Il 12 e il 13 giugno non votiamo. Vi presentiamo, uno per uno, i quindici motivi che ci hanno spinto a questa scelta, e rispondiamo così anche ai numerosi 'perchè' che ci sono stati rivolti. Per difendere concretamente la legge 40/2004.
del 04 maggio 2005
Abbiamo deciso di non andare a votare, abbiamo deciso di non presentarci al seggio elettorale quando, domenica 12 e lunedì 13 giugno, si deciderà la sorte dei quattro quesiti di abrogazione parziale della legge 40/2004 sulla fecondazione artificiale (procreazione medicalmente assistita). E non voteremo per un sacco di motivi, che diligentemente vi elenchiamo qua sotto, in una sorta di collage delle tante opinioni personali che abbiamo raccolto fra di noi e che abbiamo lasciato in forma discorsiva e diretta. Motivazioni che chiamano in causa tutti, e che speriamo possano essere utili per spiegare la nostra posizione e per convincere coloro che ancora non l'abbiano abbracciata.
 
REFERENDUM: IO NON VOTO
 
 01) Ho deciso di non andare a votare perché difendo la legge 40/2004. Il mio obiettivo primario è fare in modo che la legge 40 non venga cambiata e che dunque le proposte referendarie non vengano accolte. Fra le due opzioni a mia disposizione (votare NO o NON votare) scelgo la seconda perché mi offre maggiori opportunità di successo. I fautori del SI andranno sicuramente tutti alle urne (come avviene in ogni referendum) e la vittoria del NO sarebbe quanto meno difficile. Più semplice è invece fare in modo che non venga raggiunto il quorum e dunque che il referendum sia considerato non valido. La salvezza della legge 40 sarebbe comunque raggiunta. Poiché si tratta di questione di vita o di morte, di manipolazione della vita umana nella fase nascente, non ho intenzione di rischiare nulla. La battaglia culturale è sicuramente importante, i due diversi modi di intendere la questione e il confronto fra di essi sono indubbiamente importanti, ma primaria è la sorte degli embrioni umani oggetto di questa legge. E allora, non posso rischiare, non posso scherzare con il fuoco: scelgo la via lecita più sicura, scelgo la via che mi consente maggiori possibilità di successo. Scelgo di non votare. 
02)  Ho deciso di non andare a votare perché la Costituzione me lo consente. L’art. 75 della nostra Costituzione infatti prevede che i referendum siano validi solamente quando si reca a votare la metà più uno degli aventi diritto. Dunque la Costituzione mi permette di scegliere legittimamente se esprimere un parere sui quesiti o se agire in modo che il referendum sia dichiarato nullo. Le scelte lecite in caso di referendum sono dunque (almeno) tre: 1) Andare a votare e votare SI  -  2) Andare a votare e votare NO  - 3) Non andare a votare. Io scelgo quest’ultima.
03)  Ho deciso di non andare a votare, dunque, perché votare ai referendum non è un dovere, non è un obbligo. Né civile né morale. Votare è una facoltà, una possibilità. Niente di più. La Costituzione individua il voto come “diritto e dovere” solo riguardo alle elezioni (le legislative e le amministrative), attraverso le quali il popolo sovrano si sceglie i propri rappresentanti. Ma un referendum è cosa diversa: la stessa Costituzione mi dice che ho pieno diritto di non votare. Esercito una facoltà, esercito una scelta pienamente in mio possesso. Una scelta che ha lo stesso valore di quelle di segno opposto. Chi non va a votare non ha niente di cui scusarsi o di cui giustificarsi. Egli non è da meno di quanti vanno alle urne.
04) Scelgo il non voto perché a chiamarmi alle urne non è lo Stato ma solo un gruppo di cittadini, e neppure troppo ampio. Il voto è un diritto–dovere solo quando è lo Stato a chiamarmi al voto per scegliere i rappresentati del popolo sovrano in Parlamento. E ciò avviene solo con le elezioni politiche e amministrative. Il referendum non è convocato perché lo chiede lo Stato, ma solamente perché lo chiedono un certo numero di cittadini. Stavolta sono stati circa 750mila, sui 50 milioni circa di cittadini italiani in età di voto. Ebbene: personalmente rispetto l’opinione di questi cittadini, ma il fatto che siano loro a chiedere il referendum non obbliga me a rispondere. E ancor meno mi obbliga a rispondere con il voto. Personalmente ho scelto di rispondere alle loro argomentazioni discutendo e confrontandomi con loro. Ma ho scelto anche di non votare, per fare in modo che la loro richiesta venga respinta. 
