Questa impetuosa forza del verso

La letteratura, e in particolare la poesia, offre dubbi e non certezze perché disegna percorsi sconosciuti e mappe ignote. Oppure rivela qualcosa che finora era nascosto ai nostri occhi. Avvicinarsi alla poesia è avvicinarsi ad un mistero affascinante, avvincente. Poesia dunque come esperienza di una bellezza evergreen, e bellezza come salvezza dell'umanità.

Questa impetuosa forza del verso

da Quaderni Cannibali

del 13 aprile 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 

 

The central fact of my life has been the existence of wordsand the possibility of weaving those words into poetry.

(La ragione centrale della mia vita è stata l’esistenza delle parolee la possibilità di tessere queste parole in poesia) 

          L’affermazione è del caro Jorge Luis Borges, ospite della Harvard University nel 1967, dove tiene le sue Lectures davanti agli studenti anglo-americani. Parla, espone, commenta, mentre gli studenti registrano o prendono appunti dalle parole dell’autore che elogiò la magnifica ironia di Dio che nel 1955 gli diede insieme la carica di Direttore della Biblioteca Nazionale Argentina e la cecità. Di Borges, come molti sapranno, a distanza di anni sbuca sempre qualcosa di inedito, come il libro sopraccitato This craft of verse edito solo nel 2000 dalla stessa Harvard University, oggetto del presente articolo, oppure i Textos Recobrados 1919-1929 che hanno conosciuto la prima edizione iberica nel 1997 per i tipi della Emecé Editores (prima edizione italiana 2010 con il titolo Il prisma e lo specchio) o anche il famoso libro perduto El tamaño de mi esperanza (La misura della mia speranza, 2007).

          Se è vero che Borges eleggeva il prologo come attività parallela a quella di scrittore, per onorarlo dovrò anch’io giustificare un prologo al libro: perché scrivere di un ciclo di conferenze, peraltro in lingua inglese, quando le opere del nostro Omero argentino sono più interessanti dal punto di vista letterario e rivelano una continua e disarmante novità? Per un autore del suo spessore, disquisire come in retroscena dell’arte di scrivere ma in particolare dell’arte di leggere poesia permette un approccio meno simbolico e più patemico, passionale insomma. E di fatti il libro tende alla disquisizione gradevole, estranea a certe rigidità di carattere accademico. Borges parla al pubblico e in questo senso usa il “tu” come se parlasse ad un interlocutore col quale stabilire un rapporto di confidenzialità letteraria.

          La letteratura – egli afferma – e in particolare la poesia offre dubbi e non certezze perché disegna percorsi sconosciuti e mappe ignote. Oppure rivela qualcosa che finora era nascosto ai nostri occhi. Avvicinarsi alla poesia è avvicinarsi ad un mistero affascinante, avvincente. Fin qui siamo tutti d’accordo. Ma la disinvoltura del nostro autore risiede persino nel motivare alcune implicazioni psicologiche nell’avvicinarsi alla poesia; e procedendo man mano nella lettura del testo, scopriamo con una certa familiarità che sono le stesse implicazioni percettive di ognuno di noi, capaci di accendere quelle intime scintille di stupore. Dicevo, Borges espone al pubblico non in veste da docente, ma da lettore fra lettori più giovani. E nel definire la poesia non userà termini o impianti concettuali lontani dal sentire comune, al contrario dirà sin dall’inizio la cosa più giovane e fresca: per lui la poesia è passione e gioia, e poiché “Life is, I am sure, made of poetry” i libri sono “an occasion for poetry and beauty”. Poesia dunque come esperienza di una bellezza evergreen, e bellezza come salvezza dell’umanità. Questa bellezza, badiamo, non è statica o inerme, è dinamica perché dinamica è la lingua capace di esprimere il “to kalon” comunque cangiante, teso verso un’armonia totale, in un equilibrio fra parola e senso. È dinamica perché nel tempo avviene uno spostamento, linguistico, semantico dentro il testo poetico, per cui il lettore si sposta insieme alla lingua (“Thus, the language is shifting [...] and the reader is shifting too”) ed è ciò che rinnova di conseguenza l’avvicinarsi alla poesia in maniera sempre diversa, lo spostamento. Ritorna l’antico insegnamento greco a lui caro per cui non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume. Nella poesia non ci si può bagnare due volte, nemmeno a volerla rileggere una volta di più. Immergersi nella poesia è un tuffo diverso, anche se la poesia rimane la stessa. Ed essendo un fedele della citazione colta come genere letterario a sé, Borges felicemente richiama alla sua memoria bibliotecaria, il caro Robert Browning: “Just when we’re safest, there is a sunset-touch” Per questo la poesia si rivela un enigma, “a riddle”, una sorta di indovinello che non si conclude mai e rinnova il suo fascino misterioso.

