Se almeno lo potessi toccare (Mc 6, 53-56)SERIE: Dio non ci abbandona mai

53 Compiuta la traversata, approdarono e presero terra a Genèsaret. 54 Appena scesi dalla barca, la gente lo riconobbe, 55 e accorrendo da tutta quella regione cominciarono a portargli sui lettucci quelli che stavano male, dovunque udivano che si trovasse. 56 E dovunque giungeva, in villaggi o città o campagne, ponevano i malati nelle piazze e lo pregavano di potergli toccare almeno la frangia del mantello; e quanti lo toccavano guarivano.

Se almeno lo potessi toccare (Mc 6, 53-56)SERIE: Dio non ci abbandona mai

da L'autore

del 15 marzo 2007

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C’è un luogo delicatissimo della nostra esistenza che finisce per diventare determinante tutta la nostra vita: la nostra corporeità. La divisione in corpo e anima di tipo platonico, con un certo disprezzo per il corpo, come prigione dell’anima non fa più parte della nostra mentalità anche se ogni tanto riaffiorano comode semplificazioni, soprattutto quando si invecchia, quando il nostro corpo perde smalto, si appesantisce in malattie insopportabili, la prestanza fisica viene meno e il declino è irreversibile.

Sappiamo invece che la corporeità e tutto quello che è legato ad essa, fa parte della globalità della persona e, quindi, va recuperata dal suo interno come un 'segno'; soprattutto deve diventare lo spazio personalissimo e originale per vivere veri rapporti con tutti e veri rapporti di amore.

In questo contesto dobbiamo collocare la nostra naturale necessità di vedere, toccare, sentire, gustare, far passare per la porta dei nostri sensi anche l’esperienza spirituale, anche il mondo misterioso della fede.

Quando la gente va a qualche santuario vuole toccare la statua, vuol vedere, vuol entrare in contatto concreto con qualcosa. E non ci dobbiamo meravigliare, perché questo accade anche quando i giovani vanno a qualche concerto rock; avere una maglietta, un autografo, una bacchetta del batterista, un braccialetto del cantante, una stretta di mano, un bacio è il massimo per sentirsi dentro veramente in una esperienza.

Così era la gente che rincorreva Gesù per le strade della Palestina. Tutti volevano sentirlo, vederlo, ascoltarlo, ma soprattutto toccarlo. Aveva fatto di tutto quella donna che toccò il lembo della sua tunica e restò guarita, così vogliono fare tutti quelli che si sentono imprigionati dalla malattia. Il toccare però è vero se si porta dentro una fede profonda. Occorre sempre unire l’anima al corpo per unire la speranza al presente, il desiderio alla realtà. Infatti Gesù offre la sua salvezza se chi lo accosta lo fa con fede, sa andare oltre il fatto fisico e lo carica di adesione spirituale alla sua persona, lo fa diventare un segno di una fede profonda, di una consapevolezza di mettere al centro della sua vita Gesù. La forza che promanava da Gesù era la conferma della certezza che Dio è incontrabile nella vita quotidiana perché Lui non ci abbandona mai.

mons. Domenico Sigalini

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