Il laboratorio “Educare attraverso lo sport”, tenuto dalla dott. Sonia Marcon, può aiutarci ad approfondire il rapporto tra sport e crescita umana, tra allenatore e ragazzo per vivere questa dimensione importate della vita sotto lo sguardo di don Bosco.
del 28 luglio 2008
Il laboratorio “Educare attraverso lo sport”, tenuto dalla dott. Sonia Marcon, può aiutarci ad approfondire il rapporto tra sport e crescita umana, tra allenatore e ragazzo per vivere questa dimensione importate della vita sotto lo sguardo di don Bosco.
 
 
 
Conversando “con” lo sport
 
I motivi per cui si fa uno sport sono diversi: la passione, il divertimento, la salute  la forma fisica, le spinte dei genitori, il convincimento degli amici, la ricerca della gloria e del prestigio, la sfida con se stessi… Così come diversi sono i motivi per cui si abbandona o si riduce drasticamente la pratica di uno sport: eccesso di fatica ed impegno, delusioni, ingiustizie subite, scontri con gli allenatori o con i compagni di squadra, demotivazione e perdita della passione, inconciliabilità con gli impegni di studio o di lavoro, distrazione con altri interessi (morose/i, discoteca, compagnie, play station…).  Molti ex atleti, tuttavia, decidono di restare nell’ambiente sportivo assumendo un ruolo ben diverso: si mettono in gioco ma dall’altra parte del campo: decidono di fare gli istruttori, o gli allenatori o i dirigenti, dedicando tempo ed energie per trasmettere ad altri la loro stessa passione.
Lo sport cosa può insegnare ad un bambino o ad un ragazzo? In che modo li può aiutare nel loro percorso di crescita? E che tipo di sport può proporre un allenatore che voglia essere un all-educatore, sulle orme di don Bosco?
 
 
La funzione educativa dello sport in età evolutiva
 
Lo sport ha le sue radici nel gioco, che è l’attività per eccellenza dei bambini, attraverso la quale imparano e crescono. Nel gioco prevale la spontaneità, la creatività, il piacere fine a se stesso; nello sport subentrano obiettivi più mirati e tecnici finalizzati ad un miglioramento di prestazioni, nonché alla vittoria. Il bambino dovrebbe fare lo sport come gioco, con la spensieratezza e il divertimento propri della sua età e nello stesso tempo sviluppare quelle abilità e capacità psico-fisiche che gli permettano di far emergere le sue doti atletiche. Lo sport permette al bambino e all’adolescente di apprendere e potenziare qualità personali utili nella vita. Chi fa sport ha la grande opportunità di:
·             imparare a resistere alla fatica fisica, allo sforzo e al dolore, fortificando il corpo e stimolando le difese naturali;
·             imparare a conoscere il proprio corpo e le sue potenzialità;
·             imparare a stare con gli altri, a comunicare, a condividere idee ed emozioni;
·             imparare a collaborare con gli altri, uscendo dal proprio egocentrismo;
·             imparare il senso delle regole e della disciplina;
·             imparare il senso della giustizia, della lealtà, del rispetto dell’altro (soprattutto di chi è nell’altra squadra…);
·             vivere esperienze emozionali molto forti: l’ansia per una gara importante; la paura di non farcela, la soddisfazione per una buona prestazione, la sorpresa della vittoria o della sconfitta, la rabbia e la frustrazione per non essere riusciti così come si desiderava, la delusione e la tristezza per un mancato risultato o per un comportamento scorretto proprio o degli altri, l’imbarazzo e la vergogna per un errore, l’orgoglio di aver superato un presunto limite e tante altre ancora…
·             imparare a controllare la propria impulsività;
·             imparare ad ascoltare e a seguire le indicazioni dell’istruttore/allenatore fidandosi della sua esperienza e competenza;
·             imparare a pensare, a ragionare e a creare idee per risolvere i problemi.
 
 
L’allenatore: educatore ed istruttore
 
E l’allenatore che ruolo gioca? Senza dubbio un ruolo fondamentale, anche se al centro dello sport deve esserci sempre l’atleta come persona in crescita. Ci siamo chiesti quali potrebbero essere le caratteristiche di un buon all-educatore e proviamo a riassumerle in alcuni punti:
-              è cosciente della sua responsabilità educativa perché sa che i ragazzi lo osservano e lo imitano, non solo negli aspetti tecnici (in cui deve essere competente) ma anche negli atteggiamenti verso lo sport e verso gli altri;
-              è cosciente che, pur avendo l’autorità che gli deriva dal ruolo e dal “prestigio”, deve essere autorevole e l’autorevolezza non si impone ma si conquista nella relazione autentica, trasparente e coerente con i ragazzi;
-              cerca sempre di conciliare la direttività e la fermezza con la stima e l’incoraggiamento;
-              sa usare la ragione per motivare le regole, i “rimproveri”, le richieste e sa stimolare la ragione ed il pensiero autonomo degli atleti;
-              sa agire con l’amorevolezza: è gentile, cortese, rispettoso, non reattivo e vendicativo, attento alla persona e al gruppo, sa correggere senza demolire o svergognare;
-              sa stimolare la collaborazione tra compagni e favorisce il gioco di squadra;
-              sa promuovere negli atleti (e anche nei genitori!!) atteggiamenti di rispetto verso i concorrenti (e non avversari!) nelle gare o nelle partite, evitando forme di disprezzo, di giudizio, di attacco, di svalutazione;
-              s’impegna a promuovere una cultura dello sport che favorisca i valori del rispetto, della lealtà, della tolleranza, dell’impegno, della giustizia a tutti i livelli.
 
 
Lo sport e il sistema preventivo di Don Bosco
 
Tutte queste caratteristiche e competenze si formano attraverso le esperienze, i confronti con gli altri e i percorsi formativi specifici. Ma alla base di tutto c’è l’atteggiamento personale verso sé e verso gli altri. In altri termini, se vuoi con-vincere che lo sport è educativo devi esserne convinto e per esserne convinto ti devi prendere cura dei valori che rendono educativo lo sport. I valori, infatti, sono i criteri fondamentali del nostro modo di agire e delle nostre scelte. A seconda di ciò a cui l’allenatore dà importanza dipenderanno le sue decisioni.
E per dirla con don Bosco, “l’educazione è cosa di cuore” e anche l’allenatore - se vuole educare i ragazzi attraverso lo sport e allo sport – deve considerare che ogni atleta (di qualsiasi età) è prima di tutto una persona che va accolta, amata, incoraggiata e valorizzata nella sua unicità, originalità e preziosità perché in ciascuno c’è “un punto accessibile al bene” che va riconosciuto ed è su questo che si deve far leva. “Chi vuol essere amato bisogna che faccia vedere che ama” su questo principio si basa l’autorevolezza e l’autenticità dell’allenatore, testimonial di valori forti e vitali. In questo modo l’attività sportiva può davvero concorrere alla promozione della persona e alla prevenzione del disagio e della sofferenza esistenziale, offrendo ai bambini e ai ragazzi opportunità previamente organizzate e finalizzate per sviluppare le potenzialità insite in ciascuno. Il sistema è preventivo perché non è lasciato al caso ma è guidato dalla ragione, dalla religione, dall’amorevolezza e da una fiducia smisurata nella preziosità di ognuno.
Sonia Marcon
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