Che fine ha fatto il fidanzamento? Il fidanzamento aveva la prerogativa di porsi come una fase basilare, prima della quale era necessario aver effettuato tutta una serie di valutazioni fondamentali. Al fidanzamento si arrivava con delle consapevolezze, con delle certezze: si avevano le idee chiare, si sapeva che cosa si intendeva costruire con chi si voleva condividere il resto della vita...
del 13 febbraio 2006
Oggi l'ufficializzazione dell'amore sembra essere delegata alla festa di San Valentino: andare insieme a cena, magari a lume di candela, rispondendo alle proposte che il mercato dei festeggiamenti offre, diventa l'occasione per certificare il proprio status di fidanzati. E dire che fino a qualche tempo fa quello status si otteneva solo attraverso un iter ben preciso. Una sorta di 'rito di passaggio', vale a dire una di quelle esperienze che nella vita di un essere umano rappresentano dei punti fermi, anelli di congiunzione tra uno status ed un altro, momenti senza ritorno che sono basilari nella formazione culturale, sociale e psicologica di ognuno di noi.
Oggi del rito di passaggio si è perso il valore più autentico: è sopravvissuta solo l'accezione fidanzato-fidanzata, anche se spesso il termine è usato in modo improprio. Tralasciando i casi un po' patetici di persone che, convivendo o avendo relazioni ad un'età che non è proprio quella dell'adolescenza, si definiscono 'fidanzati', oggi si arriva direttamente al matrimonio senza quel 'passaggio' simbolico costituito dalla cerimonia del fidanzamento. Ma che i tempi cambino è anche dimostrato dal fatto che oggi alcuni matrimoni durano meno tempo di quanto duravano i fidanzamenti dei nostri nonni e genitori. Quel momento aveva, anche sul piano sociale, delle ricadute fondamentali: era ritualizzato attraverso una cerimonia, con scambio di testimonianze importanti (emblematico l'anello alla futura sposa; ma vi sono tradizioni diverse nelle singole regioni), inoltre era il momento dedicato alle presentazioni, una sorta di prova generale del matrimonio, ma soprattutto conferma che «si faceva sul serio».
Oggi tutto questo è ormai espressione di una tradizione completamente abbandonata, forse effetto diretto di quell'abitudine a 'bruciare le tappe' che caratterizza anche i rapporti umani. Su un piano eminentemente antropologico, il fidanzamento aveva la prerogativa di porsi come una fase basilare, prima della quale era necessario aver effettuato tutta una serie di valutazioni fondamentali. Al fidanzamento si arrivava con delle consapevolezze, con delle certezze: si avevano le idee chiare, si sapeva che cosa si intendeva costruire con chi si voleva condividere il resto della vita. Non sappiamo se la fine del rito del fidanzamento possa essere una delle cause del fallimento di tanti matrimoni, ma di certo un ruolo in questo status senza dubbio lo occupa. E poi, il fidanzamento imponeva una sorta di esame di coscienza, stabiliva delle priorità, poneva in luce, nei singoli, l'impegno e le responsabilità del matrimonio. Mancando questo 'rito di passaggio' i rapporti sono più fragili e accorgersi dopo qualche tempo di 'non essere fatti per il matrimonio', può essere una causa diretta di questa mancanza, di cui oggi abbiamo, purtroppo, molti esempi.
Paradossalmente, come già sottolineato, molti continuano a chiamarsi fidanzati anche oltre i quarant'anni. Forse è un modo per sentirsi meno vecchi, eterni adolescenti, affermano gli psicoanalisti. E se invece fosse segno che manca qualcosa?
Massimo Centini
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