Solo Dio può salvare. Commento alla II domenica di Avvento .

Nel discorso sulla speranza che si vuol fare in questo Avvento, in questa domenica conviene cercare nella storia un segno positivo di speranza. Oggi nelle letture proposte assistiamo al “ritorno della parola nella storia”.

Solo Dio può salvare. Commento alla II domenica di Avvento .

da Teologo Borèl

del 08 dicembre 2006

 

Letture bibliche

Bar 5,1 – 9

Sal 125,1-6

Fil 1,4 – 6.8-11

Lc 3,1-6

 

Nel discorso sulla speranza che si vuol fare in questo Avvento, dopo la panoramica apocalittica di domenica corsa che portava a sperare “nonostante tutto”, in questa domenica conviene cercare nella storia un segno positivo di speranza. Oggi nelle letture proposte assistiamo al “ritorno della parola nella storia”.

Il cap.5 del libro di Baruc ci riporta a Babilonia,in esilio ,ed è in questo contesto che si profila all’orizzonte l’avvento di Ciro e la caduta dell’impero Babilonese. Le parole di Baruc sono un oracolo di consolazione,un annuncio profetico che vuole ravvivare la speranza e sollevare il morale degli esiliati. Rivolgendosi alla città desolata di Gerusalemme,Baruc sa perfino trovare gli accenti più caldi della speranza e accende la sua fantasia profetica con visioni di ottimismo,che ai suoi contemporanei devono essere sembrate o ingenue o irreali. Egli prevede per il suo popolo,simboleggiato nella città di Gerusalemme,un futuro nuovo,una rinascita meravigliosa: al lutto succederà la gioia, alla rovina lo splendore,alla miseria il benessere,alla dispersione la riunione. Chi darà origine a questo mutamento? Sarà Dio,che mostrerà la sua gloria,chiamerà i suoi figli da occidente a oriente,li riunirà riconducendoli da ogni luogo,spianerà monti e colli e il “ ricondurrà” con gioia.

I tutta la prima lettura liturgica dominano i verbi indicanti l’azione predominante di Dio: è Dio infatti l’unico che può salvare. La lettura è un invito alla gioia e alla speranza perché il signore “ ha stabilito”,ha preso una decisione irrevocabile. Non si darà pace finche non avrà smosso tutte montagne, sgretolato tutte le rupi,visitato tutti gli abissi.

 

 

Chi può far nascere una “ società nuova”,un mondo nuovo profetizzato da Baruc, che non sia solo costruzione dell’uomo? Mi pare che l’apostolo Paolo ci dia una risposta nella seconda lettura, laddove parla di Dio come “ colui che ha iniziato l’opera nuova “, che è la comunità cristiana, nasce soltanto per dono di Dio,Paolo prega per essa. Ma egli indica anche le tappe o la via per la costruzione di tale comunità. C’è stato un punto di partenza nella loro vita di neoconvertiti: quando hanno accolto l’annuncio evangelico dell’apostolo, aderendovi con fede attiva. Ci sarà un punto di arrivo,quando Cristo verrà a chiudere la scelta della storia. Il tempo presente è caratterizzato dall’imperativo dell’agape, “ dell’amore”. La condizione permanente del credente in Cristo è quella della crescita nell’amore. I sazi e i soddisfatti non possono far parte del popolo di dio in cammino verso “ la terra promessa”.

 

 

Ma l’evento principale è <la Parola che esce su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto >. Il lungo tempo della preparazione si conclude con un ritorno della parola di Dio. E una parola  urgente e nuova. Annunzia l’imminenza del compimento; non solo, ne indica anche le caratteristiche.

L’evento salvifico di Dio è situato nella storia ; la storia di Israele e del mondo; in un tempo determinato e in un luogo preciso: “nell’anno decimoquinto dell’impero di Tiberio Cesare”.

Inoltre questa salvezza così storica (legata a tempi e luoghi) è in realtà universale, offerta ad ogni uomo e in ogni tempo. Luca infatti prolunga la citazione di Isaia a differenza di Mt e Mc ed include l’affermazione: <Ogni uomo vedrà la salvezza di D           io >. La vicenda di Gesù è al centro della storia ed ha significato non solo per il popolo ebraico ma per tutti i popoli. Luca vuole che sia chiaro a tutti che non sta iniziando a raccontare una favola; e- gli intende riferirsi a fatti concreti. L’intervento di Dio nella storia dell’umanità è realmente avvenuto in un momento e in luogo ben definiti. Il battista non è un re; vive nella tenda come i beduini, non ha un regno da difendere, non ha nessun potere da far valer al di fuori della sua parola. E un uomo povero,provo di tutto meno che della speranza in Dio,che egli va in giro a predicare.Il Battista è l’opposto dell’Imperatore Tibero Cesare, signore  e padrone del grande Impero Romano. Giovanni invita alla conversione del cuore, a preparare la via al Signore, a raddrizzare i suoi sentieri; il Battista va nel deserto, lungo carico di ricordi e di profonde risonanze emotive per gli Israeliti. Nel deserto essi hanno imparato a staccarsi da tutto ciò che è superfluo…. hanno imparato ad essere solidari e a condividere i loro beni con i loro beni con i fratelli, hanno imparato soprattutto di fidarsi di Dio.

