Antonella, studentessa quindicenne, non si sente obbligata, né lo fa per abitudine, ha semplicemente «voglia di andare a Messa». Perché è consapevole di «incontrare un amico con l'A maiuscola». Marco, 23 anni, studente in Medicina definisce la Messa come «una sorta di imbuto che porta al momento della Comunione». E aggiunge: «quel momento lo accolgo, cercando di fare un po' di silenzio dentro di me».
del 22 giugno 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 
Vi siete mai posti la domanda: «perché vado a Messa?».Tra gli adolescenti e i giovani che frequentano abitualmente la chiesa vicina, le comunità religiose, le parrocchie, forse, la risposta a questo interrogativo imbarazzante potrebbe risultare scontata e data pure con disinvoltura. Ecco alcune testimonianze.
Si va volentieri
           Matteo, 16 anni, studente di liceo classico, per esempio, ci confida che ci va «volentieri», e aggiunge: «non mi annoio». A questa disposizione d’animo positiva contribuiscono certo anche fattori esterni: «il fatto che ci trovo gli amici, i compagni…». Federica, 15 anni, studentessa anche lei liceale, conferma che va a Messa anche nei giorni feriali. «Non tutti i giorni – precisa –, ma mi capita di frequentare la messa vespertina, perché come animatrice assisto i bambini del catechismo all’oratorio», dunque, la Messa è un’occasione per «ricaricarsi».
Se ne sente il bisogno
           Lucrezia, 15 anni, frequenta il quinto ginnasio, riconosce inoltre che quando va a Messa «l’ascolto delle letture e dell’omelia sono momenti importanti che consentono di riflettere e danno una risposta ai tuoi problemi, ai dubbi, alle tue ansie, alle contrarietà che immancabilmente ti ritrovi ad affrontare durante la settimana, in famiglia, con gli amici, a scuola… Sembra quasi che quelle letture parlino a noi in prima persona, e ti coinvolgono intimamente». Andrea, 26 anni, neo laureato in Legge, ci rivela che non va a Messa per abitudine, ma perché «ne sento il bisogno». Avverte la necessità di ricevere misericordia da parte di Dio, e di fare la comunione in quanto sa che è «un’energia in più che mi viene donata proprio e solo a Messa». Ludovico, 24 anni, apprendista meccanico, dichiara che a volte prova una certa emozione quando va a Messa, si sente coinvolto, ma ammette che prima non era così: infatti ci andava perché erano i suoi genitori che lo avevano educato in quella direzione, a «ordinarglielo», e quindi si sentiva come «forzato». Ha voluto capirci di più, ci ha pregato su, ha reagito e ora ci va spontaneamente perché ne è convinto. A differenza di Antonio, 19 anni, suo amico, che fa lavori saltuari aiutando in un bar, il quale si era allontanato dalla chiesa, non andava a Messa perché riteneva la cosa «improponibile». Tutto sapeva di esteriorità e le parole che si pronunciavano o si sentivano, erano incomprensibili, addirittura «anacronistiche». Poi «è tornato all’ovile», e ha compreso che la partecipazione alla messa non «è cosa da poco».
