“In quel preciso momento”. Inizia così il brano evangelico di oggi. Ci chiediamo come mai Luca mette questa notizia che viene riportata a Gesù – un crimine commesso da Pilato – “in quel preciso momento”. Significa che vuole collegare quello che poi Gesù dirà come commento alla notizia che Gli viene riferita, vuole legarlo a quello che Gesù stava trattando “in quel preciso momento”.
Stava parlando dei “segni dei tempi”, come la gente sapeva prevedere la pioggia, il vento, il bel tempo e poi non sapevano riconoscere invece il tempo della venuta del Signore: “Voi fate molta attenzione ai segni meteorologici perché dovete gestire la vostra vita, ma non fate attenzione ai segni dei tempi di Dio, non vi rendete conto che un’alba nuova sta per sorgendo all’orizzonte, un mondo nuovo sta iniziando”. Anche noi prestiamo attenzione e giustamente a molti “segni” che riteniamo importanti: i segni della Borsa e della finanza, delle tendenze e della moda, e ai nuovi modelli di macchina, di cellulare che stanno progettando. Gesù ci spinge però a prestare attenzione all’opportunità unica che ci è offerta di riflettere sul senso della vostra vita attraverso la parola del vangelo che Lui ci vuole annunciare. È un richiamo particolarmente importante per chi di noi desidera vivere la Quaresima: ci preoccupiamo di tutti i segni dei tempi a cui accennavamo prima, ma il tempo della venuta del Signore della nostra vita forse non lo sappiamo riconoscere. Vale la pensa rifletterci, imparare, perché ne va della nostra vita.
Mentre stava parlando di queste cose, “in quel preciso momento”, ecco dunque che arrivano a riferirgli due fatti di cronaca: un crimine commesso da Pilato e l’improvviso crollo di una torre presso la piscina di Siloe. Pilato non era un uomo dal cuore tenero. Gli storici tramandano vari episodi drammatici che lo hanno avuto come protagonista. Il Vangelo di oggi ne racconta uno: un gruppo di Galilei, quindi delle terra di Gesù, erano andati a Gerusalemme, probabilmente a compiere il voto, pregare il Signore nel Tempio, a trascorrere qualche giorno di gioia nella città santa, e Pilato aveva fatto intervenire i suoi soldati nel luogo santo e li aveva uccisi, aveva fatto scorrere il loro sangue insieme al sangue del sacrificio che stavano offrendo. Un crimine orribile, non viene riferito dagli storici del tempo, da Giuseppe Flavio, però corrisponde al carattere brutale di Pilato: lo storico Agrippa Primo descrive Pilato come un tiranno corrotto, avido, lo accusa di peculato, insulti, ruberie, esecuzioni senza processo, crudeltà senza fine… questo il ritratto di Pilato. Quindi si addice al suo profilo anche questo crimine. Cosa doveva essere successo nel tempio? Alcuni pellegrini giunti dalla Galilea (tra l’altro i galilei erano persone sospette, perché le rivolte partivano sempre dalla Galilea, e anche durante il processo a Gesù il fatto che lui fosse un galileo era sospetto già per principio) dovevano aver scambiato qualche battuta un po’ pesante con le guardie – accadeva, perché le guardie rimanevano fuori dal sacro recinto, ma qualche battuta i pellegrini la facevano, poi magari dalle parole sono passati a una rissa e Pilato, che durante le feste si trovava a Gerusalemme, per assicurare l’ordine, perché non voleva che ci fossero sommosse, ha fatto intervenire i suoi soldati senza alcun rispetto per il luogo santo e ha fatto massacrare questi galilei. Un gesto brutale e sacrilego, un oltraggio al Signore, una provocazione nei confronti del popolo che considera il tempio dimora del suo Dio. Lì persino i sacerdoti, anche d’inverno, devono camminare scalzi.
Quando abbiamo a che fare con orrendi crimini (rappresaglie o attentati) sorge in ognuno di noi una reazione rabbiosa: bisogna che i colpevoli siano travati e puniti. Come diceva mia nonna quando guardavamo alla televisione le notizie degli attentati delle Brigare Rosse: arriva anche per loro la punizione di Dio. Mia nonna era una brava persona, e andava a messa quasi ogni giorno. Eppure le veniva spontanea questa reazione emotiva profonda che ci appartiene molto, sia a chi non crede molto (ci sarà una giustizia prima o poi, da parte di qualcuno), sia a chi crede un po’ di più (Dio punirà le persone che fanno del male).
Perché il Signore non ha punito i responsabili di questo crimine? I farisei danno una risposta che, se ci pensiamo, sotto sotto, anche noi coltiviamo. Dio è “giusto” e quindi non castiga ingiustamente, non colpisce mai nessuno se questo non ha commesso qualcosa di brutto. Quindi, se Dio ha permesso che quei galilei fossero uccisi, significa che, in qualche modo, avevano delle colpe. Ma questo modo di pensare è tremendo, inaccettabile: il responsabile di questa cosa cattiva (di questo “peccato”), peccatore è Pilato, e quelli cattivi sono i soldati romani.
Quelli che vanno a riferire a Gesù l’accaduto forse pensa di fargli dire qualcosa di severo, un giudizio duro di condanna contro questa cattiveria dei romani. Magari pensa di coinvolgerlo in una rivolta. Di fronte a un crimine così orribile è inaccettabile qualunque invito alla pazienza e al perdono.
