Una memoria che è impegno: continuare l'opera educativa di Papa Giovanni Paolo I...

Anche a me sembra di poter dire che non solo è stato un grande educatore, ma che ha anche offerto una interessante “metodologia” educativa. Ai giovani, Papa Giovanni Paolo II non ha inviato solo radiomessaggi, non ha parlato dalla sua “cattedra”; e neppure è solo andato da loro: è stato con loro, ha parlato con loro, ha cantato, ha danzato, ha ritmato, ha vissuto con loro, ha scherzato con loro, ha dialogato con loro e, così, vivendo insieme a loro...

Una memoria che è impegno: continuare l’opera educativa di Papa Giovanni Paolo II

da Teologo Borèl

del 04 aprile 2006

L’abbiamo visto tutti: Papa Giovanni Paolo II ha dimostrato una predilezione particolare, un rapporto privilegiato con i giovani e ne stato ricambiato in maniera totale (come hanno  mostrato con la loro partecipazione alla sua sofferenza, alla sua morte, al suo funerale: in tutti i modi). Come è stato detto: i giorni della morte e dei funerali sono diventati una imprevista giornata della gioventù. Le giornate mondiali dei giovani da lui inventate hanno fatto “un chiasso” difficilmente contestabile, anche se non sempre compreso da  “osservatori esterni”, fin troppo imbracati nei loro scafandri ideologici e fin troppo  rinchiusi nei loro osservatori velati di pregiudizi. Anche la presenza di tanta gente  ai funerali può essere variamente interpretata. Indubbiamente, come gli opinionisti pretendono di spiegare, in questo mondo investito dal vento della globalizzazione e della momentaneizzazione della TV, dei telefoni, di Internet, c’è probabilmente in giro tanta voglia di vivere e di essere presente a quanto accade nel mondo; e magari tanta paura di non esserci! Quasi che se non posso dire: “io c’ero”, neppure posso dire: “io esisto”.

In un mondo fin troppo spaventato dal terrorismo, dalla insicurezza esistenziale e dalla incertezza, ma anche dall’assenza di leader autentici, c’è certamente anche un grande “bisogno di carisma”. Giovanni Paolo II è stato per tanti un convincente punto di riferimento umano, spirituale, vitale (prima ancora che  morale e politico). E certamente la sua bara, lì, in mezzo alla grande piazza, distanziata da tutto il resto, deve essere stata una grande lezione di  “leaderato” per i tanti potenti della terra e per gli stessi cardinali che le stavano tutt’attorno.

Nel diffuso clima di anonimato relazionale e di frammentazione vitale, Giovanni Paolo II ha fatto sentire una calda vicinanza emotiva di cui tanti sentono bisogno, oggi più che ieri. Come è stato detto, la capacità di Giovanni Paolo II di “farsi prossimo”, di andare dovunque e di stare con tutti, l’ha fatto percepire come “uno di noi”, un grande della terra “umano” (non dominativo, non distante, non formale,  non uno che sta sulle sue!). Il suo relazionarsi diretto, spontaneo, capace di andare  subito fuori dell’ufficialità e fuori degli schemi, l’ha fatto sentire  a molta gente “suo”, uno “di famiglia”; ciascuno si è come sentito personalmente guardato dal suo sguardo che si rivolgeva sempre direttamente a coloro con cui si incontrava.

 

Ma  forse c’è  qualcosa di più.

L’ho capito leggendo le risposte  di molti giovani studentesse e studenti (circa 150) a cui, il lunedì seguente il venerdì della morte del Papa, avevo chiesto  per scritto: “perché, secondo te, c’è stato uno speciale “feeling” (intesa,  sintonia, simpatia) tra i giovani e il papa?” e “perché, secondo te, il papa è stato un grande educatore?”. Scelgo qualche risposta, tra tantissime.