Un faccia a faccia con Dio
           Marco, 23 anni, studente in Medicina definisce la Messa come «una sorta di imbuto che porta al momento della Comunione». E aggiunge: «quel momento lo accolgo, cercando di fare un po’ di silenzio dentro di me». È un incontro, un faccia a faccia tra Dio e lui, personale, misterioso, senza il bisogno che «sia affollato di parole». Laura, 27 anni, insegnante di lettere alle prime armi, ha scoperto nella Messa la bellezza del senso della comunità, dice: «Il fare comunità, il sentirsi far parte della famiglia di Dio comporta l’emozione di condividere insieme ad altri, a tutti i presenti il dono che Dio fa di se stesso a noi riuniti in chiesa». Antonella, studentessa quindicenne, non si sente obbligata, né lo fa per abitudine, ha semplicemente «voglia di andare a Messa». Perché è consapevole di «incontrare un amico con l’A maiuscola». Roberto, 15 anni, frequenta l’istituto tecnico, ammette che va a Messa «per abitudine», ma anche «per fortuna», per lui in effetti è un momento importante in cui «pregare insieme alla comunità» e fare presente a Dio le sue esigenze e necessità. Valeria, 24 anni, laurea in Biologia, ancora in cerca di un lavoro, non ha dubbi: «Si tratta di un bell’appuntamento! Che ti dà la giusta carica per affrontare la settimana». Sostiene inoltre che «da parte mia c’è un impegno in più, perché aiuto il mio gruppo nell’animare, organizzare, gestire la Messa, infatti provvediamo all’assegnazione delle letture, prepariamo la preghiera dei fedeli, facciamo l’offertorio, programmiamo i canti, ecc.». «Queste cose mi aiutano a sentire la messa una cosa mia, una cosa propria, e la vivo con maggiore partecipazione, ne sono coinvolta in prima persona, con un interesse sempre nuovo». La Messa dunque, in base a queste riflessioni offerte a caldo da alcuni giovani praticanti, si comprende che non è solo un rito da esaurire in fretta e/o di malavoglia. È un’esperienza da fare nell’ottica della maturazione personale della propria fede cristiana. Si va a Messa per incontrare «un amico», che si è sacrificato, ha dato la sua vita per noi ed è risorto. Questo amico, lo avete certo indovinato, è Gesù!
Sentiamo l’esperto
           Sulla Messa e su alcuni suoi significati, senza azzardare nessuna pretesa o mira teologica, abbiamo intervistato padre Francesco Bernardi, missionario della Consolata, che fa il parroco in una chiesa di Torino.
P. Bernardi, che cos’è la Messa?
           «Questa domanda è semplicissima, ma la risposta non è facile. Per usare un’espressione consacrata dalla Tradizione, di natura liturgica, la Messa è il Memoriale della Passione e Risurrezione di Gesù. O meglio,usufruendo di un’espressione ancora più chiara: è l’attualizzazione oggi della Passione e Risurrezione di Gesù. Un’altra definizione è questa: la Messa si può riassumere in quella frase che a un certo punto, durante la celebrazione, il sacerdote rivolgendosi ai fedeli esclama “Prendete e mangiate, questo è il mio corpo offerto per voi…. Prendete e bevete, questo è il mio sangue donato per voi”. Questo “per voi” ha una particolare e fondamentale risonanza per la nostra fede, in quanto mostra che è Dio che si china, che si dona all’umanità, a ognuno di noi, a tutti. La Messa è una panoramica di Salvezza, che si offre per tutti. Un famoso teologo,Teihard De Chardin, diceva che la Messa si colloca al centro del mondo per irradiare la forza, la Grazia in ogni punto della terra».
           La Messa è definita in vari modi: Eucaristia, frazione del pane, giorno del Signore, ecc., per indicare un momento significativo di essa, o la sua stessa ragion d’essere…
           «Ci sono certo queste altre espressioni, che indicano la manifestazione della grazia, e simbolicamente il senso della condivisione. È chiamata anche cena, perché mette in evidenza la convivialità. Come a cena, infatti, ci si ritrova fra amici intorno a una tavola. E rappresenta pertanto, come ben si sa, l’Ultima Cena di Gesù con gli Apostoli. Ma tornando a “Messa”, questa è una parola che significa mettere, porre, ossia è Gesù che si mette, si offre nelle nostre mani, sulla nostra tavola, davanti a noi, sull’altare».
Perché la Messa è suddivisa in due parti principali, la liturgia della Parola e la liturgia eucaristica?
