Nel nostro immaginario abbiamo tutti un gregge di pecore, con qualche cane al seguito, un pastore piuttosto trascurato: vita dura la sua... Si vede subito se è il padrone o se è stato pagato. Ma abbiamo in mente anche un'altra immagine... Un pastore con una pecora sulle spalle... Raffigura un dramma d'amore...
del 06 dicembre 2005
 
 
È bellissimo quando si cammina in montagna a respirare aria fresca, magari arrancando sotto uno zaino, con amici accanto che in silenzio senti col fiatone. E ancora più bello quando sei vicino alla meta, quando per esempio stai andando alla Santissima Trinità, a quel bel santuario sotto la roccia e l’ultimo pezzo ti spacca le gambe; allora ti siedi a prendere fiato. Non ti sposteresti più se non ci fosse la meta vicina, se dentro dite non ti fossi deciso di arrivarci costi quel che costi. Il tuo amico a fianco ti dice: alzati. camminiamo.
Molte volte nella vita siamo a terra, abbiamo giù la catena non c’è più niente che ci motiva. E dolore insopportabile, è tradimento, è perdita di fiducia, è sentirsi ingannato, è un’offesa che brucia, è rimorso per errori stupidi che ci sembravano scelte nobili e coraggiose. Siamo seduti e stanchi e non abbiamo più forza di rialzarci. C’è un peso più grande di noi che ci incolla al pavimento. ci schiatta a terra. È paralisi pura. Non si muove più niente.
E così per quel povero uomo che quattro amici fantasiosi e coraggiosi. impudenti e decisi, calano davanti a Gesù scoperchiando il tetto della casa in cui sta parlando. S’era rifugiato in casa per difendersi dall’assalto della miseria, ma la miseria è più forte delle convenienze e soprattutto l’amicizia la vince sulle convenzioni. Gesù dice all’uomo paralizzato: alzati e cammina. E un comando perentorio, che non ammette tergiversazioni. È una liberazione, è infusione di energia nuova. E quello si rimette in piedi a camminare. Abbiamo bisogno tutti di essere rimessi in piedi, di tornare a camminare diritti nella nostra umanità e dignità. La vita spesso ci piega. ma con Dio siamo più forti delle disgrazie e del male.
E’ anche questa la nostra attesa, che diventa speranza certa se è condivisa con gli altri. Farei un monumento a quei quattro amici che hanno calato dal tetto quell’uomo distrutto e immobile. Se avessimo noi alcuni amici che non ci lasciano soli quando siamo giù di corda, quando siamo disperati. Sono la concretezza della speranza di cui sentiamo l’urgenza.
Ma questa speranza dove la trovo?
mons. Domenico Sigalini
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