"Siamo cresciuti col mito del posto fisso, la carriera, il successo, per questo ci sentiamo sempre poveri ed inadeguati. Stiamo scappando perché non ci hanno dato le armi buone per resistere, e quando scopriamo che la nostra squadra del cuore non ci ricambia, che la nostra amica banca si ricorda di noi solo quando andiamo in rosso, che il lavoro della nostra vita, la nostra vita la vuole tutta... ci sentiamo sconfitti! Ci sarebbe bastato poco, tipo avere dei sogni davvero nostri, partoriti dalle nostre ambizioni e non dalla sala riunioni di una multinazionale. Dobbiamo imparare a richiudere i pugni, come da neonati, per tenere stretta in mano la nostra vita...
tratto da familyandmedia.eu
"Siamo cresciuti col mito del posto fisso, la carriera, il successo, per questo ci sentiamo sempre poveri ed inadeguati. Stiamo scappando perché non ci hanno dato le armi buone per resistere, e quando scopriamo che la nostra squadra del cuore non ci ricambia, che la nostra amica banca si ricorda di noi solo quando andiamo in rosso, che il lavoro della nostra vita, la nostra vita la vuole tutta... ci sentiamo sconfitti! Ci sarebbe bastato poco, tipo avere dei sogni davvero nostri, partoriti dalle nostre ambizioni e non dalla sala riunioni di una multinazionale. Dobbiamo imparare a richiudere i pugni, come da neonati, per tenere stretta in mano la nostra vita...”
La scena finale del film “Noi è la Giulia” mi è rimasta dentro per anni. In quel momento fui del tutto consapevole che quelle parole avevano colto qualcosa che stavo provando da tempo, e a cui non riuscivo a dare un nome: una sensazione di inspiegabile incertezz a, unita alla voglia di farcela.
Tutti abbiamo dei sogni, soprattutto da bambini, ma quando improvvisamente diventi adulto ti rendi conto che non è così facile come sembrava, e lì inizi a fare i conti con l’incertezza. Ho scoperto che la sensazione che provavo era inquadrabile come“Crisi del quarto di secolo”- Quarter Life Crisis (QLC) una sorta di crisi di mezza età precoce. Un fenomeno al quale non solo hanno attribuito un nome, ma su cui sono state fatte tantissime ricerche. Proprio queste ultime evidenziano che la maggior parte dei giovani nati dal 1986-1996 soffrono di uno stato ansioso e depressivo intorno ad un periodo di tempo che va dai 25 ai 35 anni circa.
Molti fanno riferimento a questa crisi come se fosse una specificità tutta del mondo contemporaneo. Ciò in parte è vero, soprattutto se pensiamo alle tante le sfide che ci pone davanti il mondo moderno: la fluidità delle relazioni, la velocità della tecnologia, la crisi economica e l’incertezza del mercato del lavoro. Sicuramente il contesto socioeconomico di riferimento influenza e acuisce questa situazione di malessere, ma in realtà la “crisi del quarto di secolo” è un momento di crisi tipico di quello specifico spaccato temporale di età, in quanto si esce dalla “zona di sicurezza” e si iniziano a percorre strade ignote.
I 25 anni sono generalmente il periodo in cui termina il percorso universitario, si affrontano le prime esperienze lavorative e in concomitanza si iniziano a prendere decisioni “da adulti” che mettono in discussione anche delle scelte fatte fino a quel momento. Sono gli anni in cui l’individuo indaga sé stesso, le proprie possibilità, il mondo che lo circonda e conquista la propria identità adulta, facendo un piccolo bilancio del proprio presente proiettandosi nel futuro, di cui non si ha nessuna risposta.
Perché tutto ciò accade?
Viviamo in un’epoca in cui è molto semplice “cambiare”: non ci sono distanze, barriere, è tutto veloce. Questa facilità di accesso, che si presenta come opportunità, potrebbe essere in realtà uno dei fattori scatenanti di questo stato d’ansia. Proprio perché è tutto così facilmente mutabile, non si hanno più appigli stabili sulla quale aggrapparsi, reggersi e respirare momentanea calma. Schiarirsi le idee e provare ad emergere diventa difficile, specialmente se si sta navigando in un mare di menti, in cui sono tutti alla ricerca affannosa del tragitto migliore per ritornare a galla e non affogare.
A 25 anni si perde la spensieratezza tipica del periodo adolescenziale , e si entra nell’età adulta con un bagaglio di domande alla quali fino al giorno prima si credeva di avere una risposta. Questa situazione di inquietudine e incertezza sul futuro, unita alle alte aspettative della famiglia e della società, manda i giovani in tilt trasformando questa paura in una nuova patologia, la Quarter Life Crisis , caratterizzata da ansia da prestazione (professionale), senso di soffocamento (che sia per un lavoro o per un matrimonio) e, nei casi più gravi, depressione.
Come superare questa crisi?
Il mondo di oggi vuole che tutti debbano camminare veloci, omologarsi ed adeguarsi nella loro individualità: bisogna conoscere l’inglese, avere una laurea, la specialistica e un master; aver fatto almeno un’esperienza all’estero… poi bisogna fare la gavetta, entrare nel mondo del lavoro e ancora, stipulare un mutuo, comprare una casa, mettere su famiglia magari avere un figlio…e tutto ciò prima dei 30 anni!
Ciò che va’ capito è che tutti hanno il diritto di rallentare, fermarsi e respirare.
Non c’è una ricetta vincente o una risposta univoca valida per tutti, utile a fronteggiare questo stato d’ansia. Sicuramente se sfocia in stati di depressione è bene chiedere aiuto e farsi supportare da esperti. Ad ogni modo, bisogna non dimenticare che la maturazione della personalità attraversa necessariamente momenti d’incertezza e di rischio, anche di sofferenza piccola o grande che sia. Vi è un detto italiano molto saggio: non ogni male viene per nuocere. L’apprendistato della libertà si presenta sempre sotto nuove forme, a qualsiasi età, e sempre comporta fatica.
I giovani devono fare proprie quelle scelte, attraverso le loro idee e seguendo la loro volontà, con la consapevolezza che nulla è deciso irrimediabilmente e che non è mai tardi per cambiare . Dobbiamo solo “imparare a richiudere i pugni , come da neonati, per tenere stretta in mano la nostra vita...”
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