SOCIALITÀ E PEDAGOGIA DEL SISTEMA PREVENTIVO

don Bosco espone ai suoi exalunni il significato 'politico' della sua scelta educativo-assistenziale in favore dei giovani 'pericolanti e pericolosi'. L'intervento esplicita e sviluppa quanto già affermato nella conferenza tenuta ai Cooperatori di Torino

SOCIALITÀ E PEDAGOGIA DEL SISTEMA PREVENTIVO

da Don Bosco

del 28 febbraio 2007

I.                     INTRODUZIONE

 

    Nell’incontro con don Bosco degli exalunni laici di Valdocco, il 23 luglio 1882, al levar delle mense tra altri interventi, un loro rappresentante, il prof. Alessandro Fabre, lesse un suo discorso su La politica di Don Bosco. Scherzo...1 Veniva sviluppata una polemica semiseria contro certi giornali che vedevano risvolti 'politici-partitici' nell’azione di don Bosco. Un’ottica di questo tipo persisteva, potenziata, nell’anno seguente, particolarmente in occasione della trionfale accoglienza a Parigi, quasi un fatto nazionale, e la rapida visita di luglio, nel castello di Frohsdorf, presso Vienna, al conte di Chambord, gravemente malato. A Parigi, oltre e più che come taumaturgo, egli si era espresso come educatore preoccupato delle sorti della società; ad essa, ordinata, conservativa, dove la giustizia si chiamava elemosina (che dona sussidi e riceve riconoscenza) egli consacra la sua opera, 'l’educazione della gioventù', la più alta forma di carità, quindi di socialità, nell’immaginario dei suoi uditori la forma ideale di soluzione della 'questione sociale'. È il contesto entro cui si collocano le parole con cui don Bosco espone ai suoi exalunni il significato 'politico' della sua scelta educativo-assistenziale in favore dei giovani 'pericolanti e pericolosi'. L’intervento esplicita e sviluppa quanto già affermato nella conferenza tenuta ai Cooperatori di Torino la sera stessa del suo arrivo dalla Francia, il 31 maggio: 'Volete che vi suggerisca un lavoro relativamente facile, molto vantaggioso e fecondo dei più ambiti risultati? Ebbene, lavorate intorno alla buona educazione della gioventù, di quella specialmente più povera ed abbandonata, che è in maggior numero, e voi riuscirete agevolmente a dare gloria a Dio, a procurare il bene della Religione, a salvare molte anime e a cooperare efficacemente alla riforma, al benessere della civile società; imperocché la ragione, la Religione, la storia, l’esperienza dimostrano che la società religiosa e civile sarà buona o cattiva, secondo che buona o cattiva è la gioventù, che ora ci fa corona'.2

