A Saul che cerca le asine smarrite di suo padre, il profeta Samuele invece della via delle asine indica la sua propria via, quella che il Signore ha pensato e preparato per lui: essere re, il primo re d'Israele! Davvero un “salto mortale” che rappresenta un po' la verità di ogni storia di vocazione.
del 21 settembre 2011
 
          Il piano che Dio ha su ciascuno di noi supera di gran lunga quello che noi abbiamo pensato e desiderato come ideale, che è sempre poca cosa di fronte a quello che il Signore ha in mente per noi: un progetto infinitamente eccedente le nostre mire (e le nostre asine). Il problema è che noi ci accontentiamo, appunto, delle “asine”.
          Il nostro percorso biblico vocazionale procede in modo regolare, di generazione in generazione. Perché così è la chiamata, non un fatto incerto ed eventuale, ma espressione dello stile di Dio, del nostro Dio che prende sempre l’iniziativa nella vita dell’uomo. La Bibbia è storia di chiamate e di chiamati, ma soprattutto è la storia di quello straordinario Chiamante che è Dio. Che ha chiamato Adamo e perfino Caino, e poi Noè e Abramo, Eli e Samuele… Spesso per vie traverse e servendosi dell’uomo per chiamare un altro uomo, come nel caso di Saul. 
Le asine perdute
          Saul è un giovane della tribù di Beniamino, è figlio di un benestante e non sembra avere grandi interessi al di fuori della preoccupazione di ritrovare le asine del padre che si sono smarrite; per questo cerca “un uomo di Dio” che gli indichi la via delle asine. E così incontra Samuele che invece della via delle asine indica a Saul la sua via, quella che il Signore ha pensato e preparato per lui: essere re, il primo re d’Israele!
Non vi potrebbe essere contrasto più evidente: uno cerca le sue asine e si ritrova re d’Israele, per volontà di Dio.         
          In realtà, quanto è vera questa storia, e quanta verità racconta della nostra vita. Noi cerchiamo, siamo esseri sempre inquieti, non ci basta mai nulla, abbiamo sempre bisogno di qualcosa di più, cerchiamo felicità, benessere e ci sembra regolarmente di non trovare quanto possa appagare per sempre il nostro cuore. Ma è ovvio; solo Dio può far questo. E lo fa in concreto con le sue proposte, con ciò che ci dona e ci chiede, lo fa svelandoci il piano che ha su ciascuno di noi, che supera di gran lunga quello che noi abbiamo pensato e desiderato come ideale, ciò per cui stavamo sprecando le nostre energie o in cui ci illudevamo di trovare felicità, che è sempre così poca cosa di fronte a quello che il Signore ha in mente per noi. Quando si parla di vocazione si parla sempre della rinuncia in essa implicita, delle sue esigenze faticose, e si corre così il rischio di dare una visione gravemente impoverita e per nulla attraente di quello che è un progetto di Dio, infinitamente eccedente le nostre mire (e le nostre asine).
Le disobbedienze
          Non è facile restare in quota con Dio, alle sue altezze, e resistere alla tentazione di scendere ogni tanto a valle, per riprenderci in mano la vita. È dura credere che sei chiamato a fare l’impossibile; lo puoi fare una volta, ma continuare a vivere costantemente oltre i tuoi limiti, questo è più difficile. Forte, allora, è la tentazione di restituire alla propria vita una dimensione normale, meno avventurosa, più semplicemente umana, senza le vertigini della proposta divina. È quello che a un certo punto Saul pensa bene di fare, senza più dare ascolto obbediente all’uomo di Dio, quel Samuele che gli aveva svelato il progetto divino. All’inizio Saul si era fidato, poi lentamente prevale in lui il calcolo umano, il timore per la sua pellaccia, la preoccupazione di essere gradito al popolo, la sfiducia verso Samuele e indirettamente verso Dio, la pretesa di gestire in proprio la situazione… È così che muoiono tanti cammini vocazionali. Per la solita contraddizione umana: da un lato l’uomo cerca la propria realizzazione, dall’altro non si fida di chi gliela regala al massimo livello, o si fida per un momento, attratto per un attimo dalla bellezza sorprendente del sogno divino su di lui, come fosse solo un sogno, troppo bello per essere vero; ma poi, con mesto realismo, preferisce tornare a pascolare le sue asine (finché non perde o si fa fregare anche quelle).
La caduta
          L’epilogo di Saul è davvero triste. Ci fa capire cosa succede quando l’uomo non segue il cammino vocazionale tracciato dall’Eterno. Allora non c’è solo un’infedeltà verso Dio o una trasgressione con conseguenze anche per altri, ma avviene come una progressiva perdita di dignità per il chiamato stesso, che si allontana sempre più da se stesso e dagli altri. È il declino del re Saul, sempre più preso dai suoi sentimenti incontrollati, particolarmente quello dell’invidia, persino omicida, verso Davide. Ma è naturale: se uno non segue il percorso tracciato da Dio non si realizza nella sua identità e dunque non giunge nemmeno a cogliere la propria positività. È ovvio, a questo punto, che gli darà fastidio il successo altrui, perché vi leggerà, con rimpianto, quello che lui stesso avrebbe potuto essere e che invece ha perduto: è la logica, in fondo, dell’invidia di Satana verso il genere umano. Chi tradisce la propria chiamata non potrà essere felice, tanto meno potrà godere della felicità altrui.
“Dio ti ha rigettato come re…, ma senza pentirsi”
          Samuele lo ha unto come re, e ora di nuovo Samuele gli comunica il rifiuto da parte di quello stesso Dio che l’ha voluto re. È terribile pensare a questa possibilità nella vita del chiamato. È un po’ l’aspetto drammatico della nostra vita e delle nostre scelte e, al tempo stesso, questo ci dice fino a che punto Dio rispetti queste utime e, in sostanza, la nostra libertà. Senza, comunque, giungere mai a pentirsi delle sue scelte, perché – dice Samuele. “egli non è uomo per pentirsi” (1 Sam 15,29). Mistero e grandezza della chiamata divina, come dono e proposta che resta per sempre, di cui Dio, il fedele, non si pentirà mai! Come dire che l’uomo, ancorché infedele, resta chiamato per sempre, poiché nulla potrà mai cancellare il sogno di Dio e tacere la sua voce che chiama, che continua a chiamare, anche non dovesse ottenere alcuna risposta.
Chissà, forse quella voce che chiama e attende risposta dice anche il nostro nome… 
Amedeo Cencini
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