           «Sono le parti più importanti della Messa. Nella prima, attraverso la Parola di Dio, Egli parla a noi. Il nostro è un Dio della comunicazione, della relazione, della condivisione. Non è come gli altri dei, di cui si parla nei Salmi, che hanno le mani, ma non toccano, la bocca, ma non parlano, le orecchie e non sentono. Mentre il nostro Dio è un Dio che parla e che sente. In un altro salmo è riportato: “Dio dall’alto dei cieli si china giù a guardare”, Egli ci dice e ci ricorda, nella Parola, che guarda sottecchi gli uomini e le donne più poveri, più tristi e miserabili e li vuole salvare in modo concreto. Nella liturgia eucaristica, poi, noi ci disponiamo a ringraziare il Signore, perché è un Dio che parla, si dona e si china su di noi, su le nostre miserie, un Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, morto e soprattutto risorto».
Il terzo comandamento dice esplicitamente: “Ricordati di santificare le feste”. Secondo la Chiesa, il non andare, dunque, non assistere, non partecipare alla messa costituisce peccato?
           «Non la metterei in questi termini. Ti direi piuttosto: che se tu non vai a Messa, bada, perdi una grande opportunità! L’opportunità, per esempio, di ascoltare una Parola diversa. Una parola che ha sfidato i secoli, le culture, da millenni. Una parola, quella di Dio, che si rivela sempre con significati nuovi. Poi perdi anche l’opportunità di stare insieme ai tuoi amici, e ciò non è poco. Una cosa è incontrarsi a scuola, sul lavoro, al bar, in palestra... Una cosa è incontrarsi a Messa! Dove l’altro non è il professore che ti boccia, o il collega che ti fa le scarpe, a Messa non ci sono queste realtà che ti tengono in tensione, ma vi incontri fraternamente persone, amici, con cui condividere un’esperienza di fede, con cui condividere la propria vita fatta di gioie e di dolori, mentre ti rivolgi a Dio e chiedi insieme a tutti che Lui sia misericordioso e ci metta una “pezza in più”. Non andare a Messa significa allora proprio questo: il perdere un’opportunità, è un autolesionismo!».
Che cosa significa quando vai a Messa ricevere il Corpo di Cristo?
           «Vuol dire ricevere una carica in più, irrobustire la nostra personalità, il mio “io” con un “io” diverso. L’io di Dio. E non è poco questo! Una cosa misteriosa ma sconvolgente. Non si tratta solo di un qualcosa che ci mettiamo in tasca, la Messa, perché entra nel nostro sangue, è cibo che diventa e ci dà forza…».
Il sacerdote celebra la Messa e l’assemblea dei fedeli assiste, ascolta, risponde alle acclamazioni con gli amen ecc. Che succede quando si va a Messa?
           «Non è corretto, è anzi riduttivo limitarsi a dire: andare a Messa, ascoltare la Messa, o assistere a essa. Ma alla Messa si partecipa! È la messa una grande scena che ci vede protagonisti e autori. Questa partecipazione avviene in diversi modi: cantando, per esempio, compiendo gesti tipici come il contribuire con le offerte, nel darci la mano, un “segno di pace” con cui rompiamo l’anonimato, il nostro isolamento, ci rivolgiamo a un “tu” vicino a noi con cui condividere la gioia della pace di Cristo. Il massimo della partecipazione avviene, naturalmente, con la cosiddetta “Comunione”».
Alla fine della Messa il sacerdote pronuncia quella determinata frase, che in latino suona così: «Ite missa est». Un’esortazione a vivere la Messa fuori delle mura della Chiesa. Cioè…
           «La voce latina corrisponde letteralmente all’italiano: “Vi è stata data” dal verbo mittere. Ossia: una Presenza, vi è stata data, una forza vi stata data, una realtà vi è stata data, e ora portatela fuori, comunicatela, testimoniatela… Questa realtà è la Grazia, la Parola, la gioia che abbiamo acquisito, la conoscenza avuta fra noi, è l’allegria anche – i brasiliani, a questo proposito, dicono sempre così: “celebriamo questa Messa con allegria!”. E la portiamo fuori, in famiglia, per la strada, a scuola, in ufficio…».
Nicola Di Mauro
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