Una generazione di giovani sfiduciati?

Sesto rapporto dell'istituto Iard. Una generazione di giovani sfiduciati, in cerca di protezione e senza progetto di vita. Preferiscono la socialità ristretta e non l'impegno collettivo, non vogliono fare scelte troppo vincolanti per il futuro. Chiamano in causa gli adulti e le agenzie formative, in particolare la Chiesa.

Una generazione di giovani sfiduciati?

da Quaderni Cannibali

del 29 novembre 2006

In Svizzera nel 2004 di fronte ai giovani, un Giovanni Paolo II stanco e malato, scelse una insolita pagina del Vangelo (Lc 7,11-17) per scuotere i suoi interlocutori: a Nain era morto un giovane, figlio unico di una madre vedova. Gesù incontra il corteo diretto al cimitero, mentre un corteo festoso attraversa il paese, formato dai discepoli e altre persone. Quei due cortei hanno qualcosa da dire ai giovani: «Veramente avete dinanzi a voi due vie divergenti: potete perdervi e, in un certo senso, morire; e potete seguire la strada di Gesù che vi si avvicina, vi prende per mano, vi risveglia».

 

In un contesto quotidiano, sovrastato dall’effimero, si spingono i giovani a consumare e non ad ascoltare; o meglio, ad ascoltare le voci più strane e non quelle della coscienza; a chiudere gli occhi su uno stile di vita sfrontato, invece di tendere l’orecchio alle voci dei poveri. Ecco i giovani disincantati, dopo che i diversi messianismi secolarizzati del XX secolo si sono rivelati veri e propri inferni; perciò il papa li sfidava: «Oggi siete qui convenuti per affermare che nel nuovo secolo non vi presterete a essere strumenti di violenza e distruzione; difenderete la pace, pagando anche di persona se necessario. Voi non vi rassegnerete a un mondo in cui altri esseri umani muoiono di fame, restano analfabeti, mancano di lavoro. Voi difenderete la vita in ogni momento del suo sviluppo terreno, vi sforzerete con ogni vostra energia di rendere questa terra sempre più abitabile per tutti».

 

 

 

LA FOTOGRAFIA DI UNA GENERAZIONE

 

Siamo appieno dentro la fotografia dal sesto Rapporto dell’Istituto Iard (che ha al suo attivo venti anni di analisi a confronto, dal 1983, per capire come sono cambiati i giovani italiani). Ci viene incontro una generazione di giovani sfiduciati, privi di un progetto di vita. Preferiscono la socialità ristretta e non l’impegno collettivo, credono più nella famiglia e nella pace che nel lavoro e nella carriera.

 

Se nel 1983 usciva di casa il 17% dei 15-17enni, oggi soltanto il 3%. Situazione simile anche per le altre fasce di età: per i 18-20enni si è passati dal 39% al 25%. Solo dopo i 25 anni si registrano le prime consistenti uscite di casa, spesso in concomitanza con il matrimonio o la convivenza; tuttavia quasi il 70% dei 25-29enni e oltre un terzo tra i 30-34enni (36%) vive ancora con i genitori. «Su questi processi esercitano un’importante influenza molti aspetti della società odierna – commenta Alessandro Cavalli, presidente del comitato scientifico Iard – percorsi di studio più lunghi che in passato, con ingresso più tardivo nel mondo del lavoro, si pensi che tra i 25-29enni c’è ancora un 35% di giovani che non lavora e tra i 30-34enni è il 23%, e la precarizzazione del mercato del lavoro». Inoltre, il tasso di nuzialità dei 20-24enni è più che dimezzato dal 1983 al 2004, passando dal 20% all’8%; similmente, è sceso dal 36% del 1992 al 27% per i 25-29enni. Non stupisce, pertanto che il tasso di natalità del nostro paese risulti così basso: la percentuale di 20-24enni nel ruolo di genitori passa dal 12% del 1983 al 4% nel 2004. Nel 1992, i 25-29enni genitori erano il 21% contro l’attuale 16%; nel 2000 i 30-34enni con figli erano il 44%, nel 2004 il 40%.

 

Impegnarsi in scelte troppo vincolanti non piace: se questo era vero nel 1987 per il 65% degli intervistati oggi lo è per l’80%. Nell’ultimo decennio si è diffusa proprio l’idea che nella vita anche le scelte più importanti non sono “per sempre” (dal 49% del 1996 al 54% del 2004). Seppure ogni scelta è considerata reversibile, ci sono valori però che rimangono ai primi posti: la salute che raccoglie il consenso della quasi totalità del campione (92%), seguita dalla famiglia (87%) e dalla pace (80%), a pari merito con il valore della libertà. E ancora: l’amore (76%) e l’amicizia (74%). Accanto alla famiglia considerata stabilmente negli anni quale valore chiave, i dati mostrano una crescita dell’amicizia (nel 1983 era considerata molto importante dal 58% dei giovani; nel 2004 dal 78%). L’importanza attribuita alla dimensione lavorativa invece passa, negli anni 1983-2004, dal 68% al 61% dei consensi.

 

Sorprende la diminuita importanza attribuita al valore della solidarietà: negli ultimi otto anni passa dal 59% dei consensi al 42%. «Le cose importanti per i giovani, commenta Antonio de Lillo, presidente Iard, sono sempre più quelle legate alla sfera della socialità ristretta, a scapito dell’impegno collettivo».