Un giovane (o una giovane, non so bene, perché le risposte erano anonime) ha scritto: “Ci ha ascoltati e ha creduto in noi”. Un altro: “Ha fatto breccia nei nostri cuori”. Altri: “Ci ha fatto capire che per lui eravamo importanti”; “Ci ha uniti”;  “Ha rotto le barriere”; “Ci ha svegliati, guardandoci negli occhi, arrivando al nostro cuore come un padre”; “Ci ha incoraggiato a non aver paura, a accogliere il dono della vita, facendolo attraverso l’aiuto di  Dio e anche attraverso il suo”; “Ci ha mostrato le strade da percorrere con parole semplici, con gesti di affetto spontaneo, con l’esempio, con azioni grandi che ha compiuto e che nessuno dimenticherà”; “Non è stato uno che predica bene e razzola male: è stato un esempio di colui che sa perdonare e amare tutti, indipendentemente dal colore della pelle, della religione”; “Si è immedesimato nel nostro comportamento”; “Non è rimasto dentro i palazzi del Vaticano, ma è sceso in piazza a incontrare e ascoltare i giovani”; “Non era scontato che ci venisse a stringere la mano e a guardarci negli occhi”; “Con il suo calore e la sua presenza mi ha tenuto compagnia”; “Perché per primo si è messo in discussione”; “Per primo ha ammesso peccati, come nessuno ha fatto prima”; “Ha fatto capire che la Chiesa è fatta di uomini che possono sbagliare... e così gli educatori”; “Ha permesso di accorciare le distanze tra lui e gli uomini”.

E ancora: “Ha capito noi giovani, perché era giovane”; “Perché prima di tutto lui era giovane, che combatteva per la libertà”; “È stato un modello vivente che noi cerchiamo in continuazione nel nostro cammino”; “Era, è, e sarà un testimonianza dell’uomo libero senza barriere, dell’uomo libero e umile”; “Il Papa ha testimoniato e ci ha educato a tutto quello che lui credeva  fino in fondo”; “Aveva la speranza di un futuro migliore, senza guerre e violenza”. Uno studente, evidentemente straniero, nel suo italiano approssimato, ha scritto: “Ha dato vero senso della sofferenza che fa spaventare l’uomo d’oggi”. E, come dicono anche altri, uno ha scritto: “Il Papa è stato un vero punto di riferimento restando fermamente fedele al messaggio cristiano di Gesù”.

 

Per questo, anche a me sembra di poter dire che non solo è stato un grande educatore, ma che ha anche offerto una interessante “metodologia” educativa.

Ai giovani, Papa Giovanni Paolo II non ha inviato solo radiomessaggi, non ha parlato dalla sua “cattedra”; e neppure è solo andato da loro: è stato con loro, ha parlato con loro, ha cantato, ha danzato, ha ritmato, ha vissuto con loro, ha scherzato con loro, ha dialogato con loro e, così, vivendo insieme a loro,  ha potuto dire loro “parole” sublimi, ha indicato loro la “stella polare” dell’esistenza: Gesù Cristo e il suo Vangelo. A loro candidamente si è automanifestato, rivelando loro che ha “aspettato tanto di poterli incontrare, vedere”. Li ha ringraziati (“Io vi ho cercato, adesso voi siete venuti da me. Vi ringrazio”). Ha detto loro, come dice un canto ormai tradizionale “Io con voi mi trovo ben perché amate la pace come me, io con voi sono felice” o come lui ha detto direttamente: “C’è un proverbio polacco che dice: 'Kto z kim przestaje, takim si? staje'. Vuol dire: se vivi con i giovani, dovrai diventare anche tu giovane. Così ritorno ringiovanito”. Li ha accolti così come sono, senza chiedere previamente un certificato di buona condotta, una patente di ragazzi “bravini, buoni e educati” o un attestato di “parrocchiano osservante”. “Non ha fatto preferenze. Tutti quelli che la società classifica come primi e come ultimi, sono diventati uguali”, mi ha scritto una ragazza.