05) Ho deciso di non andare a votare perché sono i promotori del referendum a dover dimostrare di avere i numeri per abrogare la legge. Abrogare una legge non è una cosa di poco conto. Quel testo è stato infatti approvato dalla maggioranza del Parlamento, eletto in occasione di quelle elezioni per le quali il voto è un diritto – dovere. E’ dunque ovvio che la pronuncia del Parlamento (cioè, indirettamente, del popolo) possa essere smentita solo dalla maggioranza dei cittadini. Sono dunque i referendari a doverci dimostrare che la maggioranza degli italiani la pensa come loro. Non dovrebbe essere troppo difficile, se è vero, come sostengono, che fin dal primo istante il paese non ha capito e sopportato questa legge. Se davvero le cose stanno così, se davvero gli italiani avversano la legge, per noi ha poco senso perfino stare qui a scervellarci sul votare no o non votare. Se la maggioranza degli italiani andrà a votare SI, loro avranno vinto, indipendentemente da quanto faranno gli altri. L’onere della prova spetta però tutto a loro. Sono loro a dover dimostrare che la maggioranza degli italiani li appoggia e li sostiene. Sono loro a dover dimostrare di essere capaci di portare alle urne la maggioranza degli italiani. La sensazione è che abbiano qualche dubbio, e allora cerchino in tutti i modi di convincere ad andare alle urne anche gli altri, quelli che non la pensano come loro. In modo da raggiungere il quorum con il loro aiuto. Con l’aiuto di chi la pensa agli antipodi rispetto a loro. Bene: io, per ciò che mi riguarda, non ho alcuna intenzione di togliere loro le castagne dal fuoco. A votare non ci vado. Ci andassero loro, se vogliono fare a pezzi la legge. Ci andassero loro, e ci dimostrassero di essere maggioranza. Ad urne chiuse, faremo i dovuti conti.
06)  Io non vado a votare perché non è ammissibile tranciare di netto con il referendum materie così delicate. Con il referendum abrogativo, poi, meno che mai. I quattro quesiti risultano da un “taglia e cuci” vergognoso sulla legge approvata dal Parlamento (cioè dai rappresentanti del popolo): una operazione di chirurgia giuridica che pretende di decidere sulla vita di altri esseri umani. Vogliono un SI o un NO, ma su un tema come questo è quantomeno rozza la tattica del “O tutto o niente”. La fecondazione artificiale e i suoi dilemmi bioetici meritano un confronto serio e complesso, non una semplificazione riduttiva e inadeguata quale quella attuata dai referendum. 
07)  Il non voto è un segno del rifiuto all’utilizzo spregiudicato dello strumento referendario. Il referendum non può e non deve sostituire il Parlamento, il referendum non può essere usato come una mannaia per materie tecniche, di alta specificità e specializzazione. Certo, i cittadini hanno un diritto e lo possono esercitare, ma le modalità di richiesta e l’inflazione di referendum del passato avrebbero dovuto condurre a più miti consigli. E invece, senza nemmeno attendere la sua approvazione già si studiavano i quesiti referendari per distruggere la legge 40; ad un mese dalla sua entrata in vigore iniziava la raccolta di firme per la sua abrogazione, a meno di un anno da quella data la Corte Costituzionale ammetteva i referendum. Non si è nemmeno aspettato, insomma, di vedere come la legge funziona. La si vuole abbattere a priori. E io, a priori, mi rifiuto. Voglio che perdano: non vado a votare. 