    Ad anno 1883 avanzato il salesiano Francesco Cerruti (1844-1917), direttore del ginnasio-liceo municipale di Alassio e ispettore o superiore provinciale delle opere di don Bosco della Liguria e della Toscana3 pubblicava una sintetica Storia della pedagogia in Italia dalle origini a’ tempi nostri.4 Dopo due anni egli era nominato e, nell’anno successivo (1886), eletto Consigliere Scolastico generale o Direttore generale degli studi della Società salesiana, permanendovi fino alla morte. Essa è divisa in tre grandi epoche: antica o pagana fino al IV sec. dopo Cristo, cristiana fino all’inizio del ’500, moderna. È stporia anche di idee e di valutazioni, come appare chiaramente dall’Introduzione. Essa, infatti, in sostanza intende essere storia della lotta tra due realtà che nell’educazione dovrebbero procedere in armonia: autorità e libertà, 'simbolo la prima di superiorità, di gerarchia, la seconda d’autonomia, d’indipendenza': 'non adunque separazione, non disunione innaturale fra l’autorità e la libertà, ma mutua colleganza, ma bella armonia fra loro col rispetto a’ reciproci diritti e l’accordo armonico delle forze loro, ecco quello che deve proporsi la pedagogia, ecco le basi fondamentali, su cui ella poggia, come su rocca incrollabile'.5 Da qui deriva la nobiltà della pedagogia, 'scienza morale', a cui si addice 'un posto nobilissimo fra le molteplici scienze affini, quali sono l’antropologia, l’etica, l’economia, la politica', 'figlia primogenita della filosofia'.6 Della prima epoca 'sta a capo e splende di bella luce la scuola italica di Pitagora, immortale monumento della sapienza pedagogica degli avi nostri'.7 Il secondo periodo segna insieme l’avvento della superiore pedagogia cristiana, contraddistinta da due caratteri fondamentali, 'l’ universalità e l’ unità', che raggiunge la sua piena espressione nel medioevo.8 In conformità con la tesi di Ozanam l’equilibrio si rompe con l’ultimo periodo di questa epoca, il Rinascimento e la Riforma, e si stabilizza con l’epoca moderna: 'ribellione della ragione alla rivelazione', 'rivolta della libertà entro l’autorità', 'promosse e fomentate prima dal naturalismo de’ dotti bizantini, poscia dalla Riforma o meglio eresia luterana'.9 'La pedagogia nell’epoca terza, che ne seguì e corre fino a’ giorni nostri, porta l’impronta di questo servaggio, sotto l’aspetto d’intellettuale indipendenza'.10 Non vi soggiace, però, 'la pedagogia italiana essenzialmente cristiana', 'avvivata e sorretta dalla Chiesa Cattolica e dalle numerose Congregazioni religiose, che la mantennero in una e lo splendore della civiltà antica e lo spirito creatore della nuova'; e cita Rosmini, Rayneri, Tommaseo, Lambruschini, la Molino-Colombini, la Francesca-Ferrucci, ricostruttori di 'quella catena di nobili e gloriose tradizioni, che ricongiunge per Vittorino da Feltre Pitagora a Rosmini, la scuola paganoitalica antica a quella cattolico-italiana moderna'.11

    Oltre Pitagora, però, egli mette in particolare evidenza nell’età antica 'Quintiliano ossia il più illustre pedagogista antico', 'vissuto quasi sempre a Roma dal 42 al 118 dopo G. C.', a cui dedica un numero notevole di pagine.12 Egli costituirà il primo momento, 'umanistico', di quella sintesi preventiva [che, tuttavia, in Quintiliano) Cerruti riconduce al solo 'sistema disciplinare'] che avrà in Vittorino da Feltre il suo secondo momento, 'cristiano',13 etroverà in don Bosco la perfetta sintesi.14

 

 

 

Note:

1 Pubblicato dalla tip. G. Derossi, Torino 1882, 16 p.

2 BS 7 (1883) n. 7, luglio, p. 104.

3 Cfr. J. M. PRELLEZ0, Francesco Cerruti Direttore generale della scuola e della stampa salesiana (1885-1917), in 'Ricerche Storiche Salesiane' 6 (1986) 127-164.    

4 Torino, Tip. e libr. salesiana 1883, 320 p. Cfr. J.M. PRELLEZO, Don Bosco y la 'Storia della pedagogia' de Francesco Cerruti (1844-1917), in L’impegno dell’educare, a cura di J.M. Prellezo. Roma, LAS 1991, pp. 435-450.

5 F. CERRUTI, Storia della pedagogia..., p. 5.

6 F. CERRUTI, Storia della pedagogia..., p. 7.

7 F. CERRUTI, Storia della pedagogia..., p. 10.

8 F. CERRUTI, Storia della pedagogia..., p. 81. 

9 F. CERRUTI, Storia della pedagogia..., p. 10.

10 F. CERRUTI, Storia della pedagogia..., p. 11.

11 Ibid.

12 F. CERRUTI, Storia della pedagogia..., pp. 69-73.

13 Il Cerruti vi dedicherà un intero capitolo: Ibid., pp. 151-161.

14 Lo schema storiografico è ripresentato dal Cerruti venticinque anni dopo nell’opuscolo Una trilogia pedagogica ossia Quintiliano, Vittorino da Feltre e Don Bosco. Roma, Scuola Tipografica Salesiana 1908, 19 p.

 

 

 

 

 

II. TESTI

La scelta 'politica' dell’educazione della gioventù (1883)

 

L’ONOMASTICO DEL PADRE

E I FIGLI A MENSA CON LUI.

