La quaresima è un tempo per “guardare avanti” e per lasciarsi trasformare continuamente dallo Spirito del Cristo risorto. Vivere questo periodo come un “catecumenato spirituale” mediante il quale riportare Cristo al centro. Un tempo di “disciplina spirituale” nel primato dell'amore e della carità.
del 15 febbraio 2007
Nel libro del Siracide è scritto che «un uomo si conosce veramente alla fine» (11,28). La conclusione illumina tutto ciò che precede, la meta rivela la validità del percorso effettuato, il fine spiega i passaggi intermedi. La prospettiva della quaresima è la pasqua, intesa come piena conformazione a Gesù. Nell’attuale cultura fluida, incapace di pazienza e in continua ricerca di emozioni forti, si è tentati di prendere soluzioni rapide, invece di stare a lungo in silenzio davanti al Signore o ci si preoccupa di adottare una “tecnica spirituale” più che di ritrovare la fiducia in Dio.
 
Gesù non è venuto solo per liberarci dai lacci del peccato e della morte, ma anche per farci entrare nell’intimità della sua vita divina e per innalzarci fino alla comunione d’amore con il Padre. Per Gesù la “vita spirituale” significa essere nel mondo senza essere del mondo. La conversione è lasciarsi trasformare completamente dallo Spirito, anche se tutto pare rimanere come prima.
 
 
 
Quaresima, periodo di “catecumenato spirituale”
 
Il primo gradino della scala verso la pasqua è diventare liberi dalle costrizioni del mondo e fissare il cuore sull’unica cosa necessaria: sperimentare situazioni e rapporti come una varietà di modi con cui Dio fa conoscere la sua presenza. In Dio, amato senza condizionamenti e senza riserve, viene ricuperato il resto. La conversione non è apatia, indifferenza o presa di distanza, ma è trovare in Dio il significato di ogni realtà. Il vero discepolo vede, ascolta e comprende, sintonizzandosi con gli occhi, con le orecchie e con il cuore a Dio. La persona, la famiglia e la comunità convertite sono dove è Dio, e lì tutto è importante.
 
 La quaresima prepara i catecumeni al battesimo e aiuta i battezzati a vivere questo sacramento, che è morte e risurrezione, rinascita e trasformazione in una vita “nuova”. Il papa, al convegno di Verona, affermava: con il battesimo «il mio proprio io mi viene tolto e viene inserito in un nuovo soggetto più grande, nel quale il mio io c’è di nuovo, ma trasformato, purificato, “aperto” mediante l’inserimento nell’altro, nel quale acquista il suo nuovo spazio di esistenza. Diventiamo “uno in Cristo” (Gal 3,28), un unico soggetto nuovo, il nostro io viene liberato dal suo isolamento. “Io, ma non più io”: è questa la formula dell’esistenza cristiana fondata nel battesimo, la formula della “novità” cristiana chiamata a trasformare il mondo».
 
 Non la competizione, ma l’amore che, ricevuto da Dio, fa dire con s. Paolo: «Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me» (Gal 2,20). L’unione col Padre in Cristo per mezzo dello Spirito genera nuove relazioni, toglie paure e avidità, libera dalla competitività vicendevole, introduce nella condivisione e genera gioia e gratitudine. Non si tratta più di essere logorati dall’“inseguire” i risultati, col pericolo di cadere nella depressione e nella frustrazione, ma di partecipare alla vita della Trinità, che è un totale “darsi” e “riceversi” nell’amore. L’uomo cerca la gloria “salendo”, Dio rivela la sua gloria “discendendo”. È questa la strada per la vita.[1]
 
 
Rimettere Cristo al “centro”
 
La quaresima stimola ad una rinnovata curiosità per la ricchezza nascosta nell’esperienza cristiana. Proprio in un’epoca di cristianesimo “quantitativamente ridotto” è urgente ricominciare con un’adesione più consapevole al Credo. Senza conversioni di massa o inversioni di tendenza, ci sono segnali di una nuova vitalità per la fede, pur in comunità di modeste dimensioni e apparentemente ininfluenti.[2] La chiesa può essere “moderna” opponendosi a ciò che dicono tutti: nel coraggio della verità sta la sua forza.
 
