Il fascino della clausura, l'avventura di Dio, l'abbraccio forte e dolce di Gesù. Come difendersi dall'assedio del nulla, dalla noia, dall'insoddisfazione, dal male e dalla stupida televisione? Come ritrovare il gusto della vita? Ascoltate il cuore e aprite gli occhi... stupitevi!
del 02 novembre 2006
I mass media trasformano ogni piccola scemenza in una tendenza, ogni stravaganza finto-trasgressiva in una moda, ogni sgallettata che appare in tv in un “evento” da immortalare. Ma non si sono accorti di un fenomeno che – questo sì – è l’unico veramente trasgressivo e anticonfomista: l’aumento delle giovani ragazze che scelgono la clausura. Anche la televisione – dovendo riempire ore del palinsesto per propagare le “eroiche” gesta dell’Isola dei famosi, così da rincoglionire il pubblico sotto tonnellate di Nulla – sta alla larga da questo eroismo autentico e da questo sorprendente amore.
 
I dati sono semplici. Fra il 2004 e il 2005, in Italia, sono aumentate di 300 unità le vocazioni claustrali. Trecento giovani ragazze italiane, spesso laureate, del tutto normali, figlie del loro tempo (discoteche comprese), che si sono “innamorate” così e hanno lasciato tutto, proprio tutto, scegliendo le quattro mura di una clausura e una vita di totale povertà, silenzio e preghiera, per questo Amore.
 
Complessivamente le professe solenni sono 6.672 (anche i monasteri sono passati da 524 a 533). Ed è una fioritura non solo italiana. Sempre nel periodo 2004-2005 le claustrali nel mondo sono aumentate di 1.147 unità, arrivando a 47. 626 (a cui vanno aggiunte 8.107 ragazze in periodo di formazione). Curiosamente sono le laicissime Spagna e Francia che, con l’Italia, hanno il maggior numero di vocazioni di questo tipo. Queste stupende avventuriere innamorate, sono figlie di una generazione che non conosce più la carezza di Dio, la compagnia forte e dolce dell’Eterno. Facevano parte di una generazione consumata dal desiderio di qualcosa a cui non sa dare un nome, del senso della vita che non sa trovare. Vengono in mente le antiche parole del profeta biblico Amos: “Ecco stanno per venire dei giorni/ nei quali manderò la mia fame sopra la terra:/ non una fame di pane, non una sete d’acqua,/ ma fame e sete di udire la Parola di Dio./ Ed essi andranno errando da un mare all’altro,/ e dal Settentrione all’Oriente;/ ed andranno qua e là cercando la parola di Dio/ e non la troveranno./ In quei giorni saranno sfiniti per la sete/ le fanciulle e i giovani” (VIII, 11-13).
 
Ma c’è chi ha la fortuna di trovare. Anzi di essere trovato. Come ha detto ad una cronista di Avvenire suor Maria Eliana del Carmelo di Carpineto Romano: “non pensavo al Signore, ma Lui, nel suo amore, ha pensato a me e si è fatto presente”. Racconta: “non ho mai pensato di farmi suora. Tanto meno monaca di clausura. Sono nata a Rimini e ho vissuto per 19 anni a Cattolica, perciò non mancava il modo di divertirsi”. Alla maniera di tutti: “la mia vita era come quella di tanti giovani: mare, discoteca, uscite con gli amici…”. Poi è arrivato il grande amore: “Mi sono sentita amata da Lui e questo amore mi ha toccato il cuore”.
 