   Abbiamo fatto sperare che saremmo ritornati sull’onomastico di D. Bosco, accennato appena nel numero precedente; e qui manteniamo la promessa sia per ricordare almeno per sommi capi le preziose parole dette da lui in quell’occasione, sia per dire brevemente dell’agape, che come conseguenza di quell’onomastico medesimo ebbe luogo nell’Oratorio il 15 e il 19 dello scorso luglio.

   Anzitutto ricordiamo l’affettuosa dimostrazione, che nel mattino del 24 Giugno, festa appunto di S. Giovanni Battista, diedero a D. Bosco i suoi antichi allievi, che dal 1841 sino a questi ultimi anni ricevettero da lui nell’Oratorio di S. Francesco di Sales la cristiana e civile educazione. Un numero considerevole di essi residenti in città o nelle sue vicinanze, a nome proprio e a nome di più centinaia di loro compagni sparsi in ogni paese, si presentarono a lui accompagnati dal suono della banda musicale. Raccolti in apposita sala gli offersero i doni, procurati colle spontanee obblazioni di ognuno di loro, il principale dei quali consistente nella magnifica corona dorata, di cui abbiamo fatto parola nella relazione della novena e nella festa di Maria Ausiliatrice; indi passarono ai componimenti. A nome di tutti lesse un affettuosissimo discorso il Sac. D. Onorato Colletti, Prevosto di Faule; il quale, dopo la proclamazione dei nomi presenti e degli assenti, che o per lettera o per altro mezzo avevano manifestato desiderio di partecipare alla detta dimostrazione di riconoscenza e di gratitudine, declamò ancora una poesia, che fu meritatamente applaudita.

   In fine D. Bosco, visibilmente commosso, prese la parola. Esternò la viva gioia, che provava in quel momento nel rivedere tanti suoi amatissimi figliuoli; assicurò che egli sempre li amava, e con essi amava pur quelli, che non erano colà presenti col corpo, ma ben lo erano coll’affetto; li ringraziò della figliale dimostrazione, che gli ripetevano sempre più numerosi; lodò il pio pensiero di offrirgli un dono, che faceva sì bella figura nella Chiesa di Maria Ausiliatrice, ed ebbe soprattutto parole improntate di grande affetto pel Prevosto di Faule. — È vero, disse D. Bosco, che l’oratore e poeta, parlando di D. Bosco, uscì in pie esagerazioni e fece uso della figura rettorica chiamata l’iperbole; ma è questa una licenza perdonabile ai figliuoli, i quali nell’esprimere i sentimenti dell’animo stanno più ai dettami del cuore, che non a quelli della mente. Ricordate però sempre che D. Bosco non fu e non è altro che un misero strumento nelle mani di un artista abilissimo, anzi di un artista sapientissimo ed onnipotente, che è Dio; a Dio pertanto si tributi ogni lode, onore e gloria — Del resto, soggiunse D. Bosco, ha detto bene il nostro D. Colletti, che l’Oratorio ha fatto finora delle grandi cose; e io vi aggiungo che coll’aiuto di Dio e colla protezione di Maria Ausiliatrice ne compirà delle altre più grandi ancora. Oltre l’aiuto del Cielo, quello che ci facilitò e ci faciliterà di fare del bene è la stessa natura dell’opera nostra. Lo scopo al quale noi miriamo torna beneviso a tutti gli uomini, non esclusi quei medesimi, che in fatto di religione non la sentono con noi. Se vi ha qualcuno che ci osteggia, bisogna dire o che non ci conosce, oppure che non sa quello che si faccia. La civile istruzione, la morale educazione della gioventù o abbandonata, o pericolante, per sottrarla all’ozio, al mal fare, al disonosre, e forse anche alla prigione, ecco a che mira l’operanostra. Or qual uomo assennato, quale autorità civile potrebbe impedircela? Ultimamente, come sapete, io fui a Parigi, e tenni discorso in varie Chiese, per perorare la causa delle opere nostre, e, diciamo francamente, per ricavare quattrini, onde provvedere pane e minestra ai nostri giovani, i quali non perdono mai l’appetito. Or bene, tra gli uditori ve n’erano di quelli, che vi si recavano unicamente per conoscere le idee politiche di D. Bosco; imperocchè taluni supponevano che io fossi andato a Parigi per suscitare la rivoluzione; altri per cercare aderenti ad un partito, e via dicendo; onde vi furono delle benevole persone, che temevano davvero che mi succedesse qualche brutto scherzo. Ma fin dalle prime parole cessarono tutte le illusioni, diedero giù tutti i timori, e D. Bosco fu lasciato libero di scorrere da un capo all’altro della Francia. No davvero, coll’opera nostra noi non facciamo della politica; noi rispettiamo le autorità costituite, osserviamo le leggi da osservarsi, paghiamo le imposte e tiriamo avanti, domandando solo che ci lascino fare del bene alla povera gioventù, e salvare delle anime. Se vuolsi, noi facciamo anche della politica, ma in modo affatto innocuo, anzi vantaggioso ad ogni Governo.

