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Un giorno questo dolore ti sarà utile

In mezzo tra maturità e università ci sta un'estate in cui James Sveck prova ad emanciparsi da famiglia, ricordi e obblighi mortificanti. Povero James, è possibile crescere attorno ad una simpatica schiera di “non cresciuti”? Diventare adulti sembra un'impresa ardua. Una madre “evaporata” tra un matrimonio e l'altro, un padre manager con la fissa della giovinezza estetica...


Un giorno questo dolore ti sarà utile

da Attualità

del 08 marzo 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 

Il film in 160 caratteri

In mezzo tra maturità e università ci sta un’estate in cui James Sveck prova ad emanciparsi da famiglia, ricordi e obblighi mortificanti. Eccezionali gli aiuti!

LA DOMANDA

Vorrei crescere ma…

Povero James, è possibile crescere attorno ad una simpatica schiera di “non cresciuti”?

          Seguendo le avventure del giovane Sveck (giovane Holden?) diventare adulti sembra un’impresa ardua. Una madre “evaporata” tra un matrimonio e l’altro, un padre manager con la fissa della giovinezza estetica e di coppia, una sorella - Gillian con la g dura – che cerca il padre assente nella relazione con un prof attempato (e sposato!), un collega che passa il tempo con chat a sfondo sessuale: con questo “zoo” umano come si fa? Per fortuna un po’ più in là c’è una nonna dolce come il suo nome, Nanette (premio Oscar Ellen Burstyn), che per quanto anticonformista sa calibrare le parole, ascoltare e suggerire provocazioni strategiche.

          L’adolescenza, tempo per definizione della crisi d’identità, qui non trova i confini contenitivi entro cui regolarsi e oscillare in libertà. Ancora una volta gli adolescenti sono quelli che anagraficamente hanno già superato da parecchio tempo questa fase della vita. Così a quelli con l’età giusta per dirsi giovani non rimane né il tempo né il modo per dedicarsi al “male di vivere” come lo chiamerebbe Montale. La fragilità dei genitori non consente loro nessuna sorta di tregua emotiva in cui mettersi in discussione, scrutarsi, ribadirsi. In questo senso l’inizio del film di Faenza è una provocatoria ammissione del dramma dell’adultità. Le pene affettive della madre prendono il sopravvento rubandogli il palcoscenico perfino quando sta mettendo in scena - probabilmente per finta - un suicidio.

          Gli adulti hanno sempre interferito nella vita di un adolescente ma qui, simbolicamente, vanificano un discorso intimo e necessario dei più giovani. In questo contesto così affaticato e confuso a sorreggere la macrodomanda del “posso crescere?” si insinuano tanti altri micro interrogativi. Sono disadattato? Disturbato? Cos’è la normalità? Qual è la mia esperienza della sessualità? Credo nell’amore? Mi sposerò? Andrò all’università? Quale mestiere vorrei “essere”? Come vale la pena di spendere i soldi? Appurato che le domande sono l’alimento più nutriente della vita, va aggiunto che, se non ci fossero la nonna e la psicoterapista a farsene carico, James soffocherebbe tra pessimismo e attacchi di panico. Rimane il dubbio, purtroppo spaventoso, su chi siano realmente i disadattati. 

L’ESPLORAZIONE

L’adolescenza globale dal romanzo al film

          Roberto Faenza trae ispirazione per il suo ultimo film dall’omonimo romanzo Un giorno questo dolore ti sarà utile del 2007 di Peter Cameron (edizione italiana Adelphi). Ancora una volta il regista - professore dal 2004 di Teorie e tecniche della Regia Cinematografica alla Sapienza e autore di documentari e film tra cui I giorni dell’abbandono sulla crisi di coppia (Buy-Zingaretti) e Alla luce del sole dedicato alla storia di don Pino Puglisi -, mette un romanzo al centro del suo lavoro. Questa volta l’ispirazione letteraria è più ironica, arrabbiata ma non troppo e necessaria come il suo titolo. Seppur ambientato nella Grande Mela, il film sa raccogliere le assurdità dipinte da stranezze ormai globali che si registrano anche nel Belpaese. «Sono sempre più convinto – racconta infatti il regista – che l’adolescenza non può essere circoscritta per ragioni territoriali né di lingua o di nazione. Gli adolescenti odierni rappresentano una sorta di stato dell’anima di grandissima importanza per capire, come direbbe Freud, il disagio della civiltà in cui siamo immersi. Ma mentre lo scorso secolo si poteva ancora parlare di civiltà, oggi forse questo concetto andrebbe rivisitato, visti i guasti che si sono creati, a dispetto del progredire della scienza e della tecnologia».