Mi è capitato di visitare un monastero di clausura umbro, di clarisse. Ne sono uscito abbagliato. Ho parlato con quattro suore: due erano sull’ottantina, stavano lì dentro da 50 anni. Ma io non ho mai conosciuto persone più ilari, vitali, dolci, piene perfino di buonumore. Poi ho parlato con due nuove clarisse: sui 25-26 anni. Ero stupito dai loro volti e dai loro occhi. Avrei voluto avere una telecamera per fare loro un primo piano stretto mentre parlavano. Vi assicuro che chiunque rimarrebbe colpito. Non era solo la consueta bellezza di due giovani donne. Era, la loro, una bellezza speciale, piena di luce, perché soprattutto erano felici. Parlando con semplicità delle cose normali della loro vita trasmettevano dolcezza e bontà. Loro che avevano rinunciato a tutto, anche alla loro giovinezza e vivevano totalmente povere dietro quella grata, mi sembravano possedere tutto. Soprattutto la pace che noi non conosciamo. Pur portando davanti al trono di Dio, ogni ora, tutti i dolori e le sofferenze del mondo che affluiscono fra queste mura.
 
E’ il fascino di questa ricchezza, di questa Bellezza sconosciuta a tutti noi che viviamo nel mondo, che sta dietro il successo del film “Il grande silenzio”. Non si ha la sensazione di persone che abbiano perduto qualcosa o rinunciato a qualcosa, ma piuttosto di donne e uomini che possiedono ciò che noi affannosamente cerchiamo e la cui mancanza ci sfianca e ci addolora. Il vero deserto, quello dove si muore di sete, è nei nostri cuori sazi e disperati e non certo in quei chiostri silenziosi, simili piuttosto a oasi verdi e fresche. Ciò che il mondo chiama “felicità” è dissipazione che lascia solo la cenere di un fuoco troppo fatuo. L’insoddisfazione perenne accompagna gli umani. Da sempre. Ciò che dappertutto è ricerca agitata e nervosa lì, in quei chiostri, è gioia dell’abbandono. Ciò che dovunque è convulsa corsa al possesso del nulla lì è godimento di Dio, l’Eterno per cui siamo fatti.
 
E’ letteralmente una cosa dell’altro mondo. Un altro mondo dentro il nostro mondo. Dove la verginità significa amore totale e trasfigurazione della propria stessa carne, “divinizzazione”, come dicono i padri della Chiesa orientale che sanno ben riconoscere l’aureola nel volto luminoso degli uomini di Dio. Il cardinal Ruini, concludendo il convegno di Verona, ha sottolineato questo “boom” delle vocazioni alla clausura, ma forse anche la Chiesa dovrebbe rifletterci. Perché gli istituti religiosi in genere hanno crisi di vocazioni mentre la clausura attrae? Non sarà che troppo spesso i religiosi sono stati trasformati in assistenti sociali o attivisti? Non sarà che il “fare” prevale sul “mendicare” e sull’adorazione amorosa? Non sarà che in troppi ordini religiosi – per dire – i superiori hanno sostituito il Buon Samaritano che guarisce (che è Cristo) con psicologi e psicanalisti?
 
Si potrebbe imparare qualcosa da questo fatto se si ascoltasse finalmente il Papa. Nelle sue parole pronunciate a Verona c’è tutto. C’è innanzitutto la passione per Gesù Cristo. Che è tutto. E che basta alla vita. S. Agostino, che aveva vissuto una giovinezza dissipata (in un modo simile alla nostra epoca erotomane e intellettualistica), ha descritto meglio di chiunque altro questo innamoramento di Cristo, la Bellezza fatta carne: “Tardi ti ho amato, o Bellezza sempre antica e sempre nuova, tardi ti ho amato! Ed ecco tu eri dentro di me e io ero fuori e là ti cercavo ed io nella mia deformità mi gettavo sulle cose ben fatte che tu avevi creato. Tu eri con me ed io non ero con te. Quelle bellezze esteriori mi tenevano lontano da te e tuttavia se esse non fossero state in te non sarebbero affatto esistite. Tu mi hai chiamato e hai squarciato la mia sordità; tu hai brillato su di me e hai dissipato la mia cecità. Tu hai emanato la tua fragranza e io ho sentito il tuo profumo e ora ti bramo. Ho gustato e ora ho fame e sete. Tu mi hai toccato e io bramo la tua pace”.
 
 
Fonte: © “Libero” 24 ottobre 2006
Antonio Socci
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