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Quattro mamme “straordinariamente normali” (2).

Quattro madri si raccontano. Madre di una ragazza con disabilità, Fabiana combatte contro tutti gli ostacoli per condurre una vita normale. Ma è una mamma felice: “Attraverso mia figlia ho realizzato me stessa”. “Non posso permettermi il lusso di deprimermi”


 

 

Quattro mamme “straordinariamente normali” (2).

 

Fabiana Gianni, 41 anni, è madre di Diletta, nata con una grave cerebrolesione da parto. Qui è con la sua famiglia allargata: le sue tre figlie, suo marito Sandro e il figlio di quest'ultimo

ROMA – Quando diede alla luce Diletta sua madre smise di parlare. Impiegò cinque anni prima di riuscire a trovare le parole per accogliere la sua prima nipote. Nel suo grande salotto tappezzato di foto di famiglia al quartiere Laurentino di Roma, Fabiana Gianni, 41 anni, racconta una storia che solo nel corso di molti anni è riuscita a elaborare: la sua adolescenza ribelle, l’arrivo della sua primogenita e poi delle altre due figlie Diana e Daniela, la grande gioia del suo recente matrimonio con Sandro e il rapporto con la propria madre. Una donna altoborghese quest’ultima, che preoccupata di proteggere sua figlia dalle sofferenze della vita e dal giudizio dei vicini non è riuscita per anni ad avere una relazione con la sua prima nipote Diletta, nata con una grave cerebrolesione da parto. Una neo-nonna colpita da una situazione che risultava impossibile gestire con gli strumenti di sempre. “Nella mia famiglia la disabilità non era minimamente contemplata. Non accettavano gli ausili di Diletta né le difficoltà che non avrebbero superato in alcun modo. Non accettavano la mia reazione e le mie scelte. Con mia madre non ci siamo parlate per anni e mi sono trovata a reinventarmi una vita in corsa. Mi mancava la sua figura, ma dovevo salvaguardare me stessa e Diletta da quello scroscio di imperativi e razionalità che non condividevo”. Anche la storia di Fabiana è raccontata nel prossimo numero di Superabile Magazine, la rivista dell'Inail dedicata alla disabilità.

Nel 1998, anno in cui nacque Diletta, Fabiana era appena riuscita a trovare un equilibrio tra i suoi desideri e la concreta possibilità di realizzarli. Aveva messo fine a una giovinezza irrequieta che l’aveva portata fino a Berkeley in California e aveva cominciato a lavorare nell’azienda di famiglia, aprendo un nuovo canale dedicato alla formazione all’interno di un’impresa che si occupava di allestire laboratori scientifici nelle scuole. Ma soprattutto si era sposata un anno prima, coronando pochi mesi dopo il più grande dei suoi sogni: “Avevo da sempre desiderato dei figli e rimanere incinta fu un’enorme gioia”. Si sente spesso dire che la disabilità è tale soprattutto per via delle condizioni ambientali, sociali e materiali che il mondo circostante frappone tra sé e le persone disabili o i loro familiari. Un assunto che Fabiana sperimentò fin da subito sulla propria pelle. Reagì con grinta ai problemi di Diletta e mai, neppure per un momento, si permise il lusso di piangere sulla sua condizione di novella madre. “Dopo aver detto ai miei genitori che non mi sarei mai separata da mia figlia, io e mio marito abbiamo aperto un’attività per conto nostro. Continuavamo a occuparci di stage e formazione, ma eravamo fuori dall’azienda di famiglia – ricorda –. Quando penso a tutte le cose che ho fatto in quel periodo, mi domando ancora dove abbia trovato la forza di farle”.

Due anni dopo, infatti, Fabiana e Diletta erano a Philadelphia, negli Istituti per il potenziamento dello sviluppo umano, fondati da Glenn Doman per accrescere le competenze dei bambini con lesioni cerebrali. “Quello di Doman è un metodo molto invasivo: sono moltissime le attività da svolgere ogni giorno. La casa era tutta rivestita di percorsi guidati, e io me ne andavo in giro con tre cronometri appesi al collo”. Fu un periodo di sforzi straordinari, ad aiutare Fabiana una quarantina di volontari reclutati in ogni modo: tra gli amici, col passaparola, attraverso volantini affissi sui muri del quartiere. “Quando facemmo l’ultimo viaggio in Pennsylvania, non uscivamo più di casa. Eppure ne è valsa la pena: Diletta aveva raggiunto il massimo dal punto di vista motorio. A 22 mesi ha detto “mamma” per la prima volta, e dopo quasi due anni di metodo Doman ho deposto le armi e ho dato inizio alla stagione del sorriso. Mia figlia non avrebbe mai camminato, tanto valeva usare subito la sedia a ruote. Avevamo fatto tutto quello che potevamo fare, ora bisognava soltanto vivere”.

