Ho vissuto per quarant'anni nell'ambito dell'educazione e della scuola e mi sono occupato a fondo della libertà dell'educazione in Italia. Intervengo per dire qualcosa di serio e di costruttivo che dia un po' di dignità e ragionevolezza, cioè andando oltre quello che vediamo e sentiamo ogni giorno.
del 29 ottobre 2008
Ho vissuto per quarant’anni nell’ambito dell’educazione e della scuola e mi sono occupato a fondo della libertà dell’educazione in Italia.
Intervengo per dire qualcosa di serio e di costruttivo che dia un po’ di dignità e ragionevolezza, cioè andando oltre quello che vediamo e sentiamo ogni giorno.
Abbiamo proprio visto di tutto: bambini che sfilano in corteo sotto striscioni che fanno fatica a leggere, insegnanti in lutto, politici che sproloquiano nelle scuole dell’infanzia, i reduci del ’68 che si infiltrano nei cortei come per prendere una boccata di ossigeno che allontani di qualche tempo l’ineluttabile “rigor mortis”.
Così il “virtuale” si è sostituito al reale: ed in un’orgia di isterismo e disinformazione abbiamo dimenticato la realtà quotidiana.
La realtà quotidiana è che nella scuola italiana si fa fatica a studiare e ad imparare perché l’insegnamento si è dequalificato. Abbiamo dimenticato che nella scuola italiana si può morire di spinello durante le ore di scuola; che durante gli intervalli si filmano scene di sesso che vengono poi inviate ormai a vari siti; che in certe scuole, non poche, durante l’intervallo gli insegnanti stanno tappati nell’aula professori per evitare violenze non solo verbali; che presidi e professori sono stati malmenati da genitori e studenti per protesta a certe valutazioni scolastiche; che più di una volta i carabinieri sono entrati in varie scuole ad arrestare studenti spacciatori di droga. Questa non è tutta la realtà, ovviamente, ma è un pezzo della realtà scolastica che dovrebbe interpellare tutti, soprattutto gli adulti, seriamente. Alcune delle cose predisposte dal Ministro – ovviamente mi evito un giudizio analitico che non mi compete – mi sembrano dettate dalla più grande virtù del popolo italiano: il buon senso. Comunque bisogna proprio riconoscere che in Italia sono impossibili due cose parlare male di Garibaldi e tentare di riformare la scuola. La scuola dello Stato Italiano fa corpo totalmente con l’idea della Nazione e dello Stato ed ha costituito negli ultimo 150 anni del nostro paese una sorta di liturgia di questo universale culto dello Stato.
La verità è che la scuola italiana è sempre stata al servizio non della Cultura, ma della ideologia dominante. Così abbiamo avuto la scuola unitaria e liberale e poi la scuola fascista e poi la scuola azionista e socialista. I cattolici sono stati così improvvidi che negli anni ’50 e ’60 hanno tirato fuori la strampalata teoria della scuola “neutra” che ha favorito la sua occupazione da parte delle più diverse ideologie rivoluzionarie e negative. Abbiamo avuto la scuola marxista e neo-marxista e radicaleggiante: e adesso abbiamo la scuola tecno-scientista.
Mi sembra venuto il momento di andare, se possiamo e vogliamo, oltre questo schema ideologico e ricordarci che la scuola non deve servire nessuna ideologia ma la cultura: cioè l’istanza di senso ultimo, di verità, di bellezza e di giustizia che caratterizzano la coscienza dell’uomo nel suo porsi immediato.
Allora forse ci si renderà conto che la scuola deve essere un ambito di convivenza libera, fra culture diverse (perché nel nostro Paese ci sono ormai culture diverse) e la convivenza libera e impegnata di queste culture deve sostenere un insegnamento, a tutti i livelli, appassionatamente critico: cioè formatore di personalità critiche.
Potrà apparire allora assolutamente legittimo e necessario il formarsi di un sistema scolastico che, gestito dallo Stato, sia libero e pluralistico nelle sue articolazioni educative, culturali e didattiche. Senza pluralismo educativo e scolastico muore la democrazia: perché la democrazia è anzitutto un costume, un dialogo profondo, libero e rispettoso fra culture diverse, che proprio nella consapevolezza critica della propria diversità contribuiscono al bene comune del Paese.
Marco Minghetti, ministro della Pubblica Istruzione del neonato Regno di Italia concludeva il dibattito parlamentare sullo stato dell’istruzione del Paese nel 1864 con queste parole: “In linea di principio sarebbe meglio un sistema di libertà scolastica, ma se ne approfitterebbero i clericali”.
Dobbiamo amaramente riconoscere che la questione scolastica, in Italia, è ferma a queste parole.
Nel dibattito (si fa per dire) che si è acceso in questi mesi tre personalità (e non della “mia parrocchia”) mi hanno colpito per l’intelligenza, la libertà e l’equilibrio con cui sono intervenute: Luigi Berlinguer, Giampaolo Pansa ed Aldo Forbice. Oltre ovviamente il Presidente della Repubblica Giorgio Napoliotano, cui va la mia gratitudine di cittadino italiano e di vescovo della Chiesa Cattolica.
 
mons. Luigi Negri
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