Come Gesù con i discepoli di Emmaus, ha fatto strada con loro, condividendo speranze, attese, disillusioni, difficoltà, incertezze, dubbi, sofferenze intime;  ha “spiegato loro le scritture”, meglio, Colui che “è” la Scrittura, la Parola: Gesù!; ha celebrato con loro e li ha inviati “ai fratelli”, agli altri giovani, al mondo: per la vita! Non ha fatto loro della morale (che chiude e che obbliga). Li ha invitati ad aprirsi a Cristo, l’unico che salva, l’unico che  può essere orizzonte e senso vero della loro vita; il solo che può, “con la Sua grazia”, renderli  liberi; e capaci, secondo il dono di grazia, secondo i “talenti di ciascuno”, secondo l’ “appello del mondo” non solo di “non peccare più”,  ma di “fa questo e vivrai” o di “lascia tutto e seguimi”.

Come disse in quella splendida e calda notte del 19 agosto a Tor Vergata (anch’io posso dire: “io c’ero!): “In realtà, è Gesù che cercate quando sognate la felicità; è Lui che vi aspetta quando niente vi soddisfa di quello che trovate; è Lui la bellezza che tanto vi attrae; è Lui che vi provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi al compromesso; è Lui che vi spinge a deporre le maschere che rendono falsa la vita; è Lui che vi legge nel cuore le decisioni più vere che altri vorrebbero soffocare. E' Gesù che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande, la volontà di seguire un ideale, il rifiuto di lasciarvi inghiottire dalla mediocrità, il coraggio di impegnarvi con umiltà e perseveranza per migliorare voi stessi e la società, rendendola più umana e fraterna”.

Ha scelto di scivolare verso di loro in basso  per permettere loro di innalzarsi verso l’alto.

Indicando queste mète così grandi, ormai vecchio, una volta – nella linea del giovanneo “oportet me minui illum autem crescere”, che dovrebbe essere tipico di ogni buon educatore – ha confessato ai giovani : “Io non sono sicuro di essere vostro compagno verso questa mèta”.

I giovani sono stati compagni a lui, nel suo andare verso la sua mèta terrena!

 

Più volte mi è venuto alla mente, direttamente e spontaneamente, di avvicinare il Papa a don Bosco: che ha vissuto con i giovani alla stessa maniera, lasciandosi coinvolgere allo stesso modo, facendo strada insieme con loro: lo stesso profondo “feeling”, la stessa passione educativa, la stesso “vangelo”: Gesù maestro!

Ho pensato alla Lettera da Roma del 1884, alla “Introduzione” a Il Giovane Provveduto, alla “Introduzione” alla Vita del giovinetto Savio Domenico, alla tenerezza, al grande affetto, alla cordiale amicizia, alla  infinita passione educativa di don Bosco, al suo essere sempre con i giovani “padre, maestro, amico”, come cantiamo con gioia celebrandolo e facendo memoria di lui stando con i  giovani.

Mi sono rivenute prepotentemente in mente alcune frasi di don Bosco: “Vicino o lontano io penso sempre a voi”.... “Il non vedervi e il non sentirvi mi cagiona pena quale voi non potete immaginare”.... “[ vi parlo con ] le parole di chi vi ama teneramente in Gesù Cristo ed ha dovere di parlarvi colla libertà di un padre. E voi me lo permetterete non è vero?”... “Voi siete l'unico ed il continuo pensiero della mia mente”... “Ritornino i giorni felici dell'antico Oratorio, giorni dell'amore e della confidenza cristiana, ... i giorni dei cuori aperti con tutta semplicità e candore; i giorni della carità e della vera allegrezza per tutti. Ho bisogno che mi consoliate”... “Vostro aff.mo amico in G.C.” ...“ giovani cari, io voglio insegnarvi un metodo di vita cristiano, che sia nel tempo stesso allegro e contento” ... “vi amo tutti di cuore, e basta che siate giovani perché io vi ami assai”... “Vivete felici, e il Signore sia con voi”.

