I giovani chiedono alla chiesa più luoghi significativi di incontro e di confronto, anche a livello informale, come anche educatori e pastori appassionati. Una chiesa “cercatrice” dei giovani.
del 25 agosto 2008
Negli ultimi mesi è tornata particolarmente al centro del dibattito e dell’attenzione dei vescovi italiani la questione giovanile, anche sulla scia delle sollecitazioni del papa per quella che è stata ripetutamente definita una vera e propria “emergenza educativa”. Ampia e stimolante in questo senso l’analisi emersa nell’ambito della 58ª Assemblea generale della Cei, in cui si è discusso di Giovani e vangelo: percorsi di evangelizzazione ed educazione.
Nella prolusione, il presidente della Cei Angelo Bagnasco ha evidenziato la necessità di un rinnovato impegno della chiesa nei confronti delle nuove generazioni: «Per loro sappiamo di non fare mai abbastanza. Specialmente in questo momento storico, i giovani sono i primi bersagli della cultura nichilista che li invita, li incoraggia, li sospinge a coltivare soltanto le 'passioni tristi'. È una cultura che instilla in loro la convinzione che nulla di grande, bello, nobile ci sia da perseguire nella vita, ma che ci si debba accontentare di un 'qui ed ora', di obiettivi di basso profilo, di una navigazione di piccolo cabotaggio, perché vano è puntare la prua verso il mare aperto». E ancora, con estrema chiarezza, ha affermato: «Il problema dei giovani sono gli adulti. Essi non respingono l'autorità, cercano l'autorevolezza dei testimoni e dei maestri. Certo che vediamo i loro comportamenti contraddittori, a volte ancora adolescenziali; a volte trasgressivi e gravi. Lo stesso bullismo tuttavia è anche segno di un vuoto dell'anima e un'implicita richiesta d'aiuto. Esperta come deve essere in umanità, la chiesa non si fa ingannare dalle apparenze e sa di dover leggere dietro di esse, dove si celano le movenze più interiori e profonde della persona, e dove arde il desiderio di una vita piena, di traguardi coraggiosi, per i quali vale davvero la pena di vivere».[1]
Considerazioni ribadite e ampliate da mons. Agostino Superbo, vicepresidente della Cei, che ha affermato la necessità di un «patto tra generazioni con educatori, professori, animatori per far crescere personalità serene» e l’urgenza di «un nuovo processo educativo che abiti i luoghi dei giovani specie quando calpestano il terreno del disagio e che sappia colmare i vuoti educativi».
 
“Abitare” i luoghi dei giovani
Come tornare ad abitare i luoghi dei giovani in modo significativo? Quali possono essere alcune strade percorribili per affrontare il disagio che sembra sempre di più permeare la realtà giovanile? Certamente non esistono soluzioni aprioristicamente valide, ma piuttosto semplici intuizioni continuamente da sperimentare e da ripensare, assumendosi con coraggio e responsabilità alcuni rischi necessari.
Oggi i giovani chiedono con sempre maggiore insistenza di incontrare adulti capaci di ascoltarli autenticamente, sostituendosi in questo a famiglie sempre più fragili e ad istituzioni scolastiche spesso carenti sul piano educativo e relazionale. I giovani cercano adulti desiderosi di spendere gratuitamente il proprio tempo per loro, capaci di “contenere” la loro rabbia e le loro preoccupazioni e valorizzandone al tempo stesso sogni e speranze: «Hanno fame di relazioni verticali con adulti competenti e hanno da porre loro domande cruciali per la crescita» (Pietropolli Charmet). Ad un estremo permissivismo e ad un’eccessiva complicità che paiono essere ormai divenute le modalità educative prevalenti occorre sostituire con pazienza e fatica relazioni autentiche, fatte di condivisione e prossimità.
A questo proposito, un ruolo primario può essere ricoperto dalle associazioni, dai gruppi, dai movimenti giovanili e da tutte quelle realtà che investono sul protagonismo dei giovani e che permettono loro di intraprendere esperienze decisive, di condividerle con altri coetanei e di incrociare adulti e testimoni autorevoli e credibili. Sono questi ambiti privilegiati in cui auspicare il rinsaldarsi di quel “patto tra le generazioni” oggi sempre più difficile e necessario.
Un contesto fondamentale sul quale occorre tornare a scommettere con forza è l’università: basti pensare che oggi in Italia si contano circa 1.800.000 studenti universitari. Questa antica e nobile istituzione necessita di una rinnovata e specifica attenzione pastorale. Purtroppo oggi le università italiane sono mondi sempre più frenetici e complessi: l’iscrizione all’università per tanti giovani è divenuta ormai un passaggio scontato che spesso sottende una tendenza al disimpegno trasformandosi in una facile soluzione per rimanere in famiglia più a lungo possibile e rimandare scelte serie e definitive.
Sappiamo, invece, quanto gli anni dello studio universitario siano decisivi per il futuro dei giovani, un tempo di grazia per la propria crescita umana e cristiana. Infatti, è possibile, in questi anni toccare con mano come la fede non svilisca l’intelligenza ma, anzi, la alimenti e la valorizzi. Sono anni in cui si impara che è realmente possibile “credere nello studio”, ossia esprimere la propria vita di fede, sperimentando la possibilità di un dialogo armonico tra fede e ragione se è vero infatti, come recentemente ricordato dal papa, che «la conoscenza spinge all’amore e l’amore stimola la conoscenza».[2]  
Scommettere sull’università vuol dire accompagnare i giovani in un percorso formativo con proposte non generiche, ma serie e qualificate; significa puntare in alto stimolando la curiosità e l’intelligenza; significa educarli ad un profilo esigente e rigoroso nello studio e nella vita. Per questo è necessaria una decisa attenzione alle cappellanie universitarie, soprattutto in quelle città dove ancora non sono presenti o dove faticano ad essere visibili, per divenire sempre di più un luogo di ritrovo e un punto di riferimento per gli studenti. Occorre che siano affidate a presbiteri e a collaboratori laici realmente appassionati e motivati, capaci di farsi carico del bisogno di accoglienza – non solo materiale – di tanti giovani, soprattutto dei cosiddetti “fuori-sede”. Al tempo stesso, anche tutte le proposte e le realtà che si rivolgono specificamente agli studenti universitari vanno sostenute e rafforzate.
 
