Il 9 e 10 aprile la scelta non è tra due leader, ma tra due progetti di società. Ecco perché occorre procedere come raccomanda Benedetto XVI. Significa non considerare solo l'uno o l'altro aspetto, ma valutare il progetto nel suo insieme, giudicarne cioè i valori, le riforme, la classe politica.
del 26 marzo 2006
La Chiesa ritiene come compito proprio di chiedere ai responsabili del potere politico di «promuovere uno sviluppo basato sul rispetto della dignità di ogni uomo». Lo afferma Benedetto XVI nel Messaggio per la Quaresima 2006, sottolineando che i valori religiosi svolgono un ruolo centrale nella vita dell’uomo, sia perché rispondono ai suoi più intimi interrogativi, sia «quale motivazione etica rispetto alle sue responsabilità personali e sociali». Quindi conclude: «Sono questi i criteri in base ai quali i cristiani dovranno imparare anche a valutare con sapienza i programmi di chi li governa».
 
E’ quanto dobbiamo fare per compiere una scelta illuminata il 9 e 10 aprile. «Con sapienza» significa non considerare solo l’uno o l’altro aspetto di un programma, ma valutare il progetto nel suo insieme.
 
La Casa delle Libertà, disponendo di una forte maggioranza, ha potuto fare tutto quello che ha voluto per un’intera legislatura. Sappiamo quindi con chiarezza quale modello di società essa perseguirebbe, qualora fosse riconfermata al governo. Dell’Unione, invece, essendo rimasta all’opposizione, èpossibile solo dire, alla luce del suo programma, che il modello a cui mira è alternativo a quello della Cdl. Proprio per questo, la scelta non è tra due leader, ma tra due progetti di società: quale Italia vogliamo? Ecco perché occorre «valutare con sapienza i programmi», giudicarne cioè i valori, le riforme, la classe politica.
 
I valori su cui fondare il “progetto Italia” non li dobbiamo inventare, sono già enunciati nella Costituzione. Il problema sta nell’interpretazione diversa che ne danno: la Cdl in senso neoliberista e l’Unione in senso solidale e riformista.
 
Riflettiamo qui su una questione di fondo, che nell’infuocata campagna elettorale è tra le più discusse: il riconoscimento giuridico delle coppie di fatto, anche omosessuali.
 
La gerarchia in proposito è intervenuta, essendo suo compito formare le coscienze e giudicare della coerenza o meno, sul piano morale e religioso, anche delle scelte politiche. Perciò, Benedetto XVI non ha fatto che compiere il suo dovere pastorale ribadendo che «è un grave errore oscurare il valore e le funzioni della famiglia legittima fondata sul matrimonio, attribuendo ad altre forme di unione impropri riconoscimenti giuridici, dei quali non vi è, in realtà, alcuna esigenza sociale».
 
Nello stesso tempo, anche i fedeli laici sono tenuti a testimoniare e difendere con la parola e con la vita valori che sono irrinunciabili, tra cui primeggiano, per la loro portata oggettiva , la difesa della vita e la tutela della famiglia fondata sul matrimonio.
 
Tuttavia, pur avendo maturato questa convinzione alla luce della fede, il loro non è un impegno confessionale, ma laico e civile. Infatti, a prescindere dalla fede, nessuna trasformazione culturale o di costume potrà mai eliminare il ruolo essenziale di cellula fondamentale della società, che compete alla famiglia fondata sul matrimonio, essendo questa l’unica forma di «stabile istituzione sovraindividuale» (Corte Costituzionale, sentenza 8/1996).
 
Del resto la nostra Carta Repubblicana riconosce, «laicamente», solo la famiglia fondata sul matrimonio (art. 29), poiché ha «una dignità superiore, in ragione dei caratteri di stabilità e certezza e della reciprocità e corrispettività di diritti e doveri, che nascono soltanto dal matrimonio» (sentenza 310/1989).
 
Con ciò non si intende penalizzare o demonizzare le coppie di fatto. Anzi, secondo una corretta interpretazione della Costituzione (articoli 2, 3 e 30), pur negando ogni equiparazione con la famiglia fondata sul matrimonio, lo Stato è tenuto a riconoscere e a tutelare anche i diritti civili dei conviventi di fatto (uomo e donna), a cominciare da quelli riguardanti la maternità, l’infanzia e i figli nati fuori del matrimonio.
 
