Gli scientoidi si sono tappati le orecchie. Esattamente come il leggendario tolemaico che, dicono, si rifiutò di guardare nel cannocchiale di Galileo per paura di scoprirvi la conferma del copernicanesimo. Con in più, però, la rozzezza dell'uomo-massa moderno, incapace di cogliere il senso di un discorso complesso...
del 15 gennaio 2008
 
Ricapitoliamo: per 67 docenti il Papa non deve parlare alla Sapienza perché oscurantista.
La prova dell'oscurantismo sarebbe nel fatto che - cito la loro lettera - «Il 15 marzo 1990, ancora cardinale, in un discorso nella città di Parma, Joseph Ratzinger ha ripreso un'affermazione di Feyerabend: 'All'epoca di Galileo la Chiesa rimase molto più fedele alla ragione dello stesso Galileo. Il processo contro Galileo fu ragionevole e giusto'. Sono parole che, in quanto scienziati fedeli alla ragione e in quanto docenti che dedicano la loro vita all'avanzamento e alla diffusione delle conoscenze, ci offendono e ci umiliano. In nome della laicità della scienza e della cultura e nel rispetto di questo nostro Ateneo aperto a docenti e studenti di ogni credo e di ogni ideologia, auspichiamo che l'incongruo evento possa ancora essere annullato».
 
Ora, degli scienziati che dedicano la vita alla conoscenza dovrebbero, anzitutto, usare il metodo scientifico: in questo caso, anzitutto, accertare i fatti, cioè andare a vedere se davvero Ratzinger ha fatto propria la frase di Feyerabend («Il processo a Galileo fu ragionevole e giusto»).
Invece hanno preso la frase da qualche parte (da Wikipedia, sospetta Tornielli), fuori dal contesto, come si dice facessero gli antichi inquisitori per fulminare eretici, per «condannare» il Papa e accendere il suo rogo.
Ma in realtà, nel '99 a Parma il cardinal Ratzinger, nel testo che i 67 scientoidi non si sono dati la briga di leggere, notava come il pensiero contemporaneo più consapevole avesse abbandonato l'entusiasmo acritico verso la scienza, proprio del positivismo ottocentesco e del progressismo militante, ed esprimesse atteggiamenti più sfumati e dubbiosi sui pretesi «progressi» della scienza, come appunto Feyerabend.
 
«Nell'ultimo decennio», disse il futuro Papa, «la resistenza della creazione a farsi manipolare dall'uomo si è manifestata come elemento di novità' nella situazione culturale complessiva. La domanda circa i limiti della scienza e i criteri cui essa deve attenersi si è fatta inevitabile. Particolarmente significativo di tale cambiamento del clima intellettuale mi sembra il diverso modo con cui si giudica il caso Galileo».
Come esempio del nuovo clima intellettuale, Ratzinger citava appunto Feyerabend.
Che suona così: «La Chiesa dell'epoca di Galileo si attenne alla ragione più che lo stesso Galileo, e prese in considerazione anche le conseguenze etiche e sociali della dottrina galileiana. La sua sentenza contro Galileo fu razionale e giusta, e solo per motivi di opportunità politica se ne può legittimare la revisione».
Feyerabend aveva evidentemente in mente un altro libro che gli scientoidi non hanno letto,
«I sonnambuli» di Arthur Koestler («The sleepwalkers», che Koestler scrisse dopo una ricerca sui documenti originali del processo a Galileo.
 
Egli scoprì che Galileo non fu condannato come sostenitore del sistema copernicano (eliocentrico) contro quello tolemaico (geocentrico), anzi «i gesuiti stessi [di allora, circa 1615] erano più copernicani di Galileo, ed oggi si riconosce che se l'astronomia cinese avanzò più rapidamente di quella europea, ciò si deve al fatto che i missionari gesuiti insegnarono (ai sapienti cinesi) la visione copernicana».
Galileo, scrive Kostler, fu ricevuto in pompa magna dal Papa Paolo V per le sue scoperte astronomiche nel 1611, e tutto il collegio cardinalizio celebrò ufficialmente lo scopritore dei nuovi corpi celesti.
 
L'atteggiamento della Chiesa cambiò per le impuntatore del fiorentino, un caratteraccio, quando questi pretese di affermare la teoria copernicana senza prove, che allora non aveva.
Il cardinal Bellarmino gli chiese, in amicizia, di esibire le prove in modo che la Chiesa potesse accettare la teoria come vera, altrimenti di presentare le idee copernicane come ipotesi; Galileo gli rispose (in una lettera arrogante fino all'insulto) che non voleva presentare alcuna prova, perché nessuno avrebbe potuto capirla.
 