 L’odierna cultura parla spesso di Cristo ma, se si guarda all’ambito della fede, si nota un’inquietante assenza, se non addirittura il rifiuto della sua persona. Eppure, la fede che salva è la fede in Gesù Cristo e nel suo mistero pasquale di morte e di risurrezione. Benedetto XVI a Verona ha identificato la vocazione cristiana nel «cooperare perché giunga a compimento effettivo, nella realtà quotidiana della nostra vita, ciò che lo Spirito Santo ha intrapreso in noi col battesimo: siamo chiamati a divenire donne e uomini nuovi, per poter essere veri testimoni del Risorto e in tal modo portatori della gioia e della speranza cristiana nel mondo».
 
 Oggi è importante accentuare il momento “iniziale” della fede, perché non regge più il regime di cristianità, che privilegia la completezza e l’ortodossia dei contenuti della fede stessa. Poiché i cristiani di oggi non sono passati attraverso il catecumenato, occorre proporre loro l’annuncio fondamentale, nitido e scarno, semplice ed efficace («Gesù è il Signore!»), che li metta in diretto contatto con Cristo e faccia loro sperimentare la potenza del suo Spirito.[3]
 
Non mancano gli “ostacoli”: le divisioni, la troppa fiducia nelle risorse umane, l’appesantimento dei messaggeri del Vangelo, la ricerca della propria gloria, la burocrazia, il clericalismo, il linguaggio astruso e incomprensibile, le troppe “prudenze” umane e le controtestimonianze. La vera domanda è: «Che posto occupa Cristo nella mia vita?», per vivere per lui e fare penetrare il Vangelo in tutto ciò che facciamo.
 
 Il cristianesimo non comincia con quello che l’uomo deve fare per salvarsi, ma con quello che Dio ha fatto per salvarlo. Nell’esperienza cristiana è Dio che tende la sua mano all’uomo peccatore: il dono precede l’impegno. Nell’Exultet si inneggia al redentore a partire dalla colpa di Adamo, ritenuta “felice”, anzi “necessaria”. Dio permette il peccato perché si eviti il peccato. La croce di Gesù – ha detto il papa a Verona – «non è la negazione della vita, da cui per essere felici occorrerebbe sbarazzarsi. È invece il “sì” estremo di Dio, l’espressione suprema del suo amore e la scaturigine della vita piena e perfetta: contiene, dunque, l’invito più convincente a seguire Cristo sulla via del dono di sé». Egli ha aggiunto che la vera forza del cristiano è nutrirsi della Parola e del corpo di Cristo.
 
Prima di Gesù, “convertirsi” significava sempre “tornare indietro”, mediante una rinnovata osservanza della legge. Con Gesù, “convertirsi” equivale ad “andare avanti”, entrando nella nuova alleanza. Convertirsi a Dio consiste nel credere in Cristo: «Convertiti e credi al vangelo», ripete a ciascuno la chiesa il giorno in cui impone le ceneri sul capo dei fedeli che iniziano il percorso quaresimale. L’opera della fede è partecipare alla vittoria di Cristo. Per questo il papa a Verona ha ribadito che, «all’inizio dell’essere cristiano, non c’è una decisione etica o una grande idea, ma l’incontro con la persona di Gesù Cristo, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva».
 
 
Quaresima, tempo di “disciplina spirituale”
 
Per don Mazzolari, il primo atto della conversione è «ritornare in noi stessi, restituirci a uomini, diventare uomini, incominciare a ragionare con la nostra testa, col nostro cuore e con la nostra coscienza. È inutile parlare di Dio dove c’è alienazione. Quando uno non è più padrone di sé, non è in condizione di ascoltare».[4] Per cambiare qualcosa fuori di noi, non c’è altra via che cambiare noi stessi. È finito il tempo di fare gli spettatori, sotto il pretesto che si è onesti e cristiani. Forse troppi hanno le mani pulite perché non hanno mai fatto niente. Talvolta si è malati di indecisione per la paura di sbagliare: Sören Kierkegaard affermava che, secondo il Nuovo Testamento, il cristianesimo è inquietudine, mentre nella cristianità si presenta il cristianesimo come un “calmante”.
 
