso i sensi che noi costruiamo noi stessi: odorato e gusto, per esempio, ci insegnano il discernimento, la scoperta della differenza; così come vista e udito ci consentono di cogliere la realtà nel suo insieme. La vista si nutre di simultaneità, l'udito implica la dinamica del tempo; la vista ci fornisce l'immagine che ci fermiamo a guardare, l'udito non ci consente di fermarci ma ci chiede di ascoltare il suono come un flusso che scorre...
del 16 settembre 2005
La parola “senso” (“sensi” al plurale) è polisemica, cioè capace di esprimere realtà diverse ma significativamente correlate. Dire “senso” può significare innanzitutto il “sentire”: l’uomo sente, e questo è evidente! Questa esperienza è declinata con molte parole: sensibilità, sensazione, sentimento, sensualità, risentimento... La capacità di “sentire” è propria degli animali (anche se, in modo diverso, potrebbe essere riconosciuta a tutte le creature, anche vegetali e minerali) e l’uomo ha consapevolezza di questa sua capacità sensoriale. I sensi dell’uomo percepiscono dunque la realtà multiforme e complessa: la vista percepisce l’immagine, l’odorato percepisce i profumi, l’udito percepisce il suono, il palato il gusto, il corpo, tramite il tatto, tocca ed è toccato.
 
Ma non possiamo dimenticare che la parola “senso” può anche significare direzione, orientamento nello spazio. Così diciamo “vado in quel senso”, oppure “senso vietato”. Ma è proprio tramite i “sensi” che individuiamo l’orientamento: normalmente con la vista, ma anche con l’udito, con l’olfatto o con il tatto.
 
Infine, la terza possibilità di intendere la parola “senso” è quella di “significato”. “Che senso ha?”, ci chiediamo di fronte a un evento; cioè: “Cosa vuol dire? Cosa significa?”. Noi cerchiamo il senso profondo di quanto ci circonda, e anche questa ricerca di comprensione del significato richiede l’esercizio dei “sensi” di cui è dotato l’uomo.
 
Una riflessione sui sensi spirituali non è allora un esercizio esoterico o riservato a elites spirituali: essa riguarda ogni essere umano e ogni credente. Da parte mia vorrei riflettere quindi sui sensi spirituali come esperienza che il credente fa attraverso la fede cristiana, perché l’incontro con Dio avviene sì nella fede e non nella visione, come ricorda san Paolo nella Seconda Lettera ai Corinti, ma è un incontro che si impone a tutto l’uomo, spirito e corpo, sensi compresi. L’esperienza di Dio che il credente fa e che, con difficoltà e in modo limitato, cerca di raccontare a se stesso e agli altri, deve essere integrata nell’esperienza sensoriale, altrimenti è ridotta o a una dimensione puramente intellettuale (un parlare, un discutere su Dio) oppure a un’attività filantropica sociale che, sempre necessaria, rimane  tuttavia insufficiente a un’esperienza autentica del Dio Vivente nelle cui mani è terribile il cadere!
 
Almeno tre millenni di fede – quella degli ebrei e quella dei cristiani – attestano che uomini e donne vivono e testimoniano un’esperienza spirituale, una realtà vissuta con i sensi umani. Quando Agostino scrive: “O Dio, mi chiamasti, e il tuo grido lacerò la mia sordità; balenasti e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti il tuo profumo e respirai e anelai verso di te; gustai fino ad avere fame e sete; mi toccasti e bruciai di desiderio della tua pace” (Confessioni X, 27, 38), non fa che enumerare la propria esperienza di fede e la narra ricorrendo alle azioni inerenti ai sensi umani: in questo modo fa emergere i sensi spirituali.
 
L’uomo “sente” attraverso i sensi, ma un’enorme carica simbolica viene a innestarsi sul suo esercizio dei sensi. Attraverso i sensi l’uomo percepisce, prende le distanze, concettualizza, fa discernimento: tutta la nostra conoscenza viene dai sensi, la più elementare come la più raffinata, quella più empirica come quella più spirituale. Ne sono prova le parole che usiamo: anche quando sono “astratte”, lasciano apparire la propria origine nello spazio della sensibilità. “Sapienza” non deriva forse da “sapere”, cioè gustare?
 
È attraverso i sensi che noi costruiamo noi stessi: odorato e gusto, per esempio, ci insegnano il discernimento, la scoperta della differenza; così come vista e udito ci consentono di cogliere la realtà nel suo insieme. La vista si nutre di simultaneità, l’udito implica la dinamica del tempo; la vista ci fornisce l’immagine che ci fermiamo a guardare, l’udito non ci consente di fermarci ma ci chiede di ascoltare il suono come un flusso che scorre... Sì, dire sensi significa evocare un corpo e una psiche in funzione, un essere umano vivo nella propria singolare identità. E siccome per noi cristiani il corpo, “soma”, non è la tomba, “sema” (secondo l’antico gioco di parole dei greci), ma è l’uomo vivente a immagine e somiglianza di Dio, anzi il corpo è il luogo, il tempio, la dimora di Dio attraverso il suo spirito, allora i sensi umani non sono negati né disprezzati, ma sono chiamati a diventare sensi spirituali. La fede cristiana è la fede nel Dio che si è fatto uomo, carne, materia e, quindi, tutto ciò che è umano è per Dio bello e buono (tob), secondo l’annuncio della prima pagina della Bibbia: tutto va assunto dal credente e reso conforme all’uomo per eccellenza – “Ecce homo!” – Gesù di Nazaret. Così il senso della fede, essenziale nella vita del cristiano, è sempre connesso a un vissuto, a una conoscenza amorosa e pratica di Dio che porta ad assumere il discernimento, il senso delle cose spirituali. Il cristiano non si limita a dire: “Io credo che Dio esiste”, ma afferma anche: “Io amo Dio senza averlo visto”, si rivolge a Dio con un “tu” e gli confessa il suo amore, il suo stupore, il suo desiderio.
Enzo Bianchi
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