 

 

 

GIOVANI E CITTADINANZA

 

A questo proposito va considerato il rapporto con la politica: l’impegno vero e la fiducia negli uomini politici si attesta su livelli molto bassi (rispettivamente 4% e 12%). Cresce contemporaneamente l’atteggiamento di delega (il 35% pensa che si debba lasciare la politica a chi ha la competenza per occuparsene, contro il 26% del 1996). Il fatto di sentirsi disgustati verso certi modi di fare politica è un dato che dagli anni ‘80 è cresciuto a lungo in modo esponenziale dal 12% al 23%.

 

Un trentenne su due dichiara comunque di aver assistito a un dibattito politico, un 15-17enne su tre di aver partecipato a un corteo, quasi 1 maggiorenne su 4 di aver firmato per un referendum e 1 su 10 di aver aderito a un boicottaggio. Si assiste poi a un calo costante dell’importanza attribuita a mantenere l’ordine della nazione (dal 36 % del 1992 al 26% del 2004) e a dare maggior potere alla gente nelle decisioni politiche (dal 32% al 14%); mentre è in crescita l’idea che la politica debba proteggere la libertà di parola dei cittadini (dal 25% al 35%).

 

Dagli anni ‘80 a oggi dunque si registra il declino della fiducia nei confronti di molte istituzioni: scuola, polizia, militari di carriera, banche e uomini politici. Crolla anche la fiducia da parte dei giovani verso la televisione: si passa dal 47% di coloro che si fidavano della televisione privata nel 1996, al 33% del 2004; e per quella pubblica dal 53% dei consensi si passa al 38%. Una generale sfiducia verso chi ha in mano l’amministrazione e un bisogno di maggiore tutela, che si confermano in preoccupanti segnali che vengono dalla cronaca quotidiana e che in certi casi fanno guardare ai giovani soprattutto come a un problema.

 

Questo scenario è confermato anche dal recente Annuario statistico 2006, che dipinge un paese “deprimente”: un eccesso di procedimenti pendenti nei tribunali civili e penali, l’affollamento sempre maggiore delle carceri, la difficoltà di accesso ai servizi di pubblica utilità, da quelli sanitari all’erogazione di acqua ai trasporti pubblici. Con una popolazione che continua a invecchiare: l’indice di vecchiaia (che misura il rapporto tra la popolazione ultrasessantacinquenne e quella con meno di 15 anni) ha registrato al 1° gennaio 2006 un ulteriore incremento, passando dal 137,8% dell’anno precedente al 140,4%. Ormai, quasi un italiano su cinque raggiunge i 65 anni. In aumento anche la popolazione di quelli che la statistica definisce “i grandi vecchi”, cioè gli ultraottentenni, che hanno superato il 5% del totale. L’Italia continua a rimanere nell’Unione Europea il paese con la maggiore percentuale di anziani.

 

 

 

LE RESPONSABILITÀ DEGLI ADULTI

 

I dati allora possono in fondo essere letti al rovescio: sono i giovani in fondo a essere disillusi dagli adulti. E tale delusione non trova voce nella protesta, quanto nel ritrarsi nel mondo sicuro degli affetti, la famiglia e gli amici. Per loro la società è pericolosa, la scuola è estranea, la politica un gioco sporco. I giovani manifestano certamente diverse fragilità pur restando aperti, disponibili e generosi. Aspirano a rapporti autentici e sono in cerca della verità, ma non trovandoli nella realtà, sperano di scoprirli dentro di sé. Un simile atteggiamento li predispone facilmente a ripiegarsi sulle proprie sensazioni e sull’individualismo, mettendo al proprio servizio i legami sociali e il senso dell’interesse generale.

 

Tali personalità sono, riconosciamolo, anche il risultato di un’educazione degli adulti che li abitua a vivere costantemente a livello affettivo e sensoriale, a detrimento della ragione intesa come conoscenza, memoria e riflessione. Ci troviamo pertanto in un fenomeno paradossale: da un lato si vogliono rendere i bambini autonomi il più presto possibile, e dall’altro si vedono adolescenti giovani che stentano ad attuare le operazioni psicologiche della separazione. Ebbene, gli adulti, che hanno fatto di tutto perché non mancassero di nulla, hanno finito per indurre i giovani a credere di dover soddisfare tutti i propri desideri, confondendoli con i bisogni. In questo modo la maggior parte di essi sono diventati giocoforza succubi delle regole della società di mercato, che conosce tutte le astuzie per trasformare i cittadini in consumatori.

 

La società insomma è infantile con i giovani perché li usa come modello, mentre avrebbero bisogno di punti di riferimento. E la Chiesa incontra, nei loro confronti, le stesse difficoltà di tutte le altre istituzioni che vivono nel clima generale produttivo di effetti quali l’individualismo, il soggettivismo e una certa de-socializzazione. È urgente che essa recuperi la coscienza e l’impegno nel formare al senso della realtà, promuovendo nuovi luoghi di trasmissione tra le generazioni, per aiutarle ad acquisire il senso delle istituzioni. Il VI Rapporto Iard sembra presentarci giovani a rischio di abdicare all’esistenza: ciò rappresenta una sfida a una società che oscilla tra l’esaltazione della vita (accanimento medico di fronte a casi clinici disperati, procreazione artificiale, manipolazione genetica ecc.) e la cultura della morte (armi sofisticate, mezzi di trasporto dalle velocità mortali, consumo di sostanze nocive a scopo di esaltazione ecc.). Il fatto religioso può rispondere a questa situazione, se non si fa ridurre alla sfera del privato: esso è senza dubbio fonte di senso e di legami sociali. Ne siamo debitori al tipo di giovani che ci stanno davanti. Essi hanno bisogno di ritrovarsi e di svegliarsi alla vita.

Mario Chiaro

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