Insomma:
1) Galileo era un dogmatico che esigeva gli si credesse sulla parola, e
2) insinuava che i suoi oppositori erano «troppo stupidi per capire», scrive Koestler.
Infine, messo alla strette, diede come «prova» le maree: il fatto che la Terra gira attorno al Sole provoca le maree.
Teoria che lo stesso Galileo sapeva falsa.
Era facilmente confutabile per giunta, e gli astronomi tolemaici suoi oppositori (come gli scientoidi odierni, difendevano la cattedra) furono ben lieti di sbugiardare l'arrogante fiorentino.
«L'idea era così in aperta contraddizione coi fatti e così assurda come teoria meccanica - proprio il campo delle immortali conquiste di Galileo - che si può spiegare solo con la psicologia», scrisse Koestler.
Per questo Feyerabend ha potuto dire che «il processo contro Galileo fu ragionevole e giusto».
Lo fu, nei termini della cultura, della mentalità e anche della scienza del tempo.
 
Galileo credeva alle nuove teorie con istinto di sonnambulo (da qui il titolo del saggio di Koestler), ma prima di averne le prove sperimentali.
E si difese in malafede.
In fondo, Galileo è davvero il padre di quei 67 scientoidi della Insipienza, «dediti alla conoscenza» che fa comodo a loro.
Sul piano morale lo è di sicuro.
Ma torniamo a quel che disse il cardinal Ratzinger a Parma 17 anni fa.
 
Egli citò, come ulteriore esempio del nuovo più dubbioso approccio del pensiero contemporaneo di fronte alla scienza, anche C.F. von Weiszacker, il quale, addirittura, disse il futuro Papa, «vede una via direttissima che conduce da Galileo alla bomba atomica».
Disse anche che «durante una recente intervista sul caso Galileo», con sua grande sorpresa, non si sentì porre la solita accusa (la Chiesa ha bloccato il progresso, eccetera), ma quella contraria: «Perchè la Chiesa non ha preso una posizione più chiara contro i disastri che dovevano necessariamente accadere, una volta che Galileo aprì il vaso di Pandora?».
Perchè del senno di poi sono piene le fosse.
La Chiesa non è oscurantista come credono alla Insipienza, ma nemmeno è il gran mago con la sfera di cristallo che vede il futuro.
 
Nel 1616, nessuno poteva capire che la via aperta da Galileo avrebbe portato alla bomba atomica e alla industrializzazione distruttiva della natura, all'aborto e alla manipolazione genetica.
Ed è anche dubbio che tra Galileo e queste sciagure innaturali ci sia «la via direttissima» immaginata da Wiszacker.
E infatti Ratzinger disse subito dopo: «Sarebbe assurdo costruire sulla base di queste affermazioni una frettolosa apologetica. La fede non cresce a partire dal risentimento e dal rifiuto della razionalità, ma dalla sua fondamentale affermazione e dalla sua inscrizione in una ragionevolezza più grande».
Insomma diceva: non usiamo polemicamente la rivolta crescente per i mali che la scienza produce come base per una «frettolosa apologetica».
La fede non ci guadagna nulla dal «rifiuto della razionalità», anzi è per la «affermazione» della razionalità; ed esorta a capire la scienza nel quadro di «una ragionevolezza più grande».
Questo disse.
17 anni fa a Parma.
 
Dunque Ratzinger disse proprio il contrario di quel che credono i 67 scientisti.
O meglio: che fanno finta di credere.
Perché sono convinto che abbiamo impedito al Papa di parlare ai professori proprio di questo: della ragionevolezza della fede.
Hanno bisogno di mantenere la frattura mitica tra «fede» e «ragione», tra «illuminismo» (il loro) e «oscurantismo» (fanatico, magari).
Un intellettuale come Ratzinger, meglio non ascoltarlo.
Anzi, non farlo parlare.
Gli scientoidi si sono tappati le orecchie.
Esattamente come il leggendario tolemaico che, dicono, si rifiutò di guardare nel cannocchiale di Galileo per paura di scoprirvi la conferma del copernicanesimo.
Con in più, però, la rozzezza dell'uomo-massa moderno, incapace di cogliere il senso di un discorso complesso, e che tenga conto della complessità di ogni problema (ciò che fa appunto Ratzinger, e perciò fa tanta rabbia); e pronto ad usare, in perfetta malafede, i rozzi e criminosi mezzi della propaganda politica, appresa dalla modernità totalitaria, per screditare e diffamare le loro vittime.
 
Alcuni di loro hanno difeso la loro censura con questo argomento: era inopportuno invitare il Papa ad aprire l'anno accademico, tenendovi una lectio magistralis, sapendo che non è un laudatore delle scienze.
Argomento che mi è parso comprensibile.
A Roma, la piaggeria verso la Chiesa degli alti gradi politici e no, cui corrisponde una certa invadenza della Chiesa, è un fatto innegabile.
 