          La potenza della scrittura diviene nel film la traccia che consente alla regia, al montaggio, alla colonna sonora e alle interpretazioni attoriali (molto bravo il ventunenne inglese Toby Regbo) di inserirsi al meglio. Merito di Cameron che con il suo romanzo fortemente ritmico regala all’esperienza filmica un perfetto equilibrio tra azione e pensiero. «Ho sempre avuto il sogno – spiega Faenza – di poter fare un film ispirato a Il giovane Holden di Salinger. Come è noto l’eccentrico scrittore non ha mai voluto cedere i diritti. Quando ho letto il romanzo di Cameron, che è una specie di Holden aggiornato ai tempi nostri, non ho avuto esitazione. Il romanzo si apre e si chiude con una “citazione”a Holden e poi, soprattutto, perché racconta lo stesso tragitto di un adolescente che non vuole adattarsi alla cultura dominante. Infine per la leggerezza e l’ironia con cui vengono raccontate le peripezie del giovane protagonista». Né esce un film a metà tra il drammatico e la commedia che diviene un «ritorno alle origini. Nel senso che mi legano a James – aggiunge il regista – i temi trattati nel mio film di esordio Escalation. Là però si raccontava di un giovane incompreso che alla fine diventava un mostro. Qui invece si racconta di un giovane incompreso che alla fine ha molto da insegnare».

 

LA PROSPETTIVA

Se l’adolescente consola l’adulto…

          James è un giovane sensibile e forse è proprio questo il suo “problema”. Oggi, nel contesto ben descritto dal film, la sensibilità rischia di essere un handicap che non aiuta a stare a galla.

          Lasciarsi scivolare le cose e le persone, “liquidare” dirà alla fine il protagonista parlando degli oggetti di Nanette, sembra la strategia per risultare vincenti e realizzare i propri obiettivi. A diciassette anni per James la parola obiettivo ha però un sapore fin troppo produttivo per la sua indole pensosa.

          Il teologo Armando Matteo nel suo libro La prima generazione incredula parla non a caso della giovinezza come «il lusso dell’aver tempo per decidere quale persona si intende essere». E’ l’agiata opportunità che vorrebbe anche James che rifiuta l’università soltanto perché la scelta rientra nel profilo che suoi genitori si sono fatti di lui. Su questo stranamente entrambi concordano; forse perché non ne hanno mai parlato davvero tra di loro e con lui. E inoltre James odia le cose che accadono per convenzione come il dover parlare con i propri genitori di un’eventuale omosessualità e il non doverne parlare affatto nel caso contrario. Fa riflettere che questo giovane rimproveri i genitori di voler parlare solo di quello che loro considerano un disagio.

          «La superficialità e il conformismo – come spiega lo stesso Faenza - portato avanti dal mondo degli adulti, che non si rendono conto di aver consolidato un tipo di assetto sociale, economico e culturale che fa acqua da tutte le parti. E mentre James è convinto dell’urgenza di un cambiamento epocale e non solo generazionale, loro corrono ignari verso il precipizio. James sogna di vivere in un mondo che è l’ esatto opposto di quello che gli viene proposto dall’imperante conformismo. Non vuole arricchirsi a spese degli altri, né diventare famoso, né fare l’avvocato o l’agente di borsa come vorrebbe suo padre. Preferirebbe invece vivere di poco, in campagna, magari facendo l’artigiano. Perfettamente in linea con i tantissimi giovani che fanno parte di Occupy Wall Street, movimento che si sta allargando a macchia di leopardo in ogni angolo d’America».

