Se la chiesa è in strada

La strada ha una sua spiritualità. E' un patrimonio di volti, storie, sguardi. Il confronto con la strada non è per noi una scelta possibile tra le altre. E' un percorso obbligato. La strada deve tornare a essere il riferimento simbolico e operativo di ogni esperienza cristiana. Non è il solo luogo dove vivere un'esperienza cristiana.

Se la chiesa è in strada

da Quaderni Cannibali

del 25 giugno 2009

La strada ha una sua spiritualità. E’ un patrimonio di volti, storie, sguardi. Il confronto con la strada non è per noi una scelta possibile tra le altre. E’ un percorso obbligato. La strada deve tornare a essere il riferimento simbolico e operativo di ogni esperienza cristiana. Non è il solo luogo dove vivere un’esperienza cristiana. Ma è il luogo in cui si esprime tanto la povertà delle persone (non solo materiale, anche di sensi, significati e valori) quanto la liberazione. La strada esige fedeltà e lealtà. Ci chiede di leggere i cambiamenti e le trasformazioni. Ci chiede, ieri come oggi, di esserci.

Di impastarci con la storia, uscire dai nostri recinti, nicchie troppo protette. Ci educa all’autenticità, ad accogliere l’altro e riconoscerlo.

In questi giorni, a Torino, la strada è il luogo della festa. Ma ogni giorno è anche il luogo della povertà, dei bisogni, delle domande in costante trasformazione. Stare indica abitare, e in questo starci c’è un invito a ritrovare le ragioni del nostro impegno di Chiesa al fianco di chi è più fragile, debole e meno garantito.

Poi c’è un altro elemento. Sulla strada si impara. Non s’insegna, o s’insegna poco. Nel 1972, l’arcivescovo padre Michele Pellegrino, ordinandomi sacerdote, mi affidò il popolo della strada. Mi affidò la parrocchia della strada. E per me è stato un grande privilegio e un dono. Padre Pellegrino non mi ha mandato a insegnare a chi è sulla strada, ma a imparare che la Chiesa deve saper riconoscere i volti delle persone. La strada è il luogo dove ogni sapere cozza contro i suoi limiti. E’ un luogo di educazione permanente. Richiede conoscenza. Ma diffidate di chi crede di aver capito tutto. La strada ci impone un continuo ascoltare e interrogarci. Oggi vedo un grande peccato: la mancanza di profondità. Troppe parole non vere, senza verifica e senza controllo. L’informazione è povera, e invece c’è bisogno di una volontà di sapere che sappia scendere in profondità. Perché se si scende in profondità si sale in altezza. Abbiamo bisogno di più conoscenza e più verità. E di più denuncia. Mi farebbe piacere se i vescovi avessero un po’ di coraggio in più. Lo diceva il cardinale

Ballestrero, che da presidente della Cei ebbe il coraggio di tacitare il Papa a Loreto: «Siamo chiamati non solo a un’accoglienza pura e semplice, ma anche a una ricerca intraprendente: andare dove ci sono quelli che da noi non vengono».

La strada ci chiama tutti per nome. I princìpi non possono essere un alibi per tentennare. Guai se in nome di un principio non si accolgono le persone. Purtroppo invece, oggi, i pregiudizi resistono.

Non vergogniamoci di camminare con Dio: con gli immigrati, le ragazze sfruttate, i carcerati, i disabili. La strada ci ricorda che gli altri siamo noi. E l’incontro con gli altri non è fatalità né caso.

E’ un dono.

 

intervento al 33° Convegno nazionale delle Caritas diocesane

 

Luigi Ciotti

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