   La politica si definisce la scienza e l’arte di ben governare lo Stato. Ora l’opera dell’Oratorio in Italia, in Francia, nella Spagna, nell’America, in tutti i paesi, dove già si è stabilita, esercitandosi specialmente a sollievo della gioventù più bisognosa, tende a diminuire i discoli e i vagabondi; tende a scemare il numero de’ piccoli malfattori e dei ladroncelli; tende a vuotare le prigioni; tende in una parola a formare dei buoni cittadini, che lungi dal recare fastidi alle pubbliche Autorità saranno loro di appoggio, per mantenere nella società l’ordine, la tranquillità e la pace. Questa è la politica nostra; di questa solo ci siamo occupati sinora, di questa ci occuperemo in avvenire. Ed è appunto questo metodo, che ha permesso a D. Bosco di fare del bene da prima a voi, e in appresso a tanti altri giovani di ogni età e paese. E poi a che pro entrare in politica? Con tutti i nostri sforzi che cosa potremmo noi ottenere? Nient’altro che il renderci forse impossibile di proseguire l’opera nostra di carità. Le cose polticihe di oggidì possono riguardarsi come una macchina a vapore, che corre veloce sulla via ferrata, trascinandosi dietro un convoglio fors’anche al precipizio ed alla rovina. Volete voi mettervi in mezzo ai binari per fermarma? Ne sareste schiacciati. Volete gridare per atterrirla? Ma non sente, e vi squarcereste inutilmente la gola. Che fare adunque? Schierarsi di qua e di là, lasciarla passare, finché o si fermi di per se stessa, o la fermi Iddio colla sua mano onnipotente. Certamente nel mondo vi devono pur essere di quelli, i quali s’interessino delle cose politiche, ora per dare consigli, ora per segnalare pericoli e simili; ma questo cômpito non è per noi poveretti. A noi la religione e la prudenza dicono invece: Vivete da buoni cristiani, occupatevi della morale educazione della vostra figliuolanza, istruite bene nel catechismo i fanciulli dei vostri collegi e delle vostre parrocchie, ecco tutto. Questa, ripeto, è la condotta di D. Bosco, il quale è si poco politico, che legge nemmeno un giornale; questa sia pure la condotta vostra, o miei carri figliuoli, e ne avrete voi pure quel gran bene che vi desidero, voglio dire, la concordia e la pace nelle vostre famiglie, la prosperità nei vostri negozii temporali, una lunga vita scevra di gravi affanni e tribolazioni, e specialmente il bene di tutti i beni, che è la perseveranza nella grazia di Dio e la felicità del paradiso, dove io spero che pei meriti di nostro Signor Gesù Cristo e per la intercessione di Maria SS. ci ritroveremo un giorno tutti riuniti a cantare le sue eterne glorie.

   Queste parole di D. Bosco furono ascoltate colla più viva attenzione. Ma siccome egli aveva chiamate pie esagerazioni e figure rettoriche le lodi attribuitegli poc’anzi, così sorse il prof. Germano Candido a difendere le espressioni dell’Oratore, rifornendo la testimonianza non sospetta di un giornale di Milano, che in quei giorni ripeteva pressochè le stesse lodi — Possibile che buoni e cattivi, osservò il professore, si accordino insieme nell’esagerare piamente ed iperboleggiare intorno a D. Bosco? No; ma è la verità, ma sono gli splendidi fatti, che fanno parlare. Viva dunque D. Bosco, viva nel nostro cuore, viva nel cuore di tutti.