«Per le stesse ragioni», scrivevamo in altra occasione, «lo Stato dovrà rispettare e tutelare la dignità e i diritti civili delle persone omosessuali, anche quando liberamente decidessero di convivere. E’ ovvio, però, che le coppie di fatto omosessuali (dove i conviventi sono incapaci di una vera unione “coniugale”) non possono essere equiparate né alle coppie di fatto eterosessuali, né – tanto meno – alla famiglia fondata sul matrimonio».
 
Pertanto i cristiani, in quanto cittadini, sul piano “laico” del diritto e nel rispetto delle regole democratiche, lotteranno in difesa della famiglia fondata sul matrimonio, ma al tempo stesso sosterranno la tutela dei diritti civili dei conviventi di fatto, senza però confondere o anche solo equiparare tra loro realtà che sono diverse.
 
Detto questo, occorre ribadire che per valutarlo «con sapienza» un programma va considerato nel suo insieme. Non si può giudicarne l’accettabilità etica e politica solo in base alla posizione più o meno sufficiente nei confronti dell’uno o dell’altro valore fondamentale; bisogna anche tenere conto che siano rispettati altri principi irrinunciabili: l’osservanza delle regole democratiche, la priorità del bene comune sugli interessi personali o di parte, la tutela dei ceti più deboli, una politica economica che (opponendosi alla deriva del liberismo selvaggio) finalizzi il profitto al lavoro umano e non sacrifichi la solidarietà all’efficientismo e alla competitività.
 
In secondo luogo, per «valutare con sapienza» un programma, occorre esaminare le riforme che esso propone. Non si può, però, fare a meno di rilevare che la cultura neoliberista, a cui la Cdl ispira il suo programma, si è dimostrata inadatta in cinque anni di governo a risolvere i gravi problemi del Paese; anzi lo ha precipitato in una grave emergenza democratica.
 
E’ eloquente che le principali leggi di riforma varate (la Bossi-Fini, il “lodo Schifani” sui processi a carico delle più alte cariche dello Stato, la legge Gasparri, la riforma dell’ordinamento giudiziario, fino all’inappellabilità delle sentenze di assoluzione) siano state tutte bocciate, in prima istanza, come anticostituzionali. Per non parlare della riforma della Parte II della Costituzione, che in realtà intacca i fondamenti stessi della democrazia, alterando l’equilibrio tra i poteri dello Stato.
 
A questo punto, è corretto aggiungere che, mentre la valutazione del programma della Cdl dopo cinque anni di governo è possibile, lo stesso non si può dire del programma dell’Unione che è stato solo presentato, ma è ancora da attuare. Tuttavia, è facile cogliere nelle indicazioni programmatiche del centro-sinistra l’influsso della cultura politica solidale e popolare, alternativa a quella neoliberista. Basti citare, per esempio, la volontà di istituire un’a uthority che impedisca il conflitto di interessi che ha avvelenato l’intera legislatura; il proposito di restituire alla vita politica la rappresentatività e la governabilità gravemente lese e compromesse dall’ultima riforma elettorale; l’impegno di riformare la legge Bossi-Fini sulla immigrazione, di stampo xenofobo, e di concedere agli immigrati il di ritto di voto; la scelta di un forte rilancio europeistico e di una politica estera “europea” autonoma.
 
Infine, occorre guardare alle qualità morali e professionali della classe politica, cui spetta la principale responsabilità nella realizzazione del progetto. Ora, l’incertezza maggiore delle prossime elezioni riguarda appunto la scelta dei candidati. Da un lato, c’è urgente bisogno di un profondo ricambio della classe politica, alla luce anche delle collusioni mai del tutto eliminate (neppure dopo Tangentopoli) tra mondo politico e mondo degli affari.
 
D’altro lato, però, avendo abolito il voto di preferenza, l’ultima legge elettorale obbliga a votare solo i partiti, ai quali spetta di compilare la lista dei candidati. E’ un problema che riguarda tutti, sia la destra sia la sinistra. E’ evidente, infatti, il rischio di ricadere nella partitocrazia, nel clientelismo e nel centralismo democratico, vecchi vizi della Prima Repubblica.
Bartolomeo Sorge S.I.
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