Nel Pordenonese un 'caso Welby' al contrario: l'emigrante era in condizioni disperate... In Canada i medici staccano la spina e i parenti la fanno rientrare ma il cuore cede subito. La lunga trafila burocratica...
del 19 febbraio 2007
In Italia Ida ci voleva tornare per vivere, nonostante il cuore a pezzi, la respirazione artificiale e il pessimismo dei medici canadesi. 'Mi hanno detto che devo morire' - aveva scritto su un foglietto consegnato al fratello, appena arrivato dal Friuli, mentre l'èquipe medica della Terapia Intensiva di Vancouver si apprestava a staccare il respiratore. Per Ida il ritorno a Gleris di San Vito al Tagliamento, suo paese di origine, era diventato un sogno. Quel viaggio significava per lei una nuova speranza e per questo si rifiutava di lasciarsi morire. E' cominciata così l'odissea dei familiari per riportarla a casa, tra carte, permessi, aerei-ospedale da prenotare, piloti, medici e infermieri da reperire per l'accompagnamento, consulenze di specialisti e 69 mila euro da pagare in anticipo. Una battaglia conclusa vittoriosamente.
 
In Friuli Ida è arrivata senza risentire del viaggio. Ma solo tre giorni più tardi, domenica scorsa, il suo cuore ha smesso di battere. Aveva 69 anni, quaranta dei quali vissuti come emigrante in Canada. La storia di Ida è quella di un 'caso Welby' al contrario. Secondogenita di Cristina Infanti e di Isidoro Gasparotto, dopo la morte del padre, ancora in giovane età era stata allevata dalla madre e dalla nonna. Prima operaia tessile, poi sarta in un'azienda del Portogruarese, dopo il matrimonio con Louis Moretti l'11 novembre 1967 era partita per il British Columbia, l'estremo stato occidentale del Canada a ridosso di Seattle, dove il marito era occupato come panettiere a Burnaby, città di 200 mila abitanti confinante con Vancouver .
 
Sono stati quattro decenni di lavoro intenso, premiati dalla nascita di due figli e dalla costruzione di una casetta, piccola ma piena di ricordi, portati da Gleris e dal Friuli ogni volta che la coppia faceva ritorno per una breve vacanza piena di nostalgia. Per di più, come nella natìa pianura friulana, c'erano le montagne sullo sfondo, con le cime imbiancate d'inverno, come tanti Monte Cavallo messi lì a nove fusi orari di distanza per non dimenticare.
 
Negli ultimi anni, però, il cuore di Ida si era ammalato. Nel 2000 le era stata inserita una valvola artificiale. Nell'agosto scorso il marito aveva subìto l'amputazione di una gamba e, subito dopo, le condizioni di Ida, per il deperimento della valvola, erano precipitate. A fine novembre era stata ricoverata in Terapia intensiva prima nell'ospedale di Burnaby, poi in quello Generale di Vancouver , dove i medici avevano deciso di collegarla alla macchina per la respirazione artificiale.
 
«Per i medici canadesi - riferisce il fratello Isaia Gasparotto, già parlamentare e attuale presidente di Ambiente Servizi - non c'era più nulla da fare. L'avevano avvisata della probabile imminente morte e che intendevano staccare il respiratore artificiale. In questi casi, infatti, secondo una concezione diversa dalla nostra dell'eutanasia, o l'ammalato riprende a respirare da solo, oppure in breve tempo subentra il decesso». E prosegue: «A quel punto, assieme alle altre mie sorelle, Palmira e Ivana, ci siamo attivati per il suo trasferimento in Italia, poichè Ida aveva fatto capire di ritenere il ritorno in Friuli come una sorta di ultima speranza di sopravvivenza. E, in effetti, questo solo pensiero era valso a far migliorare in qualche modo le sue gravi condizioni. Fortunatamente gli specialisti cardiologi e di terapia intensiva di Udine, di Pordenone e di San Vito si erano detti disponibili a occuparsi del caso».
 
L'azienda '118air' di Milano si è occupata dell'organizzazione del viaggio. Un jet della Canadian Global Air Ambulance, con a bordo Ida, è decollato da Vancouver alle 11 di mercoledì 7 febbraio. Dopo due scali a Churchill e Iqaluit per i rifornimenti, è atterrato in Islanda a Keflavik, dove, effettuato un cambio di aereo, Ida è ripartita giungendo a Ronchi dei Legionari dopo undici ore di volo alle 12,05 di giovedì scorso. Quindi il trasferimento in ambulanza attrezzata del 118 all'ospedale di San Vito.
 
Non aveva riportato conseguenze per il lungo trasferimento, anzi sembrava addirittura riprendersi. Ma domenica, verso mezzogiorno, le sue condizioni sono precipitate e il cuore ha definitivamente ceduto. 'Crediamo che una persona debba poter vivere fino alla fine delle possibilità. A nostra sorella, anche se le cose non sono andate come speravamo, abbiamo regalato un mese di vita in più. Ora vorremmo che da questa esperienza uscissero soluzioni meno onerose e complesse al problema del trasporto in patria dei nostri ammalati e che l'Italia si dotasse di mezzi adeguati a fronteggiare le tante emergenze'.
Lisa Rizzo
Versione app: 3.26.4 (097816f)