L'Australia stringe sui social media, saranno vietati ai minori di 16 anni di età. La legge riguarderebbe i più popolari siti come Facebook, Instagram, X o TikTok, e impone alle piattaforme digitali l'obbligo di misure adeguate per evitare l'accesso dei minori, pena multe elevate (fino a oltre 30 milioni di dollari). Il motivo è così riassunto dal Primo Ministro: «Siamo di fronte ad un problema globale e noi vogliamo che i giovani vivano essenzialmente la loro infanzia».
Il divieto entrerà in vigore tra un anno, c'è già chi esprime qualche perplessità sul suo funzionamento e l'impatto sulla privacy. Altri avvertono che le restrizioni saranno facilmente aggirabili.
Mi aspettavo una reazione mediatica più importante, una levata di scudi generale. Non entro nel merito del provvedimento in sé: social sì, social no; perché fino a 16 anni, e perché non fino a 14, ecc. Il rischio come sempre è quello di fermarsi al “non”, cioè su quello che non è possibile fare, in questo caso interdire l’uso dei social ai minori di 16 anni.
Personalmente trovo l’iniziativa interessante per un altro motivo, il fatto che degli adulti (che appartengono alla galassia anglosassone… non mediterranea, cosa da non trascurare) decidano di tracciare un “limite”. In altre parole, così a me sembra, tentare di educare al fatto che il “limite” non è una “obiezione” alla vita, ma una “condizione”.
Del limite ne sa qualcosa Giacobbe che, nella Bibbia, si trova a combattere con un personaggio misterioso (Dio?) che gli sbarra il passo, da questa lotta Giacobbe uscirà segnato, praticamente zoppo. O Ulisse, che trova nelle colonne d’Ercole un motivo per alimentare il proprio desiderio. O, ancora, come ricorda Recalcati sul suo libro sull’Antico Testamento: «il godimento umano non può godere di tutto, o, se si preferisce, può godere di “tutto, tranne tutto”, come scrive efficacemente Beauchamp […] il “non tutto” dell’uomo rende possibile l’esistenza dell’Altro».
So long!
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