Un cucchiaio di miele o un pizzico di sale? Per lo scrittore francese Georges Bernanos non v'è dubbio: “Il buon Dio non ha scritto che noi fossimo il miele della terra, ma il sale”. Otto giorni fa le campane suonavano a festa e l'intero Vangelo, in quell'alba tutta ebraica, era un frenetico ed eccitato prepararsi all'alba della Risurrezione.
del 21 aprile 2009
Un cucchiaio di miele o un pizzico di sale? Per lo scrittore francese Georges Bernanos non v'è dubbio: “Il buon Dio non ha scritto che noi fossimo il miele della terra, ma il sale”. Otto giorni fa le campane suonavano a festa e l'intero Vangelo, in quell'alba tutta ebraica, era un frenetico ed eccitato prepararsi all'alba della Risurrezione. Una gioia così irrefrenabile che la Liturgia - catechista delicata e intraprendente - prolunga di otto giorni la gioia di quell'istante. Anche oggi è Pasqua. Il mattino di Pasqua, sulla soglia del sepolcro vuoto, la scommessa era di credere nell'incredibile: la morte era stata sconfitta per sempre. Oggi la scommessa è di arrestare la corsa innamorata di quegli apostoli che, da timidi e fuggiaschi, si trasformano in una generazione di fenomeni. E' bastato un annuncio - “Non è qui, è risorto” - per svegliare il loro cuore, accendere i loro passi, far esplodere la loro passione. E in questi giorni i Vangeli, resoconto emozionato ed emozionante di quella Speranza, registrano la fotografia di mille incontri. Gli incontri del Risorto con la gente semplice, con popolani e santi anonimi. E' l'incontro tra la Bellezza e l'umanità: l'incontro con Pietro, la roccia che prendeva sempre la parola per primo; Giovanni, Giacomo e il loro desiderio di primeggiare sempre fino a risultare un po' antipatici nel gruppo; Marta, la donna che si lamentava sempre; Maria di Magdala, quella che aveva ospitato sette demoni. E poi Tommaso, gemello e primogenito di tutti i figli di questo inizio di millennio invasi dal dubbio della fede, dalla fatica del credere, dalla lacerazione della Parola di Cristo. Quella che somiglia al sale.
 
Qualche attimo dopo la Risurrezione l'impresa era già orchestrata: occorreva bloccare l'entusiasmo di quei “folli di Dio” disposti a tutto pur di non tacere quello che avevano visto e udito, quello che li aveva trasformati e ri-accreditati. Lancinante il Vangelo quando mostra il suo lato avventuriero e attuale. Perchè oggi il tentativo non cambia: spezzare i voli ai testimoni, spegnere gli sguardi degli innamorati, trasformare il sale del Vangelo nel miele degli uomini. Ma tra il sale e il miele ci sta il “di più” di un messaggio che ancor oggi interpella l'uomo che, sotto il sole e la canicola, va cercando il sentiero della felicità. Uomini di Galilea come Pietro e Paolo - santi tutt'altro che scontati - parlavano il linguaggio del tempo per accendere la nostalgia del cielo, il fascino dell'Eterno, la Bellezza del Risorto. Gente tenace e nobile, coraggiosa e ardita, spericolata e infiammata che entrava dentro le pieghe della storia, che provocava e non risparmiava, che accendeva fuochi ovunque perchè divorata dal fuoco di Cristo. Uomini ai quali Cristo non ha mai chiesto come prima cosa di cambiare, ma li ha amati e accettati così com'erano: irruenti, spacconi, miserabili, orgogliosi. E, accettati, sono cambiati. Hanno tradito, sono fuggiti, hanno tremato: ma ora non temono il giudizio degli uomini. Hanno stile nei loro movimenti, uno stile che conquista, divide e accende. Lo stile di un cristianesimo capace di incunearsi nelle pieghe e nelle piaghe di gente ferita fino a trasformare il cuore dell'uomo.
Porgessimo l'orecchio sull'uscio del Vangelo, udremmo squilli di tromba e tintinnio di campane in questi giorni di letizia pasquale. Le trombe degli uomini, le campane dei discepoli. Trombe e campane che fanno le prove per comporre un unico concerto. Trombe che invitano le campane e campane che s'uniscono alle trombe: ancor oggi la sfida è bella perchè - parola di Salvatore Natoli - “l’ateo può non essere turbato da quel che il cristianesimo annuncia, dal contenuto improbabile di questa fede, ma di certo è turbato dal fatto che vi siano uomini capaci di essa”.
Uomini capaci di sale.
 
 
don Marco Pozza
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