San Valentino. Le fantasie d'amore - ispirate da una fotografia - firmate da sei scrittori: Cinzia Tani, Alessandro D'Avenia, Letizia Muratori, Paola Capriolo, Barbara Alberti, Stenio Solinas. "Si erano incontrati e subito perduti. Lo sciopero l'aveva trattenuta nell'aeroporto dodici ore e il giornalista aveva intervistato anche lei per un servizio..."
del 14 febbraio 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 
L'ENTITÀ DEL DANNO di Letizia MuratoriRomana, giornalista, si è fatta conoscere nel 2007 con La vita in comune (Einaudi), il suo ultimo titolo è Sole senza nessuno (Adelphi). Sta lavorando a un nuovo romanzo.          La carta da parati del piano di sotto, da un po' non si parlava d'altro. A detta della mia ragazza, un'impercettibile macchia d'umido lambiva il becco di un uccello appollaiato su un ramo fiorito: ammesso che fosse colpa nostra, non c'era ragione di farne un dramma. E la padrona della carta da parati o era in cattiva fede o era pazza. A sentire l'idraulico poi, non c'entrava niente lo scarico del nostro bagno. La macchia impercettibile pare fosse apparsa in corrispondenza della nostra camera, anzi, della parte del letto in cui dormivo io. A questo proposito la padrona della carta da parati aveva perfino ironizzato: se non c'erano tubi, da dove veniva quella perdita? Mi facevo la pipì addosso?           Non era da molto che questa strana figura abitava al piano di sotto, ma visto che la incontravo tutte le mattine e quasi tutte le sere in ascensore, tra noi s'era creata l'intimità forzata di chi ha gli stessi orari. All'inizio era imbarazzante, via via solo noioso, e le frasi di cortesia avevano lasciato posto a un bel silenzio. La spiavo nello specchio: più che bella, era ben fatta, quasi un manichino. Purtroppo, da che era apparsa la macchia sul soffitto, lei aveva preso a rompere il bel silenzio con frasi del tipo: Avanza, oggi ha raggiunto un altro ramo. Una sera, esasperato dall'ennesimo bollettino, andai a valutare di persona l'entità del danno. - La vedi? - mi chiese. Non feci in tempo a risponderle che mi ritrovai schiacciato contro il muro, incollato alla carta da parati. Non potendo fare altro la baciai, sorprendendo me stesso, ma non il mio corpo che già sapeva tutto.
 
LA DONNA DAI CAPELLI ROSSI di Cinzia TaniRomana, scrittrice e autrice di numerosi programmi radio e televisivi. Tra i suoi libri: Amori crudeli, Io sono un’assassina (Mondadori) e Stringimi (Piemme).          Si erano incontrati e subito perduti. Lo sciopero l'aveva trattenuta nell'aeroporto dodici ore e il giornalista aveva intervistato anche lei per un servizio sui disagi dei viaggiatori. Poi non erano riusciti più a separarsi fino a quando l'altoparlante aveva annunciato il volo della ragazza dai capelli rossi. Andava a lavorare all'estero, non l'avrebbe visto più. Al momento dei saluti impulsivamente lo aveva baciato e una fotografa aveva fermato quell'istante. Nessuno dei due ha dimenticato quel bacio. Lei è tornata lasciandosi alle spalle un matrimonio finito. Lui è caporedattore, ha avuto molte storie senza ritrovare l'intensità di quella giornata all'aeroporto.            Entrambi si sono riconosciuti nell'immagine pubblicata dal settimanale per San Valentino. Lei ha rintracciato la fotografa nell'assurda speranza che possa aiutarla a ritrovare l'uomo di cui non ricorda il cognome e l'ha pregata di spedirle una copia della fotografia. Poco dopo è stato lui a telefonare e ha ottenuto l'indirizzo della ragazza dai capelli rossi.           Lei è stata avvertita e ora lo aspetta. Lo vede arrivare dalla finestra e si ritrae quando lui alza lo sguardo. Va all'ingresso e rimane immobile. Lui sfiora con la mano il campanello. Forse è uscita... forse non è sola... Meglio andarsene, riflettere, rimandare. Lei sente i passi che si allontanano e lascia la porta che per qualche istante ha assorbito i sospiri di entrambi, i colpi violenti del loro cuore. Poi ricorda lo slancio che dieci anni fa l'ha spinta nelle braccia di quell'uomo appena conosciuto. Spalanca la porta e lo chiama. Lui si volta. Il suo sguardo non è cambiato. Tutto è come allora, possono ricominciare da quel primo bacio.
 