 

 

 

Il 'sistema preventivo' in una 'Storia della pedagogia in Italia'+

'La sapienza pedagogica di Quintiliano' (34-35)

   Ma dove apparisce soprattutto la sapienza pedagogica di Quintiliano, è nel sistema disciplinare che vuol essere a giudizio suo e di tutti i savii non repressivo, ma preventivo. Lungi il battere, che è cosa da schiavo e atta solo ad indurir il cuore; il maestro s’adoperi invece a formare il suo alunno con una vigilanza continua, un’assistenza dolce e severa ad un tempo, che pigliando un giusto mezzo fra la lassezza e il rigore impedisca possibilmente il male, senza che occorra di doverlo poscia reprimere. Prudente nel suo operare non pretenda più di quanto comporti l’età del fanciullo, zelante lo animi allo studio con porgliene sott’occhio la bellezza e la soavità, né tralasci lodi, premi, emulazione e quanto altro sa suggerire un’ingegnosa accortezza.

'Il pi√π illustre degli educatori', Vittorino da Feltre (1773 ca.-1446)

   Ma fra quanti illustri educatori vanta l’Italia, da Pitagora a’ giorni nostri, splende di bella immortal luce il nome di un uomo, su cui si raccoglie quanto di più saggio e di più grande siasi fin qui detto od operato intorno al magistero dell’educazione. È questi Vittorio Rambaldoni da Feltre, città sul Bellunese, il quale ravvivò e continuò non solo le gloriose tradizioni pedagogiche della scuola italica, ma le condusse a perfezione sotto l’alito divinamente vivificatore d’una religione essenzialmente educativa, qual è il Cristianesimo (...). Chi mi sa dire qual sapiente indirizzo dovesse dar Vittorino all’educazion morale de’ suoi alunni? Persuaso che in opera così importante nulla vi dev’essere che ne ritardi il corso o ne sminuisca l’efficacia, non ammetteva ne’ suoi collegi che maestri religiosi e costumati, e con rigore che parrebbe soverchio a chi non sa quanto sia facile un’impressione contagiosa nell’animo de’ giovani, negava pur l’entrata alle persone che non gli erano ben conosciute. I suoi allievi non abbandonava mai nè di giorno nè di notte, e per quanto era possibile, li assisteva co’proprii suoi occhi. La maggior parte delle mancanze preveniva colla vigilanza, giacchè niuno ignora che la solitudine è pe’ fanciulli forte incitamento alla colpa. Chi conoscesse di corrotti costumi o irreligioso, ammoniva con severità e fermezza, allontanavali inesorabilmente se si mostrassero incorreggibili e pericolosi agli altri. Abborriva ne’ giovani il soverchio e inconsiderato parlare e la menzogna; instillava in quei teneri cuori l’amor fraterno, come il dimostrano molti generosi fatti che illustrarono i suoi Istituti. Il Prendilacqua narra di sè che, essendo precipitato a caso per entro un lago e presso a sommergersi, vi si gettarono per salvarlo parecchi suoi condiscepoli, e vi riuscirono in mezzo alle grida di gioia e di entusiasmo de’ circostanti. Mostravasi mite, e facile perdonava a chi mancasse per giovanile vivacità od imprevidenza o riconoscesse almeno e condannasse con prestezza il fallo commesso; ma puniva con giusta severità quando la colpa fosse opera di malizia o vi si aggiungesse l’ostinazione. Sdegnoso della vita e fiacchezza amava di forte affetto la mansuetudine e colle parole e coll’esempio la predicava e la voleva osservata insieme con quelle virtù, che sono chiaro segno di nobiltà d’animo, la cortesia e l’affabilità cogl’inferiori, la gentilezza cogli eguali, il rispetto e l’amore pe’ vecchi.

