La saggezza dei racconti popolari e la parola ancora più sapiente del Vangelo insegnano a costruire la propria vita sui valori che durano anche oltre questa vita, invece che passarla ad inseguire le alterne vicende di una fortuna destinata comunque, presto o tardi, a finire. Occorre scegliere bene il proprio tesoro, dove metterci il cuore.
La sorpresa della “cuccagna”: tanta fatica e tanta delusione
Una leggenda popolare narra che in un paese si celebrasse una grande festa, la cui principale attrazione era un albero della cuccagna altissimo, che si perdeva tra le nuvole del cielo, in cima al quale si diceva ci fosse un messaggio misterioso. Molti uomini, giovani e meno giovani, si cimentarono nell’ardua impresa di scalarlo, ma nessuno ci riuscì. La cosa fece molto scalpore e da molti paesi, anche lontani, venne tantissima gente per tentare l’impresa, che si dimostrava ormai leggendaria. In particolare, alcuni, abbandonando ogni altro lavoro ed occupazione, si sottoposero ad una disciplina durissima per allenare il proprio fisico al tremendo sforzo necessario, ma tutto sembrava inutile.
Finalmente giunse al paese un atleta fortissimo, che aveva fama di riuscire bene dove tutti gli altri fallivano. Anche egli si allenò duramente e per lungo tempo si preparò per l’eccezionale impresa. Così un giorno cominciò la salita dell’altissimo albero. Metro dopo metro, con sforzi enormi e con un coraggio mostruoso, egli riuscì a raggiungere la cima dell’albero e a strapparvi il messaggio misterioso, che mise in tasca, riprendendo con grande fatica la discesa. Giunto a terra, migliaia di persone gli si affollarono intorno desiderose di conoscere il testo del biglietto. Ma quale non fu la sorpresa e la delusione generale nello scoprire che non c’era scritto altro che: “fine dell’albero della cuccagna”! Valeva la pena, si chiesero tutti, aver fatto tanti sforzi, aver speso tante energie, aver perso tanto tempo, per una verità così stupida?!
Due insegnamenti, dalla letteratura e dal Vangelo
La storiella mi viene in mente ogni volta che sento parlare di “fortune enormi” fatte da persone più o meno famose, che hanno speso tutta la loro vita, trascurando tutto quello che non è roba (affetti, amicizie, relazioni, rapporti, interessi, ecc.), senza riposarsi mai un attimo, facendo una vita da schiavi, spezzandosi la schiena, ammazzandosi di fatica e di preoccupazioni, rubando e accaparrando, accumulando continuamente, in una spirale perversa ed infinita. Qualcuno ricorderà anche la vicenda di Mazzarò, raccontata da Giovanni Verga nelle Novelle rusticane, autentico prototipo di quelli che spendono la vita per fare sempre più roba, il quale, «quando gli dissero che era tempo di lasciare la sua roba, per pensare all’anima, uscì nel cortile come un pazzo, barcollando, e andava ammazzando a colpi di bastone le sue anitre e i suoi tacchini, e strillava: - Roba mia, vientene con me!».
Parafrasando la celebre espressione evangelica, la roba è fatta per l’uomo e non l’uomo per la roba! Nudi si nasce e nudi si muore; l’uomo porta con sé, nell’eternità, solo il bene fatto e il male compiuto nella vita terrena; tutto il resto va lasciato, inevitabilmente, dietro di sé: Nulla di quanto si è accumulato ci segue. A che pro, allora, dannarsi l’anima per scalare un palo, che sappiamo come finirà? Perché affannarsi, inutilmente, per qualcosa che risulta assolutamente inutile anzi dannoso? Gesù raccontò un giorno una parabola molto istruttiva, conosciuta con il nome del ricco epulone, un uomo che aveva costruito la sua vita all’insegna dell’avere e non dell’essere: vivere nel lusso, avere una bella casa, una ricca mensa, amici influenti, ricchezze a profusione, per godere, mangiare, bere, gozzovigliare fino alla crapula e allo stordimento, incurante di tutto e di tutti, anche del povero Lazzaro, che giace sulla soglia della sua porta, a pochi metri di distanza dalla mensa imbandita alla quale non poteva partecipare in nessun modo. Muoiono entrambi, il ricco e il povero, ma ben diversa è la loro sorte, come ognuno ricorda, perché uno finisce tra le fiamme dell’inferno e l’altro nel “seno di Abramo”.
Accumulare i tesori che non si deprezzano col tempo
In breve, l’unica ricchezza che conta è quella spirituale. Le mani dei poveri sono l’unico forziere che custodisce le ricchezze dell’uomo, affermano i Santi e l’esperienza di milioni di cristiani lo dimostra ogni giorno. Quale ricchezza maggiore di un animo sereno, in pace con Dio e con i fratelli? C’è chi pensa di costruirsi mausolei maestosi e immortali, ma il tempo spazza via ogni illusione e l’unica eredità che non si corrompe e non marcisce è il bene compiuto, il resto è follia e stupidità umana.
Si narra che alla morte, Carlo Magno volle essere sepolto in modo che le sue mani fossero ben visibili, e vuote: chi aveva costruito un impero immenso, esercitando il potere su un intero Continente, ammassando incredibili fortune, acquistando una fama imperitura e una gloria immortale, volle fare comprendere che entrava nell’eternità a mani nude e vuote, presentandosi davanti a Dio ricco solo della propria vita interiore.
Sandro Perrone
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