Non mancano le novità in “Nessuno è solo”, terzo ispirato album della sua brillante carriera. Un lavoro che vive di contrasti nei testi, mentre le sonorità si fanno più intime. E lo conferma artista di vaglia.
del 04 settembre 2006
È stato in silenzio per tre anni, quasi un’eternità per chi fa il mestiere del musicista in questi tempi convulsi, dove i cambiamenti sono rapidi e si cade in fretta nell’oblio. Ma era difficile dimenticarsi di Tiziano Ferro, artista che con due album, Rosso relativo e Centoundici, ha venduto oltre tre milioni e mezzo di copie andando anche alla positiva conquista dei mercati internazionali.
È piaciuta a molti la sua miscela di pop, moderna musica nera e melodia all’italiana, risultante delle sue passioni sonore coltivate in gioventù cantando prima nel coro gospel della sua città, Latina, poi accompagnando come corista altri artisti, come i Sottotono e gli ATPC. Una miscela, comunque, che è sembrata, quando è arrivata, una ventata d’aria fresca improvvisa passata a spazzare un po’ di polvere depositata da anni sul vecchio mobilio della canzone nostrana.
Il difficile era tenere il vento in poppa, mantenere il sapore della freschezza, e Tiziano Ferro ci è riuscito finora assai bene. Non meraviglia più di tanto, quindi, che alla terza fatidica prova, come richiede la cabala delle sette note, l’artista ci abbia pensato su per benino, anche se poi ogni album è decisivo per una carriera.
E nel pensarci, Tiziano è andato un po’ in giro per il mondo, annotando suggestioni ed emozioni in ordine sparso. Le ha quindi riordinate nelle undici canzoni di Nessuno è solo, lavoro di ampio respiro, dove Ferro mette da parte certo furore ritmico per aprirsi a una dimensione più intima, più autoriale, ma in chiave squisitamente pop. Il risultato è la prevalenza di brani mid-tempo e di ballate su quelli mossi, ma va bene così. Il disco convince e si getta nella mischia internazionale con coraggio. Nessuno è solo è pubblicato in contemporanea in 44 Paesi del globo: una sfida che Tiziano è in grado di vincere.
 
Sono trascorsi tre anni dalla tua ultima fatica. Come sei arrivato a questo nuovo appuntamento?
Provando a mantenere il più possibile vergine il rapporto con la scrittura dei pezzi, condizione non facile da perseguire. Ho cercato di arrivare al disco evitando di pensarci in modo ossessivo. E l’unico modo per riuscirci era di non fami prendere dalla frenesia. Per questo, sono passati tre anni: solo dandomi il tempo necessario perché i brani maturassero in maniera spontanea potevo raggiungere un risultato soddisfacente, che mi convincesse dalla prima all’ultima nota.
È stato più facile realizzare i precedenti dischi?
Sono storie diverse. Il primo album era il frutto di tante canzoni composte durante l’adolescenza, ovviamente poi rielaborate e selezionate; il secondo già viveva di esperienze differenti, nate dall’entusiasmo per i risultati ottenuti nell’aver intrapreso questa carriera, ma comunque concepito con input ancora liberi da condizionamenti. Per quest’ultimo, ho preferito aspettare, sfuggendo anche alla legittime pressioni della mia casa discografica.
Come hai impiegato questo tempo?
Ho viaggiato, in una specie di vacanza-lavoro. Sono stato negli Stati Uniti, in America Latina e soprattutto in Messico, dove ho abitato per quasi un anno. La mia intenzione era di sfuggire gli stereotipi di chi fa questa professione. Non sono un tipo mondano e quel genere di vita trovo che inaridisca la voglia di scrivere. Preferisco visitare Paesi diversi dal nostro: lo considero uno dei modi migliori per superare certe barriere mentali e mi dà sempre grandi stimoli. Non a caso ogni canzone mi ricorda un luogo in cui sono stato, sono una sorta di fotografie musicali.
A proposito di fotografia, tu ne sei un grande appassionato.
Il mio sogno nel cassetto è pubblicare un libro con le mie foto e spero che, prima o poi, diventi realtà. Per adesso, non ho ancora raggiunto quel livello professionale necessario per produrre un portfolio artisticamente valido, però penso di essere sulla buona strada.
Perché ti piace fotografare?
Riproduce in sé una serie di atteggiamenti intimi, come la cattura di un momento, l’istinto, il colpo d’occhio, l’impressione, condizioni che ritrovo quando compongo un brano. Rappresenta bene il mio carattere. Vivo il processo di scrittura in modo passionale e solitario, quindi vedo le canzoni come delle foto: alcune con colori caldi, altre con tinte fredde, altre ancora sfocate, che vorresti correggere ma non puoi più…
Le «foto-canzoni» di questo album hanno colori contrastati: luce-buio, coraggio-paura, dolore-gioia… Per quali ragioni?
Ritengo si debba incominciare dall’individuo per cambiare il mondo. E per farlo è fondamentale osservare ogni aspetto della vita. Solo così ci si può conoscere, capire, cambiare, e cercare di risolvere i conflitti all’interno di se stessi, per poi proiettarli nel mondo stesso, proprio perché “Nessuno è solo”. La musica è lo specchio di tutto ciò e per me è la risposta a qualsiasi stato d’animo: quando sto male scrivo una canzone, quando voglio gioire metto lo stereo a palla e mi diverto con gli amici… Ha, insomma, una funzione propedeutica.
Sembri aver lasciato da parte i colori della black music sterzando verso un disco quasi d’«autore». Era questa la tua intenzione?
Ho voluto allontanarmi dall’etichetta di musicista black che qualcuno mi aveva già cucito addosso. Non rinnego il passato, intendiamoci, e amo ancora quel genere in maniera viscerale, ma avevo intenzione di compiere altri viaggi nelle sette note. Non amo essere ingabbiato, per questo definisco ciò che faccio come musica pop. È un genere che molti addetti ai lavori denigrano rispetto ad altri perché ritenuto meno impegnativo. Invece è uno stile privo di schemi, che ti spalanca le porte su qualsiasi altro orizzonte sonoro e ti permette di essere popolare nel senso migliore del termine. Sono felice se le mie canzoni arrivano a chi si alza al mattino per andare al lavoro o a scuola, non mi piacerebbe cantare solo per un pubblico selezionato. Alcuni artisti sono ghettizzati e non escono dal loro recinto. Li rispetto, ma non è il mio caso. Preferisco seguire altre strade, orgoglioso di essere pop. 
Claudio Facchetti
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