 Allora è facile chiamare rassegnazione la nostra ignavia, prudenza la nostra paura, sacrificio la nostra avidità di godimento, diritti le nostre concupiscenze, desiderio di pace la nostra viltà. Chi non ha la grazia di credere è travagliato dall’incertezza, dalla paura e dal vuoto; chi ha la grazia di credere è travagliato dalla verità e dalla luce. La fede, infatti, rende giudici “implacabili” di noi stessi.
 
 Susanna Tamaro afferma che «un cielo senza Dio è pronto a popolarsi di idoli». E tra un “senza Dio” e un “idolatra” – diceva don Mazzolari – non è facile discernere chi è più lontano dal Regno. La quaresima è il tempo privilegiato per purificare il cuore, che oggi riceve ogni genere di spazzatura e la accumula, vivendo in una condizione di povertà assoluta. Il percorso verso la pasqua tende a riportare l’uomo alla centralità del cuore, “luogo” non di cose frivole, ma “luogo” di apertura a Dio, che opera in ciascuno e con ciascuno.
 
 Ogni giorno l’uomo si sveglia “schiavo” per addormentarsi la sera un po’ più “figlio” sul guanciale della divina paternità. La persona umana è una creatura che cade, la si incontra più spesso a terra che in piedi: un abisso di miseria e di grandezza. Cristo cade sotto il peso della croce e sa attendere quanti sono chini sotto la propria debolezza. Cristo non è come il sacerdote e il levita della parabola che, data un’occhiata al caduto, tirano diritto verso i loro traguardi ideali. L’infinita pazienza del Signore può irritare soltanto coloro che preferiscono il giudizio alla misericordia, la lettera allo spirito e il trionfo della verità all’esaltazione della carità. Ogni parola del Vangelo è “dura”, ma c’è una “durezza” disumana e c’è una “durezza” che modella come persone. Il mondo conosce la prima, Cristo offre la seconda. Il vero rischio è di “svuotare” il Vangelo, di levigarlo a tal punto da non farlo più essere “pietra di scandalo”. In Cristo, Dio ci ama come siamo, per farci diventare come ci vuole. Cristo non comanda niente, ma attrae. Credere all’amore di Cristo rende possibile credere anche negli altri “amori”, perché allenta il legame con le cose, scioglie dall’ambizione, dai desideri di successo e dalla suscettibilità: si frantuma la corazza che ognuno si costruisce addosso e si aprono nuovi spiragli di luce e di risurrezione.[5]
 
 È il tema della “disciplina spirituale”, che è dono dello Spirito, ma esige il proprio sforzo. Una “vita spirituale” senza disciplina è impossibile, perché non consente di ascoltare Dio. Il termine “obbedire” ha in sé la radice dell’audire, dell’ascoltare, in solitudine e mediante il digiuno. La “disciplina spirituale” impedisce al mondo di riempire le nostre vite così che non resti più posto per ascoltare e seguire Gesù. La solitudine è la fornace della trasformazione del falso io.
 
 Il termine “mortificazione” significa “fare morte”, cioè scoprire la parte mortale di ogni persona e realtà, così da apprezzarne il valore senza attaccarvisi come fosse un possesso duraturo. Di qui il senso di gratuità da acquisire come stile di vita. La Parola e i ritiri spirituali, la preghiera e il digiuno, la direzione spirituale e la celebrazione penitenziale, il distacco dalla tv e da internet, le opere di carità… servono ad entrare nel Rinuncio e nel Credo la notte di pasqua.
 