L'ANIMA SULLE LABBRA di Alessandro D'AveniaTrentaquattro anni, dottore di ricerca in Lettere classiche, insegna Lettere al liceo ed è sceneggiatore. A fine 2011 è uscito per Mondadori il suo secondo romanzo, Cose che nessuno sa.«Che progetti hai?» chiese lui. «Sopravvivere» rispose lei. «Beata te». La crisi tarlava tutto. I dialoghi tradivano un certo compiaciuto e finalmente lecito vittimismo, ma anche il cappuccino aveva la schiuma meno soffice, il dentifricio pizzicava troppo come negli anni '80 e la luce del sole era ridotta ad uno strato lattiginoso sopra muri e tetti screpolati da altri soli un tempo ben più consapevoli. Lui la baciò. I baci erano rimasti gli stessi. Neppure la crisi era capace di cambiarli. «Perché tra me e te metti sempre i tuoi baci?» chiese lei. «Che vuoi dire?» rispose lui. «Ci scontriamo sempre sulle nostre labbra». «Scontriamo?». «L'anima a me si concentra sulle labbra quando ti bacio e da lì vorrebbe saltare dentro la tua. Ma non la raggiungo mai». «Ci vai vicina?». «Sembra ogni volta che questa cosa sia un passo da noi, ma poi...». Lo baciò di nuovo. Di nuovo alla ricerca. Di nuovo. Adorare: dal lat. ad + os-oris (bocca): portare la bocca a. Tra i popoli antichi chi incontrava qualcuno ne afferrava un lembo della veste con la mano sinistra e baciava la propria destra, indirizzando poi quel bacio all'interessato. Come facciamo noi alle partenze dei treni dietro vetri impossibili da perforare. Per questo lei gli baciava sempre gli occhi. Sugli occhi soggiornava l'anima di lui. Sapeva che era l'unico modo di adorargli l'anima: baciarla. E li baciò ancora, quando lui li chiuse per l'ultima volta. E il bacio rimase sospeso, momentaneamente sospeso. Come il loroamore.
 
UNA POLTRONA PER DUE di Paola CaprioloÈ nata a Milano nel 1962. Collabora alle pagine culturali del Corriere della Sera e svolge attività di traduttrice, soprattutto dal tedesco. Il 15 febbraio esce il suo nuovo romanzo, Caino (Bompiani).          Non so se si chiami dormeuse, agrippina, o con quale altro di quei nomi fantasiosamente suggestivi ben noti alle nonne e agli esperti d'antiquariato; non so nemmeno se definirla una poltrona a sdraio oppure un divano molto intimo. Sia come sia, per me è semplicemente la poltrona-bacio: se vi sembra una definizione esagerata, mettetela voi stessi alla prova. Sulla poltrona-bacio, come è ovvio, bisogna sedersi in due: fidanzati, innamorati, o anche soltanto due persone blandamente attratte l'una dall'altra, come eravamo noi quella sera, prima di soggiacere al suo sinuoso incantesimo di velluto. Io, figuratevi, non mi ero neppure tolta il cappello, e lui si sarebbe forse seduto altrove se la poltrona-bacio, con la sua perentoria presenza, non l'avesse praticamente costretto a prendere posto accanto a me: doveva essersi reso conto, come me ne rendevo conto io, che quello era l'unico modo per non infrangere la voluttuosa simmetria di braccioli e cuscini.          Comunque, andò così. Quasi senza volerlo ci ritrovammo lì sopra fianco a fianco, vicinissimi, data la brevità del sedile, e ancora la simmetria di quelle linee ci sospingeva implacabilmente l'uno verso l'altro. I busti si inclinarono a poco a poco verso il centro della poltrona, i piedi si sollevarono dal pavimento sino a sfiorarlo soltanto con la punta delle scarpe. Sì, fu proprio così quel nostro primo bacio: una questione di stile, una soluzione imposta dal design. Agrippina? Messalina? Poppea? Ditemelo voi, per favore, come si chiama quel diavolo di una poltrona.
 
