Siamo credibili quando condividiamo l'esperienza di sofferenza della gente

«Senza una politica nuova capace di licenziare la guerra per un dialogo paritario non solo con l'islam, ma con l'intero Sud del mondo, l'occidente non verrà mai a capo del terrorismo». Così il direttore di Nigrizia, padre Carmine Curci, in una riflessione, affidata all'agenzia Asca, sul rapimento delle due giovani volontarie italiane in Iraq.

Siamo credibili quando condividiamo l'esperienza di sofferenza della gente

da Quaderni Cannibali

del 09 settembre 2004

 

«Il rapimento delle due straordinarie volontarie italiane, al di là della retorica patriottica a ogni costo, dimostra con tutta evidenza che la gente non ci difende più perché la presenza militare italiana ha delegittimato il lavoro delle ong. Così il direttore di Nigrizia, padre Carmine Curci, che prosegue sottolineando che si tratta di un’azione che «mette in discussione tutto il progetto politico italiano in Iraq e le sue alleanze nella coalizione militare».

 

«L'esperienza dei missionari in zone ad alto rischio - aggiunge padre Curci - ci ha insegnato che è la stessa gente che ci difende e ci informa di qualsiasi situazione di pericolo. Nel momento in cui si entra in contatto con l'ufficialità e i militari, la presenza dei volontari diventa inutile e rischiosa perché vengono schiacciati dal modello di presenza militare prevalente.

 

Siamo credibili come ong e come persone quando condividiamo l'esperienza di sofferenza della gente, stando in mezzo a loro senza la cornice di forza di occupanti o indesiderati. Solo questo darà sicurezza».

 

Secondo il direttore di Nigrizia «la presenza della stessa Croce Rossa Italiana in Iraq è vista, ormai, solo come un contorno della scelta politica e militare e non umanitaria.

 

Non si compra il cuore della gente con i viveri e i medicinali, mentre i nostri connazionali svolgono l'arte della guerra. Per cui la Croce Rossa italiana, a nostro modo di vedere, dovrebbe lasciare l'Iraq dando possibilità ad altre organizzazioni umanitarie di intervenire.

 

Si è notato sempre più l'incapacità della CRI a gestire situazioni di alta emergenza nel mondo islamico e l'incapacità a saper gestire forme di contatti che permettono serenità a chi lavora sul campo».

 

Pi√π in generale, padre Curci esprime anche delle riserve sul gran parlare di ''dialogo'' che si fa nei confronti dell'islam senza politiche e atteggiamenti culturali conseguenti.

 

«Il dialogo - egli dice - deve essere condotto nella reciprocità, considerando l'interlocutore allo stesso nostro livello, rispettando fortemente il senso culturale e storico della gente. Non possiamo continuare a cullarci nell'idea che noi occidentali siamo esportatori di democrazia e di altri valori a popoli che sono arretrati o più incivili.

 

In questo modo poi ci si meraviglia - come nel caso di Bush - perché gli altri non ci vogliono, non ci apprezzano e si difendono da noi. Ci manca il rispetto della storia millenaria di tanti popoli anche del mondo islamico e la sofferenza dei popoli. Popoli che - non di rado - hanno sofferto e soffrono anche oggi per gli interessi occidentali.

 

Perché meravigliarsi allora se spesso essi vedono anche il dialogo come strumento di oppressione e quindi restano malfidati?»

 

«L'occidente - conclude padre Curci - deve avere capacità di conversione e non solo continuare a coltivare una presunta capacità educativa alla democrazia o ad altri valori - spesso ignorati praticamente nei nostri stessi paesi - nei confronti di popoli e culture diversi, verso i quali pretendiamo una piena sottomissione ai nostri interessi e alla nostra cultura».

 

 

padre Carmine Curci

http://www.nigrizia.it

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