          Il film è costellato di tante piccole e godibili stoccate per il mondo adulto come lo stress causato da un menù di insalate troppo variopinto perché il lavoro non offre nel frattempo incombenze più utili o ritrovarsi a ripetere accompagnati da una voce proveniente dal nulla l’imperativo “L’amore non è mai sprecato. Il passato non determina il futuro. Puoi essere più di quanto credi” quando in realtà ogni giorno un adulto, ancor più un genitore, dovrebbe dimostrarlo con i fatti. «Un siffatto mondo adulto fortemente concentrato su se stesso – spiega nel suo libro don Armando Matteo - di fatto tenderà a mettere ai margini quello giovanile, che suo malgrado diventa un peso e soprattutto un temibile concorrente».

          Adulti che vogliono giudicare e decidere per gli altri piuttosto che accompagnare a trovare una strada. Adulti che vogliono aiutare, ma non sanno aiutare se stessi. Già questa contraddizione vanifica una relazione educativa. Eppure a parole quando devono rimproverare James per la stupidaggine dei suoi comportamenti, la madre e il padre sembrerebbero pure adeguati, illuminati, quasi in gamba ma è il contorno quotidiano del loro vivere che non è all’altezza dei loro moniti. E, per la carica esplosiva che lo caratterizza, un adolescente come il protagonista non perdona un atteggiamento così inconcludente. “Senti da qual pulpito viene la predica” è l’espressione usata da James nei confronti del padre che giudica la relazione della figlia con il “maturo” professore polacco. Diffida pure della madre che dice di non sapere cosa fare quando la soluzione è lì davanti ai suoi occhi (basterebbe essere un po’ più seri e veri o chiedersi “cosa vuoi?” come le suggerisce il figlio) o del suo terzo marito che ha bisogno di essere consolato da un ragazzo per sentirsi un uomo buono malgrado i suoi vizi. Senza parlare delle confidenze della madre che ammette di averlo sposato soltanto per solitudine, per sentirsi finalmente di nuovo tra le braccia di uomo.

          Vien da dire: lasciateli in pace questi adolescenti e cari adulti ritrovate un po’ di sana temperanza altrimenti i giovani a chi si ribelleranno? La sensazione è proprio quella di una società che sta sprecando le risorse dell’adolescenza e come spiega Faenza per evitarlo «bisognerebbe essere più sensibili e più attenti, mentre il mondo adulto tende a condannare tutto ciò che non gli somiglia con una sicumera e una superficialità davvero preoccupanti».

LA RIE-VOCAZIONE

Non le risposte ma le domande giuste

          Come tutti, a guardar bene, qualcuno di integrato, di “adattato” James accanto ce l’ha. Nanette e la psicoterapista colgono la sua profondità, sensibilità ed intelligenza. Con loro trova serietà e non severità, ascolto e non giudizio, interesse e non curiosità. Nasce quel refrigerio che consente di abbandonare un po’ alla volta quel “volevo morire” e, nel caso della life coach, di correre anche più veloce di lei. Entrambe le donne sono delle persone con precisi modi di vivere, comunicare e infine amare che sanno creare un pertugio nella sua anima forse più inascoltata che malata.

Nanette: “Un brindisi alla vita”

