Ogni anno, con l’inizio della scuola, si ripete un rito antico quanto l’umanità stessa: il cammino verso la conoscenza.
Ogni anno, con l’inizio della scuola, si ripete un rito antico quanto l’umanità stessa: il cammino verso la conoscenza. Bambini, adolescenti e insegnanti si ritrovano nei corridoi e nelle aule per intraprendere un percorso che non è soltanto fatto di nozioni, ma di qualcosa di molto più profondo.
Si va a scuola, in fondo, per imparare a leggere e a scrivere. Questo, nella sua semplicità, rappresenta l'essenza dell'alfabetizzazione, ovvero quel processo che ci rende capaci di non rimanere "analfabeti", esclusi dalla comprensione del mondo e delle sue sfide. Ma cos'è, veramente, l'alfabeto?
La parola "alfabeto" deriva dalle prime due lettere dell'alfabeto greco, 'alpha' e 'beta', simboli del principio di ogni linguaggio scritto. L'alfabeto non è solo un insieme di segni, ma il ponte che ci permette di interagire con il mondo, di comprendere e trasmettere idee, emozioni e conoscenze. L'alfabetizzazione non è quindi solo una capacità tecnica, ma un atto di inclusione nel grande dialogo umano, che ci permette di partecipare alla cultura e alla vita sociale.
Se ci soffermiamo sulla parola "imparare", scopriamo una radice latina interessante, 'imparare, che significa "prendere dentro di sé". Imparare non è semplicemente accumulare nozioni; è un processo attivo di acquisizione, un atto di incorporare nuove realtà e farle proprie.
Da bambini impariamo a leggere, scrivere e fare di conto, le fondamenta su cui costruire qualsiasi altra conoscenza. Queste abilità sono il linguaggio della vita stessa. Sono la base da cui scaturisce la capacità di apprendere altre discipline, ma soprattutto di "imparare a imparare", un’arte essenziale che non si esaurisce mai, ma cresce con noi.
Prima dei metodi di studio, ancor prima dei programmi scolastici, c’è un principio fondamentale che la scuola dovrebbe coltivare: la curiosità. Impariamo perché siamo abitati da domande, perché sentiamo il bisogno di capire il mondo che ci circonda, di cercare risposte alle nostre curiosità interiori.
Ogni bambino arriva a scuola con un universo di interrogativi, piccoli e grandi. E la scuola, prima di tutto, dovrebbe essere il luogo dove queste domande trovano spazio per essere ascoltate, coltivate, approfondite. Non si tratta solo di trasmettere nozioni, ma di creare le condizioni affinché lo studente si ponga le giuste domande, quelle che lo porteranno ad esplorare nuovi orizzonti.
La conoscenza non deve essere un peso, una lista di informazioni da memorizzare senza scopo. Al contrario, dovrebbe accendere l'interesse, stimolare la curiosità e la riflessione. Quando uno studente trova una risposta a una domanda che lo abita, o quando scopre che una nuova domanda è ancora più affascinante della risposta che cercava, allora la scuola ha davvero compiuto il suo dovere.
In questo senso, il compito della scuola non dovrebbe limitarsi a fornire contenuti che rischiano di rimanere aridi, se non toccano la curiosità dello studente. La vera missione educativa è quella di suscitare interesse, di far sorgere il desiderio di conoscere, di scoprire. Non esiste apprendimento senza curiosità; senza la scintilla che accende il desiderio di andare oltre il già conosciuto.
Il primo giorno di scuola, allora, non è solo un momento di ritorno ai banchi, ma l’inizio di un viaggio verso la scoperta di sé e del mondo. È l’opportunità per ogni alunno di imparare a leggere le pagine del libro della vita, non solo quello dei testi scolastici. E il ruolo dell’insegnante è quello di accompagnare i ragazzi in questa esplorazione, rendendo la scuola un laboratorio di domande e scoperte.
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Redazione Donboscoland
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