Don Bosco, a vent'anni, sente esplodere tutta l'esuberanza della sua natura per non essere secondo a nessuno. Una specie di orgoglio? Sì, se vogliamo. Con determinazione egli mette a servizio dei giovani e della loro crescita, il ricco potenziale di doti, energie e natura che il Signore gli aveva donato.
Un innato bisogno di affrontare le sfide
È indubbio, leggendo le sue Memorie, che Don Bosco, a vent’anni, sente esplodere tutta l’esuberanza della sua natura per non essere secondo a nessuno. Una specie di orgoglio? Sì, se vogliamo: lui stesso lo ammetterà e di cui, superati questi anni, sa di doversi correggere. E lo farà, con determinazione, mettendo a servizio dei giovani e della loro crescita, il ricco potenziale di doti, energie e natura che il Signore gli aveva donato. Ma questa volta, entriamo nell’arena delle competizioni sportive così come ce lo descrive lui stesso e ci divertiamo come i suoi amici. Accusato e “prosciolto” dai sospetti di “magìa bianca”, come scrivemmo nel numero precedente, riprende in piena libertà i suoi divertimenti con gli amici della Società dell’Allegria.
La sfida a corsa
Scrive: «In quel tempo avvenne che alcuni esaltavano un saltimbanco che aveva dato pubblico spettacolo con una corsa a piedi percorrendo la città di Chieri da una all’altra estremità in due minuti e mezzo, che è quasi il tempo della ferrovia a grande velocità. Non badando alle conseguenze delle mie parole, ho detto che io mi sarei volentieri misurato con quel ciarlatano. Un compagno riferì la cosa al saltimbanco ed eccomi impegnato in un sfida: Uno studente sfida un corriere di professione! Il luogo scelto era il viale di Porta Torinese. La scommessa era di 20 fr. Non possedendo io quel danaro, parecchi amici appartenenti alla Società dell’Allegria, mi vennero in soccorso. Una moltitudine di gente assisteva. Si cominciò la corsa e il mio rivale mi guadagnò alcuni passi; ma tosto riacquistai terreno e lo lasciai talmente dietro di me che a metà corsa si fermò, dandomi partita guadagnata».
La sfida al salto
Ovviamente l’umiliazione il saltimbanco non la accettò volentieri. Continua Don Bosco: «Ti sfido a saltare, dissemi, ma voglio scommettere fr. 40 e di più se vuoi. – Accettammo la sfida e toccando a lui scegliere il luogo, egli fissò che il salto dovesse avere luogo contro il parapetto di un ponticello. Egli saltò per il primo e pose il piede vicinissimo al muricciolo, sicché più in là non si poteva saltare. In quel modo io avrei potuto perdere, ma non guadagnare. L’industria (la fantasia n.d.r.) però mi venne in soccorso. Feci il medesimo salto, ma appoggiando le mani sul parapetto del ponte prolungai il salto al di là del medesimo muro e dello stesso fosso. Applausi generali».
La sfida della bacchetta magica
A questo punto sembra che il saltimbanco sia davvero innervosito; non può accettare la sconfitta. «Voglio ancora farti una sfida. Scegli qualunque giuoco di destrezza . Accettai e scelsi il giuoco della bacchetta magica colla scommessa di fr. 80. Presi pertanto una bacchetta, ad una estremità posi un cappello, poi appoggiai 1’altra estremità sulla palma di una mano. Di poi senza toccarla coll’altra la feci saltare sulla punta del dito mignolo, dell’anulare, del medio, dell’indice, del pollice; quindi sulla nocetta della mano, sul gomito, sulla spalla, sul mento, sulle labbra, sul naso, sulla fronte. Indi rifacendo lo stesso cammino tornò sulla palma della mano. – Non temo di perdere, disse il rivale, è questo il mio giuoco prediletto. Prese adunque la medesima bacchetta e con maravigliosa destrezza la fece camminare fin sulle labbra, donde, avendo alquanto lungo il naso, urtò e perdendo l’equilibrio dovette prenderla colla mano per non lasciarla cadere a terra».
La sfida dell’olmo
Continua Don Bosco nelle sue Memorie: «Vedendosi il patrimonio andare a fondo quasi furioso esclamò: «Piuttosto qualunque altra umiliazione, ma non quella di essere stato vinto da uno studente. Ho ancora cento franchi e questi li scommetto e li guadagnerà chi di noi metterà i piedi più vicino alla punta di quest’albero», accennava ad un olmo che era accanto al viale. Accettammo anche questa volta, anzi in certo modo eravamo contenti che egli guadagnasse giacché sentivamo di lui compassione e non volevamo rovinarlo. Salì egli per primo sopra l’olmo e portò i piedi a tale altezza che, per poco fosse più alto salito, si sarebbe piegato, cadendo a terra colui che si arrampicava. Tutti dicevano che non era possibile salire più in alto. Feci la mia prova. Salii alla possibile altezza senza far curvare la pianta, poi tenendomi colle mani all’albero alzai il corpo e portai i piedi circa un metro oltre all’altezza del mio contendente. Chi mai può esprimere gli applausi della moltitudine, la gioia de’ miei compagni, la rabbia del saltimbanco e l’orgoglio mio, che era riuscito vincitore contro un capo di saltimbanchi»? Don Bosco a questo punto racconta che, mossi a pietà, gli fu restituito il denaro vinto dalle scommesse, ma a una condizione: che pagasse un pranzo a lui e ai suoi amici all’albergo del Muretto. Accettò. Erano in 22. Il pranzo costò fr. 25. Gli altri 215 glieli furono restituiti. Conclude: «Quello fu veramente un giovedì di grande allegria. Io mi sono coperto di gloria… Contentissimi i compagni che si divertirono a più non posso. Contento anche il saltimbanco che nel separarsi disse loro: – Vi ringrazio di tutto cuore… Non farò mai più scommesse con gli studenti».
E l’impegno scolastico?
Don Bosco si rende conto della nostra possibile obiezione e risponde. «Nel vedermi passare il tempo in tante dissipazioni, voi direte che doveva per necessità trascurare lo studio. Non vi nascondo che avrei potuto studiare di più, ma l’attenzione nella scuola mi bastava ad imparare quanto era necessario. Tanto più che in quel tempo io non faceva distinzione tra leggere e studiare e con facilità poteva ripetere la materia di un libro letto o udito a raccontare. Di più essendo stato abituato da mia madre a dormire assai poco, poteva impiegare due terzi della notte a leggere libri a piacimento e spendere quasi tutta la giornata in altre cose, come fare ripetizioni...». È in quel periodo che lo studente Giovanni Bosco si innamora nella lettura dei libri della antichità classica di cui annota nome e opere. Scrive: «Io leggeva que’ libri per divertimento e li gustava come se li avessi capiti interamente. Soltanto più tardi mi accorsi che non era vero… Ma i doveri di studio, le occupazioni delle ripetizioni, la molta lettura, richiedevano il giorno ed una parte notabile della notte. Più volte accadde che giungeva l’ora della levata mentre teneva tuttora tra mano le Decadi di Tito Livio, di cui aveva intrapreso lettura la sera antecedente. Tal cosa mi rovinò la sanità… Io darò sempre per consiglio di fare quel che si può e non di più. La notte è fatta per riposare».
Don Emilio Zeni
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