          La poesia si esprime attraverso la metafora, ci ricorda nella poesia ‘L’altra tigre’ contenuta nel libro L’Artefice. Nel chiarire la figura retorica, Borges nelle sue conferenze va direttamente al cuore del significato affermando con Leopoldo Lugones che “Every word is a dead metaphor”, ogni parola nasconde una metafora che vi è morta all’interno durante i secoli e l’uso. Però la condizione necessaria per capire la metafora è che essa venga sentita, percepita, ascoltata come tale (“What is important about the metaphor, I should say, is the fact of its being felt by the reader or the hearer as a metaphor”). Procedendo nel descrivere le strutture della metafora, il nostro autore raggiunge un punto nodale relativo alla percezione della metafora stessa, e cioè come essa trovi facilmente ospitalità nella nostra immaginazione e come noi lettori sentiamo ospitalità nel leggere un concetto o un argomento travestito nella metafora. Citando Emerson, “gli argomenti non convincono nessuno” e ciò accade perché vengono presentati sotto spoglie di argomenti, ma se questi vengono presentati in forma di metafora, ecco che la nostra immaginazione è più recettiva e più pronta ad ospitare e ad interiorizzare l’argomento.Un testo poetico può anche raccontare; Borges, nel distinguere la nota differenza tra poesia e poema, indica come il secondo possa prefigurarsi in un narrare storicamente un evento, mantenendo comunque la dignità della poesia (ricordiamo Omero, Virgilio, Dante, Pope).

          Un altro tratto fondamentale della poesia è la musicalità connessa alla traduzione, intesa come riproduzione, word-music la cui finalità è la ricreazione ab initio del testo. Già il ricreare attraverso la traduzione ci fa intravedere il proverbiale tradimento del testo originario. Ma l’accento, per Borges, non cade tanto sul tradimento in sé quanto sull’esito che può avere su di noi la riproduzione armonica della parola tradotta. Dato l’assunto per cui la traduzione, nella sua infedeltà all’intento originario del poeta, tende a riprodurre una suggestione diversa dalla lingua di partenza, ciò che diventa importante non è tanto se la traduzione sia o no fedele riguardo al significato, quanto il fatto che possa rivelare in maniera inaspettata un’atmosfera o una forma di bellezza o una nuova forma di senso nel verso tradotto che nell’originale può non esservi presente o venga solo suggerita. Un testo può essere tradotto letteralmente e potrebbe tuttavia falsare il senso suo proprio, ma potrà anche svelare una sorpresa o un aspetto altro relativo al testo originale. Di qui i riferimenti vanno ai saggi di Matthew Arnold e di Francis William Newman, ai tentativi di traduzione di Fitzgerald delle Rubayyat di Khayyam e di Captain Burton nel tradurre il titolo de Le Mille e una notte in inglese, per cui diventò “The Book of the Thousand Nights and a Night” per cui afferma Borges, “It is true word for word. Yet it is false in the sense.” In tale prospettiva Borges da ad intendere come la fedeltà o infedeltà alla traduzione di un testo sia dettata da come hai letto quel testo in lingua originale.

          Dal contesto della traduzione giungiamo al tema della poesia rivelatrice di un pensiero, di un significato. La poesia per Borges riflette una visione, anzi la suscita al lettore e si presenta nella sua totalità compositiva. L’uso della parola evoca, per riprendere il passo precedente, la metafora che è morta all’interno della parola stessa. È questo significato magico antico e metaforico da cui Borges fa risalire l’origine poetica del linguaggio. Le parole nascono magiche, non lo diventano (come invece suggerirebbe Stevenson), pertanto “poetry [...] is bringing language back to its original source.” La fonte originaria della lingua poetica è magica proprio perché proviene dalla realtà; non risiede nei dizionari o nelle biblioteche, ma “[...] it came from the fields, from the sea, from rivers, from night, from the dawn. Thus, we have in language the fact that words began, in a sense, as magic.” Una volta definito che in poesia pensiero e significato non possono essere divisi in compartimenti stagni, ma vivono in un’unità di senso e musicalità, il nostro autore torna ad approfondire il discorso sulla bellezza. La percezione della poesia produce un’emozione e le impressioni di primo mano fanno sì che il lettore o l’ascoltatore possa avvertire la bellezza prima del senso – “I know for a fact that we feel the beauty of a poem before we even begin to think of a meaning.” Ciò non significa ridurre la lettura della poesia a una esperienza soltanto estetica mancante di senso, ma intende indicare che durante la lettura, una poesia possiede di suo una bellezza ben oltre il fatto di come viene interpretata, “[a poem]has a beauty far beyond the mere fact of how it is interpreted.” E in questa lista di infinita bellezza, Borges elenca i suoi edifici letterari – cominciando dalla poesia inglese, Shakespeare, Donne, Yeats per giungere a Gongora, Darìo, Lugones.

          La parte finale di questo libro si conclude sotto forma di testamento, un testo confessionale in cui le considerazioni più intime e personali riguardo il suo apprendistato letterario vanno parallele alla sua memoria, per es. la lettura da piccolo del “Don Quixote” e quando le poesie di Keats gli rivelarono un mondo di passione e di gioia (“Those verses came to me through their music.[...] When I heard those lines, I knew that language could also be a music and a passion. And thus was poetry revealed to me.”) e lo avviarono così ad un percorso formato da libri in cui egli riversò tutta la sua esistenza – “Yet I think the happiness of a reader is beyond that of a writer”. Questa, come altre conferenze, preannuncia una sua celebre definizione su se stesso inserita nel prologo della sua Obras Completas del 1974: “Como De Quincey y tantos otros, he sabido, antes de haber escrito una sola línea, que mi destino sería literario.” In conclusione, la domanda implicita nel libro è: dove sta il credo del poeta secondo Borges? Esso risiede nella sotterranea evocazione della parola, nell’allusione quale modalità espressiva capace di richiamare in sé un mondo di simboli e di significati originari, memorie condivise e rinnovate – “Words are symbols for shared memories.” Una temeraria devozione letteraria testimoniata verso l’arte del verso nel suo fuoco centrale. L’arte del verso come infinita forza espressiva. Impetuosa.

Davide Zizza

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