L'argomento ha smesso di parermi accettabile quando ho sentito da RAI3 il professor Israel (il matematico, credo, e sionista sfegatato) ricordare che la Columbia University di New York aveva invitato addirittura Ahmadinejad.
Il professor Israel ha anche detto ai suoi colleghi scientoidi quello che ho detto sopra, ossia che non è da scienziati onesti giudicare il Papa da una frase non sua ma da lui solo citata, estrapolata dal contesto di un discorso.
Avrebbero dovuto verificare, ossia leggere il discorso originale.
Questo sì è un po' umiliante per scienziati che si proclamano «fedeli alla ragione», e chiudono la bocca agli altri in nome della «laicità della scienza».
 
Approfitto per indicare a questi difensori della laicità accademica una battaglia più degna per la libertà della ricerca e della scienza: quella per Norman Finkelstein, l'autore del saggio «The Holocauts Industry».
Da quando è stato licenziato dalla De Paul University (ahimè cattolica) per quel libro in cui definiva i capi della lobby sionista «una banda di plutocrati e grassatori», in quanto «continuano ad estorcere riparazioni di guerra ai governi europei», Finkelstein non ha più trovato lavoro.
Il giornalista Ben Harris del New York Magazine lo ha trovato dimagrito di dieci chili, in un appartamento ad affitto bloccato in cui viveva suo padre: un paio di stanze vuote, a parte i libri.
E' dimagrito di dieci chili, non ha denaro, a parte i diritti delle traduzioni estere del suo libro.
E' disoccupato.
La vita di questo studioso è stata sempre difficile, perché troppo polemico e ostinato: benchè i suoi docenti a Princeton riconoscessero la sua intelligenza e cultura eccezionale, gli hanno fatto penare tredici anni il dottorato di ricerca, perché nessuno di loro voleva apparire come relatore della sua tesi, appunto sull'industria olocaustica.
Quando infine ha conquistato il titolo, nessuno dei docenti l'ha voluto raccomandare a nessuna università.
Per anni ha vissuto di sostituzioni e supplenze in vari «collages», con la paga media di 20 mila dollari l'anno.
Solo sei anni fa la sua vita è economicamente migliorata, con la docenza alla De Paul.
Ma il successo (all'estero) del suo saggio sull'industria dell'olocausto ha attratto l'attenzione della lobby.
 
Alan Dershowitz, il luminare di Harvard, ebreo, ha pronunciato la sentenza di espulsione rabbinica contro questo ebreo figlio di sopravvissuti del ghetto di Varsavia.
Da quel momento, non ha pi√π lavoro.
Gli anni perduti, e i ritardi della sua carriera accademica, dovuti alla natura delle sue ricerche, ovviamente, pesano.
A 54 anni Finkelstein, il disoccupato di genio, si domanda cosa sarà la sua vecchiaia di «revisionista».
Già nel palazzo in cui ha le sue stanze in affitto i vicini, quasi tutti ebrei, non gli rivolgono il saluto. Un vecchio amico di suo padre che abita nel palazzo ad Ocean Parkway (estrema periferia di New York, verso Coney Island), lo ha preso da parte nell'atrio della casa e gli ha detto sussurrando: «Norman, stai diventando vecchio, e tutte le case di riposo sono di proprietà di ebrei. Se continui a tenere queste tue posizioni, non avrai un posto dove finire i tuoi giorni».
«E' come la morte», dice Finkelstein: «sai che devi morire, ma non ne prendi mai veramente coscienza. Io so che non troverò mai più lavoro, ma non riesco a realizzarlo dentro di me».
 
Passa le giornate in studi solitari, a fare ricerche che non vedranno mai la luce.
Riceve lettere di sostegno da studenti, e qualche telefonata da Noam Chomsky («L'amico che più mi è vicino»), ma naturalmente nessuna offerta di cattedra.
Ascolta CD di spirituals negri, e a volte canticchia fra sé una frase di spiritual: «Where you there when they crucified my Lord? Where you there?».
Dice: «E così che mi sento. Mi hanno crocifisso, alla fine».
«Eri lì quando crocifiggevano il Signore?», domanda lo spiritual.
Noi siamo qui presenti mentre crocifiggono Norman Finkelstein per le sue idee e le verità che ha scoperto.
 
Accade anche nel ventunesimo secolo, quello della libertà e della ricerca senza confini.
C'è un'Inquizione più efficace, segreta e repressiva di quella d'antan.
Non è un po' umiliante?
 
 
 
Note
1) Andrea Tornielli, «La Sapienza, i professori censurano il Papa senza averlo letto», Il Giornale, 14 gennaio 2008.
2) Arthur Koestler, «The Sleepwalkers», 1959. In italiano l'ha pubblicato Jaca Book. Koestler, ebreo, aderì al comunismo di cui poi denunciò la pratica repressiva in Buio a Mezzogiorno.
3) Ben Harris, «Beached - the Coney Island exile of a scholar who would be a Noam Chomsky, but isn't», New York Magazine, 10 dicembre 2007.
 
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Maurizio Blondet
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