Al tempo di Gesù è nel deserto che si ritirano coloro che vogliono ripetere l’esperienza spirituale dei loro padri,coloro che vogliono sfuggire all’ipocrisia di una religione fatta di formalismo e di pratiche puramente esteriori. E nel deserto che vanno a vivere coloro che rifiutano la società corrotta…. E fra queste persone “ contestatrici” c’è anche Giovanni,figlio di Zaccaria.

Il Battista predica la salvezza di Dio: < Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio > . Dio vuole rendere diritti i passi tortuosi dell’uomo; spianare i luoghi impervi che impediscono la fraternità; riempire ogni burrone e abbassare ogni monte per far valere l’uguaglianza sociale.

Le immagini della predicazione del Battista sono chiaramente un’allusione all’edificazione di una società nuova,che soltanto la grazia di Dio può far  sorgere.  L’imperatore romano pensava di portare ovunque la “salvezza”, che veniva chiamata “pax romana”, mediante eserciti ed armi; Giovanni Battista predica con il solo potere della parola di Dio.

Come Giovanni, anche i cristiani,pur stando nel mondo,dovrebbero vivere la “spiritualità” del deserto”. In un mondo in cui si considera normale il ricorso alla violenza, alla ritorsione, e anche alla guerra, essi pronunciano solo parole di pace e di perdono; in un mondo si proclamano beati coloro che accumulano beni anche sfruttando i più deboli, essi annunciano il servizio gratuito al povero e la condivisione. E un cammino di conversione che presuppone la disponibilità continua a rettificare le nostre strade a cambiare rotta; possiamo parlare di una vita di continua conversione: far si che le nostre strade collimino con le strade di Dio.Che significa in ultima istanza conversione,se non un radicale cambiamento di rotta prima nei pensieri e poi nelle azioni? 

La conversione è più dono di Dio che sforzo dell’uomo. È lui che come Padre ci conduce quasi per mano, nella misura in cui sappiamo abbandonarci con fiducia di figli. Suprema espressione di tutto questo è stato il grande cammino liberatore che portò il popolo di Dio dall’Egitto alla Palestina e che va sotto il nome emblematico di “Esodo”: in fondo in quell’occasione non si è trattato altro che dell’intervento esclusivo della bontà gratuita e misericordiosa di Dio che con mano forte e braccio potente ha ricondotto il suo popolo nella terra dei Padri.

 

 

Che dire?

La tentazione che serpeggia qua e là nelle comunità cristiane è un po’ quella dimissionaria: si notano situazioni statiche e sclerotizzate. Quello che stiamo vivendo è invece un tempo buono, un tempo di grazia di cui il Signore ci fa dono. Dove camminare significa impegnarsi , non fermarsi davanti alle prime difficoltà che incontriamo. Tutto ciò deriva proprio dal significato ultimo dell’Incarnazione. Un dinamismo nuovo ed inarrestabile è entrato nel cuore dell’uomo. Si tratta di un cammino di rinnovamento e di liberazione che non si può arrestare. Siamo lanciati sui sentieri di Dio, che sono sentieri di pace e di giustizia e non possiamo tirarci indietro, pena l’insignificanza della nostra realtà cristiana.

Da qui deriva l’impegno per riprendere il nostro cammino personale innanzitutto, se vogliamo stare al passo con Dio e incontrarlo sulle nostre strade. Ci vorrebbe il coraggio per denunciare ritardi, frenate, arresti…tutto questo è visibile e sperimentabile, in diversa misura anche nelle nostre comunità. Ci sono situazioni da sbloccare (riprendere per esempio le tematiche della Dei Verbum), se si vuole che la novità avanzi e s’imponga una superiore qualità di vita.

Alla fine dobbiamo ammettere, da questa breve diagnosi che c’è ancora bisogno di un Salvatore, ossia di uno che ci dia una mano per liberarci, allora saremo messi nella ideale condizione di spirito per attendere fattivamente il Signore, sia per desiderarlo nella nostra vita e nella nostra storia, e soprattutto per colmare le distanze che da lui ancora ci separano.

Conferenza Episcopale Italiana

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