          Ma sono le parole dello stesso James che poco prima voleva morire? Nessun limite da addebitare alla sceneggiatura, se non piuttosto i verosimili netti contrasti dell’adolescenza che gli adulti devono sapere non drammatizzare e al contempo prenderseli a cuore. Come la nonna che se da una parte non minimizza quanto accaduto con John, il manager della galleria, dall’altro cerca comunque un’interpretazione autentica del perché un ragazzo sensibile sia giunto a compiere un gesto irrispettoso. Così come prende seriamente l’idea di James di acquistare una casa in campagna dove imparare un lavoro piuttosto di frequentare l’università o il fastidio di andare da una “strizzacervelli” quando lo ha deciso per lui una madre che ci va da anni senza evidenti risultati. Rispetto agli adulti che lo circondano, agli occhi di James Nanette nei panni di nonna non appare fuori posto. Sa sfuggire la banalità e per questo James si rifugia a conversare con lei. Sa fare le domande (giuste) al momento giusto e ogni tanto si permette di suggerisce anche qualche risposta con la saggezza che compete alla senilità (il dolore utile, il vivere pienamente, l’amare). Sa parlare anche delle cose faticose della sua vita come la relazione con la madre di James rassicurandolo che lei e la figlia ricominceranno a parlarsi quando quest’ultima saprà capire chi è indipendentemente dall’essere sua figlia. Semplicemente Nanette sa stare con James. Sa dosare parola e silenzio.

Sa aprire il suo cuore e per questo nel nipote trova una compagnia autentica anche per se stessa.

La “life coach”: non si dimostra un bidone.

          Poteva capitare come per i bidoni artistici della galleria di sua madre (la fiera della vacuità) e invece la life coach si rivela meno banale del previsto. Superata l’iniziale diffidenza che si impenna quando James non ritrova i prevedibili strumenti del mestiere (i frullati e le corse al posto del lettino!), il ragazzo si lascia condurre nel suo territorio interiore. Nel condurre questo viaggio psicologico che a livello cinematografico poteva diventare tutt’altro, il film mette in campo invece un montaggio parallelo tra gli eventi irrisolti della vita di James e i dialoghi con la psicoterapista Rowena. L’elemento tecnico ed estetico prescelto suggerisce già quanto avviene in termini umani (la forma è il contenuto). James smonta e rimonta la sua identità senza soccombere perché appena ha risposto ad una delle lievi e discrete domande di Rowena ce n’è subito un’altra incalzante pronta a farlo progredire nella riflessione su di sé.

          In alcuni momenti della vita di evidente confusione un aiuto strutturato non risulta malvagio perché consente di ritrovare il bandolo della matassa e la serenità per esercitarsi e proseguire poi per conto proprio. “Allora cresci e prova a diventare un altro” è il monito di John per James che confessa di non amarsi così com’è adesso. Anche Rowena lo invita a prendere in mano quanto lo rende poco sereno ma lo fa senza superbia, recuperando le sue positività e dandogli fiducia. E soprattutto lo fa con la lentezza delle corse perché serve tempo per capirsi. E invece attorno a lui corrono tutti, ciascuno con un ritmo preciso e in questo la location newyorchese fa la sua parte. Dopo queste corse a James non interessa più il cronometro e Rowena lo aiuta a comprendere che questo disinteresse non è per niente un limite. 

LA CONSEGNA

Il dolore che non fa male

          Questo film parla chiaro: il dolore conta più del denaro. Il primo, se ben raccolto, può essere un’assicurazione sulla vita con cui non sa competere nessuna compagnia assicurativa. Il dolore apre all’esperienza dell’amore prima di tutto per se stessi. Eppure è il denaro che di solito rima con l’utile. Nanette invita James a distogliere lo sguardo dai falsi idoli e a tenere duro anche nelle notti della vita in cui ci si sente un po’ spenti, talvolta perdenti o desiderosi di svanire nel nulla. Ci vuole pazienza dice la nonna. Sì, la pazienza di chi sa crescere e non salta le tappe ma che al contempo sa anche superarle per evolvere. La pazienza, come ricorda la “life coach”, che i problemi ce li hanno tutti ma che nel tempo si possono anche risolvere e stare bene. Anche sbagliando James coglie che la sua vita non è uno scherzo del “destino crudele” come ironizza con la sorella; si sente un po’ meno una bottiglia senza tappo nell’oceano. Chi è normale? Chi è disadattato? Chi è matto? Sono domande, - queste sì! – inutili che rimanda al mittente per conservare in un locale climatizzato il meglio di sé e chi l’ha aiutato a scoprirlo.

Roberto Faenza

http://www.saledellacomunita.it

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