Sull'accanimento terapeutico.

«Non ho mai detto che una legge sull'accanimento terapeutico sia necessaria. Anzi, sono fermamente convinta del contrario: una legge sull'accanimento terapeutico non solo non è necessaria, ma è addirittura pericolosa». Così Maria Luisa Di Pietro, presidente dell'Associazione scienza & Vita, precisa quanto pubblicato ieri in un'intervista di 'Avvenire'.

Sull'accanimento terapeutico.

da Quaderni Cannibali

del 11 febbraio 2007

«L'accanimento terapeutico - afferma l'esponente di Scienza & Vita» - va evitato non perché lo chiede la legge o perché la legge lo fa chiedere al cittadino, quanto piuttosto perché non è lecito accanirsi sul paziente. La valutazione della proporzionalità delle terapie spetta al medico, che terrà ovviamente presente anche la gravosità delle terapie per il singolo paziente. È, invece, necessario fare chiarezza su cosa sia l'accanimento terapeutico, ossia sulla proporzionalità o non proporzionalità delle terapie: ma questo non ha nulla a che fare con una legge. La professione medica sta lavorando oramai da anni in questo senso, producendo e aggiornando linee guida di notevole equilibrio e rigore».

«Se una legge sull'accanimento terapeutico non è necessaria - aggiunge Di Pietro - allora essa nasconde un'altra finalità che non riguarda la professione medica, bensì un mero esercizio di autodeterminazione e di disponibilità della propria vita con pericolose aperture a forme di abbandono terapeutico e a pratiche eutanasiche anche per omissione. Dunque sarebbe una legge anche pericolosa».

«Su questi temi - conclude la responsabile dell'Associazione - la mia posizione come quella di Scienza & vita è sempre stata chiara, come si è più volte ribadito anche nel corso della campagna 'Né accanimento né eutanasia' e sul 'Quaderno' dedicato a questi temi. Non è di una legge che c'è bisogno, ma di medici competenti e capaci di cura, di relazione e di rispetto per il paziente e per le sue fragilità, e di una vera risposta ai bisogni del paziente e di chi lo assiste. La mancanza di efficaci reti di assistenza domiciliare, l'assenza di interventi a sostegno delle famiglie dei malati, la carenza di hospice e di strutture per la lungodegenza, l'impossibilità di accedere con facilità alle cure palliative, la mancanza di personale sanitario adeguato: sono questi alcuni degli ostacoli da superare per rendere la medicina più umana».

 

 

dietro il no all'accanimento

 

Maria Luisa Di Pietro, copresidente di 'Scienza e Vita' e docente di Bioetica alla Cattolica si dice convinta che è necessaria una legge sull'accanimento terapeutico. «Ma una legge chiara. - sottolinea - Perché diversamente il divieto dell'accanimento potrebbe mascherare l'eutanasia». Ci spiega perché.

 

Professoressa, in primo luogo: cos'è l'accanimento terapeutico?

Non c'è una chiara definizione, ciò è problematico soprattutto quando si dice, parlando di testamento biologico, che questo serve ad arginarlo. È definito come il persistere in terapie sproporzionate rispetto alle condizioni del malato o perché si tratta degli ultimi momenti della sua vita o perché queste terapie possono portare ad una sopravvivenza dolorosa se non addirittura ad una patologia provocata dalla stessa terapia.

 

Nel disegno di legge al Senato si dice che si considera accanimento terapeutico ogni trattamento praticato senza alcuna ragionevole possibilità di un vitale recupero organico funzionale. Non è una buona definizione?

È molto vaga e, se si analizzano i termini uno per uno, è anche inquietante. Si parla di vitale recupero organico funzionale. Allora, per un soggetto che ha bisogno della dialisi che non fa recuperare la funzione organica, devo considerare la sua dializzazione un accanimento terapeutico? Questo sta a dire che è necessaria una definizione, ma una definizione chiara che non si pieghi ad un obiettivo diverso da quello di non fare accanimento terapeutico, perché il rischio è che altrimenti ci sia la possibilità che rientri dalla finestra ciò che si dice si vuol lasciar fuori la porta, e cioè l'abbandono della terapia e le pratiche eutanasiche.

 

La decisione spetta quindi al medico?

La valutazione di ciò che è accanimento viene fatta dal medico che si baserà sulla gravosità dell'intervento, c'è poi un secondo momento valutativo: come la terapia utilizzata è percepita dal paziente. Bisogna distinguere questi due momenti. Se si sposta tutto sulla accettazione o non accettazione del paziente, anche ciò che non è accanimento terapeutico può essere rifiutato dal paziente. Si potrebbe in altri termini considerare accanimento terapeutico anche ciò che è proporzionato sol perché lo rifiuta il paziente.

 

La sua 'dichiarazione anticipata' fino a che punto può legare il medico?

Quando il paziente detta le sue volontà, ovviamente non malato, tant'è che i progetti di legge fanno riferimento non al paziente ma al cittadino. Significa che il cittadino dà delle indicazioni molto generiche sul trattamento medico generale che vuole non si attivi nel momento in cui starà male. Lo fa però come cittadino, senza sapere quando e di cosa si ammalerà. In futuro ci potranno essere anche nuove terapie, senza la possibilità di applicarle perché c'è una carta a stabilire che non si faccia nulla.

 

Il medico giura di operare secondo scienza e coscienza, ma se non ha la possibilità di obiettare è come se la legge stabilisse per la sua coscienza.

L'articolo 22 del codice deontologico dice che il medico al quale vengono richieste prestazioni che contrastino con la sua coscienza e il suo convincimento clinico può rifiutare la propria opera. Il codice, addirittura, mette prima la coscienza e poi il convincimento clinico. Una legge che vietasse la possibilità di obiettare presenta almeno tre problemi. In primo luogo, un problema di incostituzionalità, perché l'obiezione di coscienza è riconosciuta a livello costituzionale. In secondo luogo, sarebbe una norma che contrasta con la deontologia medica; infine, fa nascere un sospetto.

 

Quale?

Se si dice che si vuole evitare l'accanimento terapeutico, non avrebbe senso sollevare obiezione di coscienza, ma se si obbliga a non sollevare obiezione di coscienza, si riconosce che si sta chiedendo qualcosa che va contro la tua coscienza, ma ti obbligo di eseguire ugualmente. Qui non siamo di fronte a una sospensione di accanimento terapeutico, perché riportando tutto sulla autodeterminazione e la possibilità di disporre della propria vita si apre la strada a quella eutanasia per omissione della quale nessuno vuole più parlare.

Maria Luisa Di Pietro

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