08)  Il mio non voto è anche e soprattutto un NO, grande come una CASA, all’utilizzo del referendum per decidere di vita o morte. Se alcuni referendum possono non essere opportuni per la specializzazione dei temi scelti, questo riguardante la fecondazione artificiale ha un altro, ben più grave, elemento. Si decide della vita stessa di esseri umani nella prima fase della loro esistenza: di quelli che già ci sono, congelati (circa 30mila, eredità del Far West procreativo cui la 40 ha posto fine) e di quelli che ancora non ci sono, ma ci saranno nel futuro dopo essere stati creati. Ma davvero si può decidere della vita e della morte di esseri umani? Fino a che punto può arrivare una democrazia? Davvero tutto può essere messo ai voti, davvero tutto può essere dichiarato dipendente dalla volontà della maggioranza? Di quella specifica maggioranza, visto che come tutte le maggioranze anch’essa sarà mutevole, passibile di modifiche e di ripensamenti. No, non penso che tutto possa essere deciso a maggioranza. Penso che vi sono dei diritti che precedono ogni maggioranza, che non dipendono e non possono dipendere dalla volontà popolare. Sono i diritti fondamentali di ogni essere umano, quelli che spettano per il solo fatto di essere uomini. Su di essi non vi sono referendum e vittorie elettorali, o meglio non ci dovrebbero essere. La vita umana dovrebbe essere indisponibile, per se stessi e a maggior ragione per gli altri. E invece, ci chiamano alle urne (chiamano noi, gli adulti, i maggiorenni, quelli che hanno almeno diciotto anni) per decidere sulla vita di altri esseri umani (gli embrioni congelati, tutti quelli che saranno creati in futuro, tutti i figli che nasceranno). Ci chiamano a dare la nostra opinione. Ma io mi rifiuto. Non intendo neppure votare NO, perché votando NO legittimo comunque il SI, come scelta certo opposta alla mia ma comunque possibile, degna di cittadinanza. Non intendo andare al voto, dunque, anche per dare questa testimonianza, questo messaggio: non si decide a maggioranza sulla vita di altri esseri umani. Quando ciò è stato fatto, si è sempre trattato di momenti tristi e bui nella storia dell’umanità. E allora, non voglio farlo. Non vado a votare: il diritto alla vita è un diritto fondamentale, e non si può metterlo ai voti, come se si fosse ad un concorso di bellezza o ad un festival musicale. 
09)    Non voto ma non scappo. C’è chi ha detto che non votare è una fuga, un sottrarsi al contraddittorio, al dibattito. E’ disimpegno, è disinteresse, è apatia. Ma quando mai! E’ esattamente il contrario! In questi mesi di campagna referendaria ho più volte espresso il mio pensiero, e continuerò a farlo. Mi impegnerò secondo le mie capacità per comunicare a tutti che appoggio la legge 40 e intendo difenderla. E rifiuto l’idea che il non recarmi al voto possa fare di me una persona che ha scelto il disimpegno. Per me la scelta di quel giorno sarà la diretta conseguenza dell’impegno giornaliero di mesi e mesi. Da quando in qua l’impegno è individuato solamente con il recarsi alle urne oppure no? E che fatica ci vuole a perdere cinque minuti, fare quattro croci su quattro schede elettorali e tornare a casa? Non ci vuole nulla! E questo sarebbe impegnarsi? Suvvia! Io per impegno intendo altro…  E certamente, in una questione che tratta della vita e della morte, non posso pensare di potermi accontentare di quattro segni su un foglio di carta. E mi stupisco molto di coloro che mi dicono che andranno a votare ‘NO’ perché è dovere civile e segno di impegno. Non è né l’uno né l’altro: non è un dovere (giacchè la Costituzione non lo definisce tale) e non è segno di impegno, ma semmai di disimpegno, di chi pensa che quattro segni su quattro fogli possano essere sufficienti a dire: “Io la mia parte l’ho fatta”.  No, invece. L’andare a votare non basta e in questo caso è anche di aiuto agli altri, agli avversari della legge 40. E perché insistere allora? Perché farsi del male? L’impegno vero a favore della legge 40 e al servizio della vita non si misura certo valutando i cinque minuti persi o non persi al seggio elettorale. Si misura in ben altri modi. Dunque nessuna remora: massimo impegno prima del referendum per spiegare i termini della vicenda, massimo impegno per spiegare il perché non votiamo. Dopo mesi e mesi di campagna referendaria, l’unica fatica che ci risparmieremo sarà quella di perdere cinque minuti cinque per andare al seggio elettorale.
10)   Non voto e non votando io mi schiero apertamente. Dico chiaramente come la penso, non ho la paura di coloro che si nascondono dietro la libertà di coscienza. Tutti coloro che andranno a votare potranno nascondersi dietro la segretezza del voto per non comunicarlo agli altri. E anche se dicessero ai quattro venti come hanno votato, solo la loro coscienza saprà davvero come si sono comportati. Io invece, scegliendo di non andare al voto, rendo la mia scelta visibile a tutti. Non mi trincero dietro la segretezza del voto, non ho paura di dimostrare con i fatti come la penso. Io non vado a votare perché difendo la legge 40.