Nel frattempo la situazione familiare affondava a poco a poco sotto il peso dello sforzo necessario ad affrontare quella faticosa normalità. “Mentre io seguivo il mio percorso, mio marito si chiudeva progressivamente in un silenzio assordante. Ci siamo lasciati nel 2004, poco dopo l’arrivo della seconda figlia che io avevo fortemente voluto”. Poi un nuovo compagno e due anni dopo era la volta di Daniela, che non ha avuto neppure il tempo di conoscere suo padre, scomparso prematuramente prima della sua nascita. “Sono seguiti due anni terribili, ma la mia situazione non mi permette il lusso di deprimermi”. La svolta è arrivata nel 2010, quando Fabiana ha conosciuto Sandro, anche lui con un figlio e un matrimonio finito alle spalle, con cui si è sposata nel marzo dello scorso anno. “Ora sono serena, non sono costretta a lavorare per guadagnarmi da vivere e, oltre alla mia famiglia, ho il tempo di dedicarmi ai miei progetti: in primo luogo alla Fondazione Villa Point, nata a San Felice Circeo alla fine del 2012 con l’obiettivo di portare la disabilità fuori dal ghetto. I miei genitori hanno voluto dimostrarmi di aver capito e, come è loro stile, lo hanno fatto in modo plateale”. Non è un caso, infatti, che la Fondazione sorga proprio nella villa di famiglia nel cuore del Circeo, dove si dà appuntamento ogni estate la Roma bene. Fabiana apre i cancelli soprattutto in inverno, organizzando feste e iniziative aperte a tutti, famiglie con persone disabili e non, in modo da creare relazioni e momenti di svago fuori dal tran tran della vita di tutti i giorni. Ma c’è anche una seconda ragione: «Ho voluto che la disabilità arrivasse al Circeo, dove la sola vista di una persona in sedia a ruote sembra proprio che dia fastidio. Perché – si arrabbia – io non avrei nessun problema ad andare al mare con le mie figlie se solo ci fosse un minimo di organizzazione. I problemi sorgono quando, arrivate alla spiaggia libera, le due più piccole scappano avanti e io rimango bloccata nella sabbia perché non c’è una passerella che mi consenta di raggiungere la riva con la più grande”.

Così la vita quotidiana trascorre tra battaglie per far valere i propri diritti e momenti di serenità familiare. Diletta frequenta la terza media fino alle 15.30, fa fisioterapia quattro ore a settimana e ha un assistente domiciliare tre ore al giorno, una la mattina prima di andare a scuola e due il pomeriggio. Quando noi la incontriamo, in uno dei primi pomeriggi caldi di una primavera tardiva, manifesta segni di diffidenza per via di una lunga settimana di controlli e check up medici: “Non mi devono toccare”, dice, temendo una nuova seduta di fisioterapia con persone sconosciute. “L’anno scorso sono cambiate tutte le persone di riferimento e riabituarsi per lei è stato molto faticoso – racconta sua madre –. Di questo dobbiamo essere grati alla carente organizzazione dell’assistenza domiciliare e alla mancata erogazione dell’assistenza indiretta”.

E poi ci sono le altre due, Diana e Daniela. Anche il loro nome comincia con la lettera D, in omaggio alla forza e all’energia della Donna. Come tanti fratelli di bambini e ragazzi disabili sono costrette a fare i conti con la presenza di una sorella che rischia di rubare loro tempo e attenzioni da parte dei genitori. “La più piccola non ha paura di niente e di nessuno. Quando porta a casa un’amichetta per la prima volta, le chiede se Diletta le piace. È il suo modo per capire quali sono le persone da frequentare e quali no. Diana, invece, è più timida, c’è il pericolo che a volte si senta schiacciata”. Da poco c’è anche Denny, un labrador arrivato dal canile, ormai parte della famiglia a tutti gli effetti. Insomma, con i vari impegni c’è poco da annoiarsi. «Dovrebbe vederci quando le bambine hanno una festa di compleanno, tutte nello stesso giorno e alla stessa ora», afferma Fabiana. E poi più seria: «Attraverso Diletta ho realizzato me stessa. Non pensavo di poter essere così felice, lo dico senza retorica. È una bambina solare, che non perde mai il sorriso. Guardando lei capisco che ho il dovere di vivere con gioia”.

 

 

Redattore Sociale

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