Si può parlare di castità a una coppia di ragazzi che convivono?

Come la mettiamo quando si parla di sessualità in una coppia convivente? Qual è la posizione della Chiesa? Unico suggerimento possibile: dire la verità ma con carità, sensibilità e soprattutto… rispetto.

Come la mettiamo quando si parla di sessualità in una coppia convivente? Qual è la posizione della Chiesa? Unico suggerimento possibile: dire la verità ma con carità, sensibilità e soprattutto… rispetto.


Fino ad ora ci siamo concentrati sulla castità nel fidanzamento (un’attesa ricca di senso) e sulla castità nel matrimonio (il dono del corpo coincide con il dono che si attua nella vita). Oggi vorrei iniziare invece a parlare di castità e convivenza, uno stato di vita, questo, sempre più diffuso. Come sappiamo, può essere una fase che precede il matrimonio o una scelta che lo sostituisceSi può parlare di castità a una coppia di ragazzi che vivono insieme senza essere sposati? Come? Cosa significa parlare di purezza a due ragazzi che si vogliono bene, che hanno una relazione stabile, che vivono l’intimità ma non si sono donati l’uno all’altra per tutta la vita? Torneremo a più riprese sul tema, perché è un argomento vasto, ma intanto iniziamo a ragionarci.

“Se desideri un amore che punti all’eternità non stai sognando troppo in grande: sei fatto proprio per questo. Hai un corpo per amare, non per sfruttare o lasciarti sfruttare”. Annunciare la castità significa annunciare questo, che sia a persone single, fidanzate, sposate, conviventi, consacrate. Siamo tutti destinatari dell’unico messaggio di salvezza. E tutti, potenzialmente, possiamo accoglierlo. Qualche giorno fa, leggevo un libro di don Fabio RosiniL’arte di guarire (Edizioni san Paolo, 2020) che mi ha dato occasione di riflettere su una cosa: evangelizzare non significa “cambiare” le persone o “insegnare loro cosa devono fare”, dall’alto della nostra superiorità, significa amarle e valorizzare il bello che c’è in loro. Significa aiutarle a vedere e a tirar fuori ciò che il Creatore ha piantato nel cuore. Da cristiana penso si trovi scritto nel DNA spirituale dell’essere umano che siamo fatti per vivere un’unione libera, esclusiva, totale, rispettosa, feconda; che sia questo a darci pace, in fondo, il nostro cuore lo sa, però è una verità che ha bisogno di emergere. Dobbiamo prenderne consapevolezza. 

Entrando ora nello specifico della convivenza, credo sia importante chiarire (e lo dico soprattutto ai sacerdoti) che l’approccio non può essere quello di “etichettare” e “condannare”. È buona norma ricordare che chi vive in una situazione di peccato, per liberarsene, ha bisogno di un annuncio che scaldi il cuore, non certo di anatemi, frasi fatte, divieti sparati senza nemmeno essere spiegati. Quando ero in ricerca di fede ed ero scettica su ciò che insegnava la Chiesa mi hanno sempre allontanato “le imposizioni” date come pacchetti preconfezionati. Una volta, un sacerdote, quando gli ho chiesto: “Perché dovrei aspettare il matrimonio?”, mi ha risposto che “dovevo aspettare il matrimonio, sennò sarei finita in purgatorio”. A quell’epoca, mi fece quasi sorridere. Vedere la bellezza di una scelta, ci porta a cercare qualcosa di più nella nostra vita. Il moralismo ci fa solo scappare.

Al tempo stesso, penso che non si possa evitare l’argomento sessualità (magari nei corsi di preparazione al matrimonio cristiano) o offuscare la dottrina sulla sessualità per “non offendere” chi non vive secondo l’insegnamento della Chiesa. Proporre un amore radicale è un servizio, non un torto che si fa ai giovani. Insomma, sono due gli estremi da evitare: quello di salire in cattedra, di imporre un modo di vivere o di non saper vedere nulla di buono nella storia di due persone che convivono (quando dei semi di bene ci possono essere!) oppure quello di scendere a compromessi con il mondo, per evitare che le persone si allontanino.

Ho scoperto che esiste una terza via ed è quella che ha convertito me: restare fermi sui propri principi, senza imporli. Proporre, annunciare, testimoniare con fervore, nel rispetto però della storia, della libertà, dei tempi di maturazione dell’altro. Essere umili: “Io ho scoperto questo… e mi ha reso felice, ma la scelta spetta a te”. Suscitare domande invece che spiegare “nella teoria”, inoltre, può aiutare a riflettere i ragazzi. Propongo alcuni esempi di domande da farsi sulla propria vita di coppia: “Ti considero l’unico/a uomo/donna a cui voglio donare la mia vita e il mio corpo?”. “Non mi sposo perché non credo nell’amore per sempre o per altri motivi? Quali sono questi motivi?”. “Ho paura degli impegni definitivi?”. “Sono disposto a esserti fedele sempre, nel bene e nel male? Sono consapevole che tu meriti questo?”. “Ho paura che tu mi tradisca o credo in noi?”. “Mi vedo con te tra 10 anni?”. “Metto te prima del sesso o il sesso prima di te?”. “Rispetto il tuo corpo o lo guardo con malizia?”. “Sono capace di tenerezza nell’intimità o prevale l’istinto di possedere?”. “Cerco un’intesa spirituale e mentale con te o quello che conta di più per me è l’intesa fisica?”. “Se per un lungo periodo – magari per problemi di salute – non potessimo fare l’amore, sarei tentato di andare con un altro/a?”. “Penso di donarti il mio corpo e la mia vita per sempre, o non escludo che potremmo lasciarci e vivere l’intimità con altre persone? Ti sto facendo un dono definitivo di me, o potrei revocare questo dono?”.

Se quel sacerdote che voleva mandarmi in purgatorio mi avesse domandato: “Che valore dai tu alla sessualità? A chi vale la pena donare il dono prezioso che tu sei? Non vuoi essere accolta in modo definitivo solo dall’uomo della tua vita?”, avrei sicuramente riflettuto di più. È importante, a mio avviso, che il cristiano si avvicini alle vite degli altri con delicatezza, sapendo che non è chiamato a sparare sentenze ma a fare luce su una bellezza che il mondo nasconde. Il Vangelo è al servizio delle persone, non è una schiavitù: è liberante, non una palla al piede. Le persone che convivono, esattamente come tutte le altre, meritano di ricevere la buona notizia, che magari non è ancora giunta alle porte del loro cuore. La risposta, poi, è personale. Noi seminiamo, a raccogliere è il Signore. Ricordiamoci che abbiamo il dovere di testimoniare, ma non di giudicare il fratello. Perché le anime le conosce veramente solo Dio. Per oggi ci fermiamo qui, ma continueremo su questo argomento le prossime volte!


di Cecilia Galatolo

tratto da puntofamiglia.net

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