 
Quaresima, tempo del “primato dell’amore”
 
A Verona Benedetto XVI ha precisato che la cifra del mistero della salvezza è «l’amore, e solo nella logica dell’amore esso può essere accostato e in qualche modo compreso. La risurrezione di Gesù Cristo è stata un’esplosione dell’amore che scioglie le catene del peccato e della morte». La quaresima serve a prepararsi al primato di questo amore, che vince i due grandi nemici della vita spirituale, la collera e la cupidigia, frutti acidi della dipendenza dal mondo.
 
Preghiera e azione si richiamano a vicenda. Se la preghiera guida a una più profonda unità con il Cristo della compassione, non mancherà di provocare azioni concrete di servizio e solidarietà ai poveri (vecchi e nuovi) e la loro presenza genererà la preghiera, che consente di essere vicino a ciascun tribolato.
 
La Parola, la via crucis e l’eucaristia portano ad una totale autodonazione per un amore radicale e completo che trova nella liturgia del giovedì santo il modello permanente. Cristo vuole che ci chiniamo a terra e purifichiamo le parti che hanno bisogno di essere lavate, dicendoci gli uni gli altri: «Mangia di me, bevi di me». Dove manca l’amore, anche la verità diminuisce. La carità non esalta solo la giustizia, ma anche la verità: chi ha poca carità vede pochi poveri e l’occhio della carità è l’unico che vede giusto. A un anno dalla pubblicazione, l’enciclica Deus caritas est offre tanti spunti per leggere nel Crocifisso il testamento dell’amore (n. 26-39). Il peccato è un modo sbagliato di procurarsi amore e le infedeltà dell’amore vengono perdonate moltiplicando l’amore.
 
Per il discernimento comunitario può servire la seguente griglia, da presentare nella liturgia del mercoledì delle Ceneri: quale formazione la comunità cristiana sta offrendo ai laici (ragazzi, giovani, adulti) per prepararli alle sfide dell’odierna società? (prima domenica); quale rilevanza è data alla preghiera per trasformare il quotidiano in una testimonianza solida e gioiosa della fede? (seconda domenica); come fare del Vangelo la chiave interpretativa dell’esperienza umana, coniugando correttamente il credere e l’agire per portare frutti buoni? (terza settimana); come aiutare i giovani a ritrovare la gioia di vivere, in un contesto in cui si guarda al futuro più con paura che con speranza? (quarta domenica); come aiutare genitori e figli a reagire ad uno stile di vita fortemente individualista, frutto di un relativismo che rende tutto provvisorio e discutibile e trasforma in norma la trasgressione? (quinta domenica).
 
Al convegno di Verona il card. Tettamanzi ha premesso che la risposta propria della testimonianza cristiana è «la coerenza con la grazia e la responsabilità che ci vengono dall’incontro vivo e personale con Gesù Cristo morto e risorto, dall’obbedienza alla sua Parola, dalla sequela del suo stile di vita, di missione e di destino». Questo impedisce di affrontare la quaresima con abitudine o con attivismo, con frammentarietà o con affanno, con mediocrità e nel “fai-da-te”. Con il consiglio pastorale va preparato tale evento, ispirandosi allo stile sobrio, orante e sinodale di Verona, per accedere ad un “cibo solido” (1Cor 3,2) e superare il “complesso di Peter Pan”, cioè tendere personalmente e “in rete” alla maturità della pasqua.
 
  
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[1] Nowen H., Mostrami il cammino. Meditazioni per il tempo di quaresima, Queriniana, Brescia 2003, pp. 47-49.
 [2] Ratzinger J., Il sale della terra, San Paolo, Cinisello B. (MI) 2005, pp. 17-20, 251, 272, 301.
 [3] Vari spunti sono ispirati a Cantalamessa R., La fede che vince il mondo, San Paolo, Cinisello B. (MI) 2006.
 [4] Barra G. (a cura), Don Primo Mazzolari. Perdersi: il solo guadagno, Gribaudi, Torino 1975, pp. 98-99.
 [5] Grün A., La gioia del rilassamento, San Paolo, Cinisello B. (MI) 2006.
Luigi Guglielmoni - La Settimana (ed. Dehonaine)
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