11)   Io a votare non ci vado. Ma guai a chi dice che mi astengo. L’astensione è un’altra cosa. E non parlo qui del fatto di impegnarmi nel dibattito, nel confronto culturale in corso, cioè del non apparire rinunciatario, indifferente, senza opinione. Anche questo è ovvio, ma parlo di altro. Parlo del fatto che tecnicamente non andare a votare non rappresenta una modalità di astensione. Quando si vota in Parlamento vi sono gli onorevoli presenti e quelli assenti. Quelli presenti votano: qualcuno vota ‘si’, qualcuno vota ‘no’, qualcun altro non prende posizione, si astiene. E’ presente, è conteggiato nel numero dei presenti, ma non vota. Si astiene. Quante volte accade? Spessissimo: per la fiducia al governo, per la missione in Iraq, per tutte quelle materie insomma nelle quali non si è fatta una scelta netta e chiara riguardo all’oggetto della discussione. Ma in questo nostro caso, il referendum, io una scelta netta la faccio. Io difendo la legge 40. Astenermi al referendum vorrebbe dire recarsi alle urne, ritirare le quattro schede, entrare nella cabina elettorale, guardare le schede, lasciarle in bianco, senza farci alcun segno, piegarle e inserirle nell’urna. Questo è astenersi: essere presenti, ma non sapere che fare, pensare che né il NO né il SI indicano chiaramente il proprio pensiero. Ma io, ripeto, una idea ce l’ho. E dunque non mi astengo. Non ho alcuna intenzione di astenermi, io. Io a votare non ci vado. Il che è diverso, molto diverso, perché questa è una scelta oculata, di strategia e di opportunità, pienamente legittimata dalla costituzione. Dunque, nessuna astensione, nessuna scheda bianca. Io faccio le cose alla luce del sole: a votare non ci vado.
12)   Non voto perché votando aiuto il SI, aiuto i referendari. Qualcuno pensa, in buona fede, che occorra comunque testimoniare il proprio ‘NO’ ai quesiti referendari, e che occorra farlo attivamente, andando al voto. Ma così si fa solamente il loro gioco. Non è possibile passarci sopra: ogni persona che andrà a votare sarà di fatto, ripeto di fatto, una persona che appoggia i referendum. Ci sono situazioni in cui anche una azione teoricamente positiva (il voto NO) si trasforma nei fatti, nella realtà concreta, in un aiuto all’altra sponda (i sostenitori del SI). Non è possibile passarci sopra: non serve a nulla essere i “nudi e puri” della situazione, coloro che non intendono guardarsi attorno e decifrare la realtà. La realtà non si osserva con i paraocchi: chiunque voglia vedere sa che l’andare alle urne è un regalo a chi vuole fare a pezzi la legge 40. Può non piacere, ma oggi, a questo punto, è un dato di fatto.
13)   Non vado a votare perché, a giudicare rigorosamente la legge dal punto di vista morale, è l’unica scelta che ho. Il ‘SI’ infatti porterebbe all’abrogazione delle parti della legge 40 che intendo difendere, il ‘NO’ in qualche modo sigillerebbe la legge 40, in qualche modo la consacrerebbe. Ma io, pur difendendo la legge 40 (e dunque non potendo votare SI) so che comunque non è perfetta, che qualche modifica da realizzare (purtroppo impossibile da raggiungere nella realtà) ci sarebbe. Dunque non voto neppure NO, perché potrebbe sembrare un appoggio pieno e totale alla legge. Le modifiche di cui parlo sarebbero ovviamente di segno opposto a quelle chieste dal referendum e mirerebbero a rendere più chiare le norme di tutela della vita degli embrioni umani. Ad esempio la possibilità di adozione per gli embrioni abbandonati nei congelatori e destinati alla morte, o la possibilità di attenuare ancor di più le tecniche che comportano una perdita di embrioni umani. O ancora la previsione della necessità di una prova di stabilità effettiva della coppia (quale il matrimonio) per l’accesso alle tecniche di fecondazione artificiale. Cose che la legge non prevede, a conferma del fatto che essa è una normativa di equilibrio, accettata da noi e rifiutata invece dai referendari, che vogliono avere ragione in tutto e su tutto. E poi, chi sarebbero gli estremisti? Non siamo noi, sono loro. E io, ad aiutare degli estremisti a vincere la loro battaglia, non ci vado. Al seggio, stavolta, non mi vedranno davvero.