Ma ho anche ripensato a tanti miei educatori, e alla mia stessa esperienza educativa. E mi sono sentito rinforzato nella mia vocazione di cittadino, di salesiano, di prete educatore e insegnante. 

Ho letto con piacere  che la vocazione a diventare prete è venuta a papa Giovani Paolo vedendo i salesiani e in particolare un catechista, che guidò la parrocchia quando i preti salesiani furono tolti di mezzo.

 

Ma in questi giorni –forse un dono “postumo” del papa della speranza! –  sento molto l’impulso a pensare in avanti . Durante il funerale, come si ricorderà, un vento forte scompigliava ogni cosa, sferzava il volto dei grandi della terra e dei porporati, dei preti e delle suore  e sembrava strappare di dosso abiti e cappelli, simboli di variegate dignità. E passava forte sui volti dei piccoli, dei giovani, degli adulti, degli anziani, della gente. Nel mezzo della piazza, somigliante a una grande rete di pescatore gettata in mare per la pesca, sulla bara nuda, realtà e segno grande e terribile, il vangelo, sfogliato continuamente dal vento, si è improvvisamente chiuso. Un uomo finiva, un’ epoca si chiudeva?

Quell’uomo mandato da  Dio, che già da giorni non riusciva più a parlare, ma che continuava a  cercare  di  comunicare con il suo popolo, con i suoi  “papa-boys”,  è ritornato alla nuda terra  nelle grotte della basilica edificata sul posto dove san Pietro, fu sepolto, vecchio, portato da altri dove lui magari non voleva andare, ma sempre  pronto a chiedere “Quo vadis?” al suo Signore.

Nel momento imponente e solenne delle esequie, il Vangelo si è chiuso sul corpo del suo “servo dei servi”, ma il vento ha continuato a soffiare! Non è stato questo, forse,  un  simbolo dello Spirito, che ha detto  a tutti, ai presenti e ai non presenti, a quelli che seguivano questo  “evento” in Tv o l’hanno letto sui giornali o l’hanno sentito dire da altri , ai grandi e ai piccoli, al popolo cristiano, ai cardinali e al nuovo papa, a tutti gli uomini di buona volontà: “riaprite quel libro, fatene rivivere le parole, ascoltatelo e vivetelo, come ha fatto Giovanni Paolo II, non lasciatelo perdere nell’eco delle valli della terra e della storia: inascoltato e disatteso (come i potenti hanno fatto spesso con Papa Giovanni Paolo II, quando ha parlato di pace, di perdono, di “no” alla guerra e al terrorismo, di giustizia sociale per i poveri della terra, dell’Africa, dell’America Latina...!)”.

Non dovremo, sul suo esempio e la sua testimonianza, riaprire il Vangelo, chiuso sulla sua bara? E, come educatori,  riaprendendolo con i  giovani, rileggendolo con loro, vivendolo con loro, crescendo ed educandoci insieme?

“Duc in altum!” Questa parola   papa Giovanni Paolo II  continua a farla risuonare ancora oggi per noi; così come l’altra grande parola che ripeteva ai giovani e ai grandi: “Non abbiate paura di aprire le porte a  Cristo”.

A tutti, ma soprattutto agli educatori, agli insegnanti, ai sacerdoti, agli animatori, ai genitori continua a dire:“Varcate le soglie della speranza” (come ha intitolato il suo primo libro-intervista da papa), perché lunga è l'attesa dell'uomo, grande la  fame di verità e di vita  di tutti,  profondo  l’impulso di pienezza umana dei giovani: dei giovani che papa Giovanni Paolo II ha chiamato “sentinelle dell’aurora”, “speranza del futuro del mondo”, ma che anche ha invitato a  “dare fuoco al mondo”!

Carlo Nanni

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