Educatori validi e motivati
Un’ulteriore indicazione riguarda l’auspicio che possano nascere e tornare a diffondersi capillarmente, in tutte le diocesi, luoghi di aggregazione giovanile. Mi riferisco naturalmente agli oratori, ma in generale alla creazione di spazi e contesti in ambito parrocchiale in cui i giovani possano ritrovarsi, anche in maniera informale, accompagnati da figure di educatori adeguatamente motivati, capaci di guidarli in un percorso progressivo di crescita, autonomia e consapevolezza.
Sono sempre più necessari veri e propri centri di aggregazione giovanile, che divengano significativi per i giovani stessi e che li sottraggano, innanzitutto, alla strada, luogo ad alto tasso di “rischio”. Occorre creare luoghi in cui imparare a confrontarsi – in maniera il più possibile spontanea – con culture e realtà diverse dalla propria, senza creare ghetti, ma piccole comunità capaci di convivere e di partecipare ad un progetto condiviso.
Per fare questo, occorrono adulti ed educatori capaci di accompagnare con amorevolezza i giovani, di suscitare in loro domande profonde, di farli sostare davanti ai loro pensieri e alle loro difficoltà, per riscoprire e valorizzare le loro potenzialità e i sentimenti più intimi.
È altresì necessario che gli educatori non si sentano soli in questo cammino, ma vengano costantemente accompagnati dalla guida preziosa dei pastori, come del resto occorre “fare rete” con le altre agenzie educative del territorio (scuole, cooperative sociali, servizi di consulenza psico-pedagogica, associazioni…), in un percorso di collaborazione tra soggetti impegnati nella formazione dei giovani.
 
Una chiesa presente e vicina
Infine, il sogno più grande e necessario è quello di una chiesa che non attende semplicemente di essere incontrata dai giovani, ma che li va ad incontrare proprio là dove si trovano. Una chiesa che, attraverso i presbiteri e gli educatori, sia capace di uscire dai propri confini istituzionali per mettersi in gioco nelle realtà e negli spazi che i giovani scelgono di abitare, senza aver paura di mostrarsi anche nella propria fragilità e debolezza. Occorre lasciarsi spingere dalla curiosità e dal desiderio profondo di farsi trovare soprattutto là dove ci sono difficoltà e sofferenza, come semplici “testimoni”, senza l’obbligo di imporre modelli e principi, ma facendosi semplicemente guidare da un’autentica volontà di ascolto e di condivisione.
Per questo la chiesa non dovrà preoccuparsi semplicemente di “come” evangelizzare, ma di essere presente, accompagnare, ascoltare e farsi trovare nei luoghi del disagio. Questa scelta risulterà ancora più efficace nei confronti delle categorie di giovani maggiormente deboli e svantaggiati (si pensi soprattutto ai tanti minori immigrati che popolano le nostre città vivendo situazioni estreme di emarginazione, solitudine e sfruttamento, ma anche a tutti i giovani che hanno un contatto sempre più prematuro e auto-distruttivo con alcol e sostanze).
Mi piace pensare ad una chiesa che si preoccupa e si prende cura dei giovani che hanno abbandonato le parrocchie e i gruppi; una chiesa che si sente veramente missionaria e che li va a cercare non tanto per “riportarli a casa”, ma semplicemente per manifestare affetto, comprensione e vicinanza. Come nella parabola del padre misericordioso, la chiesa è chiamata a mostrarsi oggi sapientemente capace di accogliere il giovane nel momento in cui decide di pentirsi e di tornare dal Padre, ma non riesce ancora ad essere sufficientemente presente nello spazio della sofferenza e del dubbio, della solitudine e dell’incertezza, quando il giovane decide di farsi del male e di trascorrere del tempo lontano da casa.
È necessario riconquistare gradualmente una sorta di familiarità con i giovani delle città, attraverso progetti che abbiano ricadute forti sulla loro quotidianità e che si possono realizzare non solo tra le rassicuranti mura parrocchiali, ma anche tra i banchi di scuola, nelle aule universitarie e nei luoghi del divertimento, così come in quelli del disagio. Occorre far sì che i giovani possano sentire sempre meno il peso della loro solitudine e sempre più trovare volti accoglienti e generosi, sguardi non giudicanti, ma capaci di misericordia e di comprensione, come anche il “ritrovare” abbracci autentici e coraggiosi di riconciliazione.
 
 
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[1] Prolusione del card. Angelo Bagnasco alla 58ª Assemblea generale Cei (26-30 maggio 2008).
[2] Discorso del papa nell’incontro con i giovani a Genova lo scorso 18 maggio.
Silvia Sanchini
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