Il nesso fra la morte di Melissa e la protesta contro la mafia è debole come quello fra il morso di un cane e una manifestazione contro le zanzare: quest'ultima non soccorre la ragazza morsa dal cane come quell'altra non fa risorgere Melissa. Siamo davvero arrivati a sperare giustizia dalla criminalità? a scendere in piazza contro la mafia («nella testa») e al tempo stesso, «nella pelle», a suo favore?
del 25 maggio 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 
          C’è aria di manifestazioni, in questi giorni. Nelle classi girano insegnanti e rappresentanti per chiedere di scendere in piazza. Mi dispiace, ma a me viene in mente Melissa, il suo funerale nel giorno del secondo compleanno di mio figlio, e non riesco a trattenere il pensiero che anche queste manifestazioni, come tanti discorsi che si stanno facendo, non fanno che eliminarla. Rimane solo la nostra reazione, mentre sparisce Melissa, sparisce la realtà, sparisce la ferita che quel fatto ha aperto nel nostro cuore, le domande che si affollano dentro di noi: per che cosa vale la pena vivere se tutto può andare a finire così? Speriamo di cavarcela, che le disgrazie non ci tocchino, oppure c’è qualcosa che ci permette di stare di fronte alla vita e alla morte?
          Il nesso fra la morte di Melissa e la protesta contro la mafia è debole come quello fra il morso di un cane e una manifestazione contro le zanzare: quest’ultima non soccorre la ragazza morsa dal cane come quell’altra non fa risorgere Melissa. Mi ha detto un mio alunno: «Melissa ormai è morta: cos’altro possiamo fare se non manifestare?». È l’onesta constatazione che Melissa non c’entra niente con la manifestazione, è un puro pretesto per chi ha bisogno di ridirsi da solo che, «nonostante gli episodi che hanno macchiato la nostra comunità esiste una coscienza civica sana che lotta per la legalità», come è scritto sul volantino distribuito nel mio liceo.
          Eppure ci andiamo: che inganno educativo da parte di quegli adulti che invitano tutta la scuola a partecipare compatta e non si accorgono che può trattarsi solo di un modo per coprire il fatto che il cuore non è stato ferito da questa bomba, come non è stato ferito dal terremoto in Emilia! Nemmeno le tragedie strappano il cuore al disumano che avanza? all’impulso barbarico di aspettare con spranghe per ore un brindisino che qualche giornalista ha frettolosamente additato come stragista? al compiacimento con cui si dà ragione a un presunto affiliato alla Sacra Corona Unita che, intervistato dalla principale emittente meridionale, sentenzia di fronte a una sorridente intervistatrice che se l’attentatore dovesse capitare nelle mani della Sacra Corona Unita finirebbe con «una colata di cemento, murato vivo»? Siamo davvero arrivati a sperare giustizia dalla criminalità? a scendere in piazza contro la mafia («nella testa») e al tempo stesso, «nella pelle», a suo favore?
          Mi viene spesso in mente Giorgio Gaber: «Ho voluto andare ad una manifestazione, i compagni, la lotta di classe [o alla mafia], tante cose belle, che ho nella testa ma non ancora nella pelle. Un’idea, un concetto, un’idea, finché resta un’idea è soltanto un’astrazione: se potessi mangiare un’idea, avrei fatto la mia rivoluzione».
          «Nella testa» siamo pieni di slogan, «nella pelle» c’è tutt’altro. Ed è quest’altro che viene coperto dalle liturgie collettive. Ma perché non impariamo dalla storia? Ancora Giorgio Gaber, in uno splendido monologo del 1973, si domanda:E Giuseppe? No, no, no, Giuseppe è un nostro amico, no, che io non vedo da un sacco di tempo. Lui sta lì, abita lì vicino. Lo vede praticamente tutti i giorni. Ho saputo che è stato male, che ha avuto dei casini, gravi anche, la moglie, così... cose proprio... Va be’, allora vado lì e gli dico: “Scusa, come sta Giuseppe?”.E lui: “Vedi, il capitalismo, nella misura in cui è costretto a reprimere i focolai, si scontra con le sue contraddizioni interne!”.“Sì” dico “è giusto... effettivamente... ma io adesso dicevo Giuseppe. Ho saputo che...”. “Ah!” fa lui “ormai lo sanno tutti, sì, lo sanno tutti. La CIA ha avuto il peso che ha avuto nel golpe!”.“Sì, sono d’accordo... no, no, sono perfettamente... ma adesso io dicevo Giuseppe... Giuseppe...!”. “Ah”, fa lui, “ma allora tu non hai seguito, è chiaro, non hai seguito. Dayan usa i Phantom degli americani, gli arabi hanno i SAM-6, lancia-missili, che i russi hanno dato a Sadat”. “Ma scusa, non era tuo amico?”“Chi, Sadat?”“Ma no, Giuseppe!”“Ma che importanza vuoi che abbia Giuseppe” mi fa lui “di fronte al Vietnam! Alla Cambogia!... Io soffro per altre cose!... Mi fa male il mondo!”.Mi fa male il mondo...? A me mi fa male Giuseppe... la moglie... i figli...          Riusciremo a guardare in faccia Giuseppe e Melissa? Potrà accadere davvero, almeno in questa occasione, il nostro pianto, il nostro silenzio? E c’è qualcuno che, anziché coprire il nostro pianto, potrà risponderci?
          Un giorno accadde che Gesù, passando da Nain, rimase commosso vedendo una madre che piangeva al funerale del suo unico figlio, e le si avvicinò per dirle un incredibile «donna, non piangere». Non sappiamo se quella donna sia rimasta in silenzio o abbia pianto sulla sua spalla, il Vangelo non racconta cosa abbia risposto. Io provo ad azzardare un’ipotesi di risposta a quel «non piangere» aggiornata al 2012:
          «Grazie, Gesù, del tuo cordoglio. In casi del genere non si può evitare di emozionarsi. Ma poi andremo avanti, torneremo alla normalità, riuscirò a elaborare il lutto, e cercheremo risposte concrete dalle istituzioni per uscire da questa crisi e aiutare soprattutto i giovani. Anzi, Gesù, domani tutti noi buoni e giusti andiamo a fare una bella manifestazione contro la mafia e per la legalità (parteciperanno l’associazione delle madri afflitte e quella dei nuovi farisei), con tanti striscioni con scritto “mai più”: sfideremo l'omertà del meridione e scaglieremo tante pietre contro il peccatore. Così passeremo dalle parole ai fatti, con azioni concrete con cui costruiremo un mondo migliore e una società più giusta. Gesù, già che ci siamo: vuoi venire?».
          Ecco, Gesù, non ci servi, ti abbiamo neutralizzato: noi sapienti facciamo da soli, grazie. Con le tue parole, la tua commozione, sei inutile. Saresti utile solo se salissi sul carro dei contestatori (come perfino tanti preti hanno fatto in questi giorni anche mentre salivano sul pulpito, parlando della mafia anziché di Gesù). Tu avresti anche una risposta, ma noi per te non abbiamo nessuna domanda. E sì, caro Chesterton: «il male non è che i sapienti non vedono la risposta, ma che non vedono l’enigma».
Valerio Capasa
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