14)   Il non voto è anche un no al comitato promotore, è un no all’utilizzo di denaro pubblico per il tentativo di abrogare una legge di buon senso. E’ un no al rimborso elettorale che i promotori otterrebbero in caso di quorum superato. Se il quorum dovesse essere raggiunto, infatti, indipendentemente dal risultato fra SI e NO, al comitato promotore andrebbe un rimborso di un milione di euro. Anche per questo, se notate, non si preoccupano troppo del fatto che si voti SI o NO: l’importante per loro è che si vada. Tanto poi sanno che la maggioranza dei SI sarebbe scontata. Ecco perché quando qualche personaggio dichiara che si recherà alle urne il comitato promotore esulta. Non aspettano neanche che specifichi come voterà: a loro basta che ci si vada. Ogni voto in più il quorum si avvicina, e con esso anche il rimborso, anche quel milione di euro abbondante. Ebbene: nessun rimborso, nemmeno un euro di denaro pubblico (dunque anche mio) voglio che finisca nelle casse dei radicali, della sinistra estrema, degli altri promotori. Quel denaro pubblico spero rimanga nelle casse statali: verrà sicuramente utilizzato meglio (il che è tutto dire…). Anche per questo, io non vado a votare.
15)   Dicono che non vado a votare perché così ha “ordinato” il cardinale Ruini. Ah! Ah! Ah! Mi faccio una bella risata alla loro faccia, perché davvero non hanno che argomenti insulsi per attaccare e criticare la mia scelta. Secondo lorsignori, saremmo tutti una massa di imbecilli incapaci di ragionare con la propria testa e in spasmodica attesa di sapere dal cardinale vicario di Roma e presidente della Conferenza Episcopale Italiana cosa fare, come votare, magari anche con chi parlare, dove andare, cosa mangiare, perché studiare, quando leggere, e così via. Secondo lorsignori saremmo tutti poppanti attaccati alla sottana del cardinale, desiderosi di ricevere da lui indicazioni (ordini) su cosa fare nelle nostre vite. Sono ridicoli, lorsignori, e non se ne rendono conto. Il “non voto” non è una scelta irrazionale: è la scelta migliore da fare. Che poi, un giorno, Ruini l’abbia fatta propria indica solo una cosa: che (letteralmente) il cardinale non è uno scemo. Che Camillo Ruini ha visto la situazione e ha affermato ciò che probabilmente aveva capito da tempo e che sicuramente avevamo capito anche noi mesi prima che lui parlasse: che la strategia migliore è quella del ‘non voto’. Ancora a metà gennaio Ruini sosteneva che non bisognava escludere nessuna possibilità (cosa scontata, ovvia) e solo a marzo si schierava chiaramente e apertamente per il ‘non voto’. Negli ambienti interessati ai referendum (soprattutto al Forum delle Associazioni Familiari e nel Movimento per la vita) si discuteva di voto/non voto già prima della raccolta delle firme. A Loreto, in novembre, al Convegno dei Centri di Aiuto alla Vita, il cuore del mondo pro-life italiano dava per scontata la scelta finale del ‘non voto’. E qualcuno ne parlava già a luglio 2004, alle prime raccolte di firme, sostenendo che probabilmente la mossa giusta sarebbe stata quella di non andare a votare. Insomma: dicono che Ruini ha ‘ordinato’. Ma per piacere! Ben che gli vada, Ruini è arrivato per ultimo; mal che gli vada ha copiato. Altro che “dettare la linea”, altro che “imporre direttive ai cattolici”… E in ogni caso non si dimentichi che il cittadino Camillo Ruini, di professione cardinale, ha diritto di esprimere la sua opinione. E, nella fattispecie, pensiamo abbia ragione: non votare è la scelta migliore. Talmente chiaro che infatti i referendari hanno una paura matta, e cercano di darci a intendere che non votare significa sottomettersi alle direttive (oscurantiste e medioevali, s’intende) del Vaticano. Sbagliano: non votare significa solo metterli nei guai. E la cosa, davvero, non ci dispiace affatto.
Questi sono i tanti motivi per i quali non andremo a votare. Alla fine faremo i conti. Alla fine vedremo quale sarà il risultato di questo appassionante confronto.
 
Redazione Korazym
Versione app: 3.26.4 (097816f)