Gesù sorprende i suoi interlocutori: non perde la calma, e non dice parole incontrollate. Anzitutto esprime una riflessione che va presa molto sul serio: Dio non punisce mai, nemmeno con la morte, noi peccatori. Questo è una convinzione radicale di Gesù, che mette una chiarezza definitiva nelle nostre anime: Dio non fa mai il male, per nessun motivo, quella che noi chiamiamo “giustizia” (dare i premi a chi si comporta bene, e punire chi si comporta male) non è come si comporta Dio con noi. Dio vuole bene agli uomini che per Lui sono tutti da perdonare: questo è il desiderio costante di Dio.
Poi Gesù invita a cogliere una lezione da questo avvenimento: va letto – dice - come un richiamo alla conversione. Per chiarire meglio il suo pensiero ricorda un altro fatto di cronaca: la morte di diciotto persone, provocata dal crollo di una torre, avvenuto probabilmente durante la costruzione di un acquedotto presso la piscina di Siloe. Queste persone – dice Gesù- non sono state punite a causa delle loro colpe: sono morte per una fatalità, al loro posto potevano essercene altre. Anche questo avvenimento dve essere letto come un richiamo alla conversione. La risposta di Gesù sembra eludere il problema.
Perché egli non prende posizione di fronte al massacro? Sorprende la sua risposta perchè egli è sempre stato molto concreto e non ha certo paura di dire ciò che pensa. Le strutture oppressive (e quella di Pilato è tale) in genere sono molto solide, hanno radici profonde, si difendono con mezzi potentissimi. È davvero un’illusione pensare che possano venire rovesciate da un momento all’altro. Qualcuno crede che il ricorso alla violenza possa essere un modo efficace, rapido e sicuro per ristabilire la giustizia. È la peggiore delle illusioni! L’uso della forza non produce nulla di buono, non risolve i problemi, ne crea soltanto di nuovi e più gravi. Gesù non si pronuncia direttamente sul crimine commesso da Pilato. Non vuole lasciarsi coinvolgere in quelle inutili conversazioni in cui ci si limita a imprecare e a maledire. Egli non è certo insensibile alle sofferenze e alle disgrazie, si commuove fino alle lacrime per amore della sua patria.
Tuttavia sa che l’aggressività, lo sdegno, l’ira, l’odio, il desiderio di vendetta non servono a nulla, anzi, sono controproducenti. Questi sentimenti portano solo a gesti sconsiderati che complicano ancora di più la situazione. Il richiamo di Gesù alla conversione è un invito a cambiare maniera di pensare.
I giudei coltivano sentimenti di violenza, di vendetta, di rancore contro gli oppressori. Questi non sono i sentimenti di Dio. È urgente che rivedano la loro posizione, che rinuncino alla fiducia che ripongono nell’uso della spada. Purtroppo non sono disposti alla conversione e così, quarant’anni più tardi, periranno tutti (colpevoli e innocenti) in un nuovo massacro.
Gesù non cerca di sfuggire al problema, propone una soluzione diversa. Rifiuta i palliativi. Invita a intervenire alla radice del male. È inutile illudersi che possa cambiare qualcosa semplicemente sostituendo coloro che detengono il potere. Se i nuovi arrivati non hanno un cuore nuovo, se non seguono una logica diversa, tutto rimane come prima. Sarebbe come cambiare gli attori di uno spettacolo senza modificare il testo che devono recitare.
Ecco la ragione per cui Gesù non aderisce all’esplosione collettiva di sdegno contro pilato. Egli invita alla conversione, propone un cambiamento di mentalità. Solo le persone divenute diverse, solo persone dal cuore nuovo possono costruire un mondo nuovo. Questa e la soluzione definitiva.
Quanto tempo si ha a disposizione per operare questo cambiamento di mentalità? Può essere dilazionato di qualche mese, di qualche anno? A queste domande Gesù risponde nella seconda parte del vangelo di oggi (vv 6-9) con la parabola del fico.
Nella Bibbia si parla spesso di questa pianta che, due volte all’anno, in primavera e in autunno, dà frutti dolcissimi. Nei tempi antichi, era il simbolo della prosperità e della pace (1Re 4,25; Is 36,16). Nel deserto del Sinai gli israeliti sognavano una terra con abbondanti sorgenti d’acqua, campi di grano e… alberi di fico (Dt 8,8; Nm 20,5).
Il messaggio della parabola è chiaro: da chi ha ascoltato il messaggio del Vangelo, Dio si attende frutti deliziosi e abbondanti. Non vuole pratiche religiose esteriori, non si accontenta di apparenze (in primavera, il fico dà frutti, prima ancora delle foglie), ma cerca opere di amore.
A differenza degli altri evangelisti che parlano di un fico sterile che è fatto seccare all’istante o quasi ( Mc 11, 12-24; Mt 21, 18-22), Luca, l’evangelista della misericordia, introduce un altro anno di attesa, prima dell’intervento definitivo. Egli presenta un Dio paziente, tollerante con la debolezza umana, comprensivo per la durezza della nostra mente e del nostro cuore.
Questo atteggiamento longanime però non va inteso come indifferenza di fronte al male, non è un’approvazione della negligenza, del disinteresse, della superficialità. Il tempo della vita è troppo prezioso perché se ne possa sprecare anche un solo istante. Non appena si scorge la luce di Cristo è neccessario accoglierla e seguirla, immediatamente.
La parabola è un invito a considerare la Quaresima come un tempo di grazia, come un nuovo << anno prezioso>> che viene concesso al fico (ogni uomo) per dare frutti.
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