   Le migliori cure riserbava a informar l’animo degli alunni a pietà e religione, chè l’edifizio educativo fondato su altra base crolla ben resto e si sfascia con rovina. Vittorino il sapeva e non si stancava di ricordarlo a’ suoi. Quindi è che non solo non sofferiva alcun scherzo o motto irreverente alle cose sacre o che sentisse d’irreligioso, ma adoperavasi in ogni modo perchè non mai mancassero a’ lor doveri, si studiassero anzi di conseguir la cristiana perfezione. Le pratiche di pietà non erano di troppo numero, ma volevale costantemente mantenute. Al mattino dopo alcune divote preghiere assistevano alla S. Messa. I giorni festivi erano principalmente consacrati alle funzioni ecclesiastiche ed alle opere di carità. Aggiungasi la frequenza de’ Sacramenti, che egli raccomandava con parole animate e piene di fede, come il più valido sostegno della virtù. Del resto, lo dirò colle parole di Jacopo Bernardi, ogni atto ed ogni parola di Vittorino erano un’istruzione religiosa, se è vero che la religione abbia per inalterabile meta il bene dell’individuo e della società e consacra tutti i doveri e i diritti che nella famiglia, nella città, nella nazione rendono migliore l’uomo.

'L’opera umanitaria di quest’uomo': don Bosco

   Ma la classe maschile operaia abbisognava sopra ogni altra dell’opera di saggi e zelanti educatori. E certo la storia registrerà fra questi a caratteri immortali il nome di quella gloria vivente del Piemonte, che è il venerando D. Giovanni Bosco, nativo di Castelnuovo d’Asti. Commosso al deplorevole statto intellettuale, morale e materiale, in cui vedeva perdersi tanta gioventù, l’umile prete gettò in casa sua fin dal 1841, coadiuvato dall’eccellente sua madre, i primi fondamenti di quell’Ospizio, che poscia crebbe gigante e prese così vaste proporzioni sotto il titolo di Oratorio di San Francesco di Sales. I ragazzi alloggiati e mantenuti gratuitamente, inviati lungo il giorno a lavoro presso probi capi d’arte, istruiti nel leggere, scrivere e conteggiare con un’ora almeno d’insegnamento quotidiano, quando le scuole serali e festive erano in Piemonte ancor nuova cosa, addestrati ad esercizi ginnastici d’ogni fatta, educati nella religione e nella moralità co’ catechismi e co’ ritrovi festivi, ecco l’opera altamente umanitaria di quest’uomo, in cui non sai qual sia maggiore, se l’ardor d’una carità che tutto abbraccia o l’altezza del senno che a tutto provvede. E veramente del primo diede singolare prova, allorchè a far ben conoscere il sistema metrico decimale pubblicava a questo scopo per gli artigiani e la gente di campagna fin dal 1848, vale a dire un anno e mezzo prima che nel Regno di Sardegna andasse in vigore per legge, un trattatello commendevole per semplicità, popolarità e precisione. Quanto poi al secondo basterebbero senz’altro le poche pagine sul sistema preventivo nell’educazione, umile opuscoletto, dove pure troverai assai più e assai meglio di sane massime pedagogiche, che non in tante voluminose opere di tal fatta. Tu vedi quivi infatti accolto in brevi parole il fiore della civiltà pagana antica e l’essenza della nuova cristiano-cattolica, la sapienza teoretica di Quintiliano e l’assennatezza pratica di Vittorino da Feltre, il Vangelo in una parola e quanto vi ha di legittimo nell’eredità dello spirito umano.+1

 

 

Note:

+ F. CERRUTI, Storia della pedagogia in Italia dalle origini a’ nostri tempi. Torino, Tip. e Libr. Salesiana 1883, pp. 72, 159-161, 269-270.

+ Ovviamente è la testimonianza di un uomo fervidamente vicino a chi gli è stato fin dalla fanciullezza 'padre, fratello, amico' e che resta tale ancor più ora, che ne è diventato vicino collaboratore.

Quanto si è detto a proposito di vari documenti raccolti nel presente volume è sufficiente a ridimensionare ciò che l’Autore scrive circa una presunta priorità di don Bosco in determinate iniziative educative.

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