PICCOLO VOCABOLARIOdi Barbara Alberti È nata in Umbria 'tra angeli e diavoli'. Da molti anni tiene una rubrica di posta del cuore sulle testate Rcs. Ha scritto sceneggiature, romanzi e saggi. L'ultimo è Riprendetevi la faccia (Mondadori).A. A me piacciono solo i baci. Il resto si fa perché si usa. (Da una lettera). B. Baciarsi con la lingua? Mai! - Quando te lo spiegavano la prima volta pareva orribile. Poi, ai fatti… C. Ci baciavamo dopo la scuola, nei parchi. D'un tratto i carabinieri a cavallo, cacciatori di piccoli amanti. Ci sovrastavano, lassù, fieri d'aver mortificato due studentelli.D. Dove vanno li basci dopo morti? - Si chiede un sonetto in romanesco di Marco Fabio Apolloni. F. Fiabe: nelle fiabe il bacio risveglia dalla morte. G. Ginnasio: per via dei carabinieri, andavamo a baciarci al cinema. Il film ce lo facevamo raccontare dopo per poterlo ridire a casa, se interrogati. H. Ha paura del bacio la bella del circo, nel film muto The Unknown, perciò ama l'uomo senza braccia. Ma lui in realtà, nascoste, le ha. E. E se le fa tagliare per sposarla.Quando torna lei ha vinto la fobia, e si sta baciando col domatore. I. Il bacio di Notorius, sterminato, fra Ingrid Bergman e Cary Grant, con la folla radunata attorno ai due amanti, anticipando - con grazia - lo svuotante esibizionismo odierno. L. Le puttane non baciano. L'intimità vera è quella. N. Non è pratica universale. La scrittrice Geneviève Makaping, del Camerun: Io ho imparato qui a baciare. Da noi, mai. Una cosa del genere fa schifo. Q. Quei disgraziati che vanno a baciarsi in tv gridando 'ti amo!' - e si lasciano subito dopo. Nell'amore c'è una forza che detta si disperde. T. Tutto pur di eliminare il partner. Il bacio in chat. Patrimoni di scienza e ingegno per evitare il prossimo. Il brivido, senza l'ingombro della presenza. Endre Ady: non bacio la femmina, bacio me stesso.
 
QUASI COME DUMAS di Stenio SolinasGiornalista e scrittore, il suo ultimo libro è Da Parigi a Gerusalemme. Sulle tracce di Chateaubriand (Vallecchi).          Io allora facevo la quinta ginnasio, andavo a scuola dai preti, solo compagni maschi, foruncolosi, spesso mal lavati, cosa volete che ne sapessi delle donne… Avevo a fianco questa coetanea esotica, «cazzo, è anche straniera, è di Parigi» mi ripetevo di continuo, e dopo però non mi veniva nulla. Poi, mentre camminavamo per raggiungere la barca, lei mi ricordò il mio nome straniero, «Raoul n'est pas un prénom italien, pas vrais?», e io vidi in Alessandro Dumas il mio salvatore. Il Visconte di Bragelonne lo avevo letto soltanto l'anno prima, e poi riletto non so quante volte. Chiudeva la trilogia dei moschettieri, il suo protagonista si chiamava come me, cosa volevo di più? Era un romanzo straziante, era un romanzo affascinante e adesso, la mano nella mano di Sophie, c'è Raoul di Bragelonne che racconta la sua triste storia di passione e di morte, il suo amore per mademoiselle La-vallière, che però lo tradisce con l'odiato, odioso Lugi XIV... Intorno c'è questo cielo greco e questo silenzio e intanto sono arrivati alla barca e ora Raoul di Bragelonne è un lupo di mare che ha attraversato il Mediterraneo... «Ta Lavallière é tait une pute», era una puttana, gli dice Sophie mentre lo bacia, ma a Raoul di Bragelonne della Lavallière non importa più niente e pensa che magari ha anche ragione. Spera solo che la sua lingua non sfiguri rispetto a quella più esperta di lei… E poi di colpo un sussurro, «Il y a quelqu'un», e Sophie è già nell'altro lato della dinette e dal pontile si sente una voce allegra, quella del padre: «Commandant, on demande le permis de monter à bord». E bastano pochi secondi perché da sottocoperta spunti Raoul di Bragelonne, la testa un po' arruffata, rosso in volto. «Permis accordé» dice, un po' troppo forte, e non si è mai sentito così infelice.
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