del 17 ottobre 2006
Un senso comune della vocazione laicale, per evitare la dispersione e, di conseguenza, la debolezza nel testimoniare la fede nella realtà  di tutti i giorni.
Per Paola Bignardi, nella relazione tenuta oggi, seconda giornata del convegno ecclesiale di Verona, un ostacolo è rappresentato proprio dalla frammentazione del laicato in una molteplicità di esperienze aggregative. Ciò rende difficile che tale vocazione emerga e rende debole la voce dei laici nel mondo e nella comunità, facendo più povera la Chiesa stessa dell'esperienza di chi la immerga nella polvere della storia, le apra con fiducia le porte del dialogo con il mondo, la vita, la realtà circostante e il territorio.
 
La ex presidente dell'Azione cattolica, ha inserito il profilo e le esigenze di questa particolare espressione dell'essere cristiani in una vera e propria meditazione sulla dimensione spirituale della testimonianza, dal titolo L'amore genera la speranza. Tante sono le difficoltà che indica in apertura. Linguaggi della vita cristiana consunti  da un uso generico o troppo retorico. Cambiamenti vorticosi nel mondo, che mutano l'idea di vita e di uomo.
 
Le sfide del dialogo con le altre religioni e con un mondo laico che tende a relegare la fede nello spazio delle questioni private. Tentazione di identificare il cristianesimo con una cultura ovvero incapacità di parlare a chi magari si mostra indifferente, ma in realtà non lo è. Dentro le comunità cristiane - l'analisi della coordinatrice di Retinopera - si avvertono stanchezza, e difficoltà a mostrarsi case accoglienti di tutti. Per modelli pastorali non sempre in grado di interpretare la vita e accompagnarla in percorsi di unità, per l'attivismo, per un senso di estraniazione. Tutto ciò, più che a cedere allo sconforto, chiama a un'intelligenza  spirituale creativa. Dall'analisi della situazione, la Bignardi è passata, così, a delineare i tratti di una vita che profuma di Vangelo. Occorre, ha detto, radicarsi nell'essenziale, cioè in Cristo. Allora si potrà agire con convinzione e mitezza, con ascolto e rispetto, da persone capaci di dialogo con tutti  e che esprimono la loro fede nell'amore. Tre i testimoni di carità in contesti difficili - in molti dei quali ancora oggi si paga anche con la vita - sono stati ricordati dalla Bignardi: Giorgio La Pira, Madre Teresa, suor Leonella, uccisa in Somalia.
 
La rappresentante del laicato cattolico organizzato si è, infine, interrogata sul nuovo profilo di comunità cristiana richiesto oggi. E' una Chiesa di speranza, ha detto, che sa essere luce sul monte, offrendo un giudizio credente su questo tempo e scoprendone le ambiguità  e i limiti, insieme alle risorse e ai semi di bene. Nessun arroccamento sulla difensiva, ma una ricerca libera e senza pregiudizi dei segni dei tempi. E i laici? Vivendo nel mondo, essi sperimentano la contemplazione come l'ordinaria capacità di stare di fronte al mistero nelle molteplici forme in cui si manifesta.
 
Questa spiritualità va, però, non solo riconosciuta, ma valorizzata. Va data ad essa rilevanza ecclesiale. Alla comunità chiediamo, ha scandito la Bignardi, che dia valore alla nostra vocazione non solo quando ci impegniamo come catechisti, animatori, operatori della pastorale, ma che riconosca innanzitutto il valore della nostra fede spesa nelle situazioni di ogni giorno. Ci vogliono spazi in cui raccontare la missione di tutti i giorni. I laici sentono il bisogno di prendere la parola nella comunità e vorrebbero poterlo fare non in luoghi appartati, riservati ai laici, ma in luoghi ecclesiali, di tutti, contribuendo con la loro esperienza di Dio nel mondo a delineare il volto di comunità aperte alla vita. Vogliono, insomma, potersi esprimere nei luoghi della corresponsabilità ecclesiale in forme vive, non rituali e non formali. Un percorso necessario per arrivare a una consapevolezza comune è, infine, mettere in campo cammini formativi non strumentali o finalizzati a cose da fare. Ancora una volta più amore, meno attivismo.
 
Paola Bignardi
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