Il Papa sa difendersi da solo, ma i cattolici dovrebbero davvero imparare a “difenderlo” con intelligenza e cuore contro gli attacchi politici, satirici, polemici, ciechi, di chi non riesce a guardare oltre il proprio naso.
del 15 novembre 2006
Nelle nostre famiglie cristiane si insegna ai piccoli a ringraziare sempre il Signore, prima di prendere cibo, con una breve preghiera e il segno della croce… perché educa a non dare per scontato il pane quotidiano”. Ecco, non è che sia sistemato per sempre il problema della fame nel mondo – la fame nel mondo, si sa, la sistemano alla Fao – ma senz’altro anche i bambini, e addirittura i loro genitori, avranno capito cosa ognuno può fare perché tutti possano avere “non il ‘mio’, ma il ‘nostro’ pane quotidiano”.
Oppure, la famiglia: “E’ necessario pregare senza mai stancarsi e perseverare nel quotidiano sforzo di mantenere gli impegni assunti il giorno del matrimonio”.
Oppure, il senso del giorno dei morti: la morte “non mostra più il ghigno beffardo di una nemica, ma come scrive san Francesco nel ‘Cantico delle creature’ il volto amico di una sorella”.
Il Papa che parla difficile, il Papa inchiodato alla dottrina, il Papa da prendere in giro perché non sa comunicare, ammesso che abbia da dire. Questo è il Papa spesso adocchiato nelle chiacchiere giornalistiche, o in quella che in un tempo felice e perduto si chiamava “la satira”, dentro e fuori la tivù. Benedetto XVI invece, o il professor Ratzinger come talvolta lo si chiama, nelle brevi riflessioni proposte all’Angelus, o nelle udienze del mercoledì in cui da tempo conduce una catechesi semplice ed essenziale, parla della fede e delle cose con parole così semplici e cristalline – cioè che ci si può guardare in fondo – che persino a essere Maurizio Crozza lo si capirebbe.
Come l’hanno capito i giovani radunati lo scorso anno a Colonia, a cui non sciorinò una riflessione astratta, ma disse: “La felicità che cercate, la felicità che avete diritto di gustare ha un nome, un volto: quello di Gesù di Nazareth… Vi ripeto oggi quanto ho detto all’inizio del mio pontificato: ‘Chi fa entrare Cristo nella propria vita non perde nulla, nulla – assolutamente nulla di ciò che rende la vita libera, bella e grande’”.
 
Forse che vediamo la ragione?
Forse Benedetto XVI sa spiegarsi in modo così semplice perché la vede, la semplicità. A un bambino che in piazza San Pietro, in uno strabiliante (per il tono dei contenuti) incontro con i ragazzi della prima comunione, gli domandò: “La mia catechista mi ha detto che Gesù è presente nell’Eucaristia. Ma come? Io non lo vedo!”, domanda che stenderebbe più di un genitore e di un teologo, rispose: “Sì, non lo vediamo, ma ci sono tante cose che non vediamo e che esistono e sono essenziali. Per esempio, non vediamo la nostra ragione, tuttavia abbiamo la ragione”. E giudicate voi se l’affermazione stia molto più in basso di quelle di Ratisbona.
E adesso prendetelo in giro, fa parte delle civili libertà. Ma state attenti a prendere di mira, almeno, la persona giusta. Perché poi finisce che per scherzare sul Papa tocca raschiare il barile del “panzer di Dio”, del dandy del dogma, del cattedratico imbalsamato che condanna tutto ciò che vede muoversi sotto il cielo di Dio. Invece, spesso, dice cose così aderenti al vero che le capirebbero anche i grandi, se non fossero sempre così impegnati a rafforzare gli stereotipi con cui non riesce più a nominare niente: vita, morte, addirittura la fame. Così, persino quando il Papa ha invitato a “trovare l’equilibrio tra l’interiorità e il lavoro necessario”, la frase è finita rubricata in Internet alla voce “notizie curiose”.
Recenti sketch di qualità “dopolavoristica” hanno fatto saltare la mosca al naso all’Avvenire. Paolo Martini sulla Stampa ha spiegato che quello che (dovrebbe) far ridere di Benedetto XVI è la sua incapacità di comunicare. Forse perché parla troppo semplice.
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